Avv. Prof. Domenico Lamanna Di Salvo
Per noi avvocati matrimonialisti/divorzisti non è insolito sentirsi dire da taluni genitori di non voler far vedere i figli nel giorno previsto per il diritto di visita perchè “il bambino piange“. Orbene, questo non è un motivo valido per sospendere il diritto di visita. Spesso, infatti, i capricci dei bambini diventano uno strumento per negare all'ex coniuge i propri diritti.
Ed invero, la Cassazione, nella sentenza 26810, riconosce che l'approfittarsi dei “rifiuti” di minore ad incontrare l'altro genitore "equivale ad una sostanziale ammissione di un profilo doloso, seppur attenuato, della sua condotta, in quanto si riscontra la mancanza di una attiva e doverosa collaborazione da parte del genitore affidatario alla riuscita delle visite e degli incontri dell’altro genitore stabiliti con provvedimento del giudice civile, collaborazione essenziale soprattutto nel caso di un minore in tenera età, nel cui interesse si prevede che entrambi i genitori debbano mantenere e coltivare un rapporto affettivo con il proprio figlio". Il reato viene meno solo laddove l’impedire al genitore non affidatario il diritto di visita sia effettivamente mosso dalla necessità di tutelare l’interesse morale e materiale del minore, il che alle volte può risultare estremamente difficile da provare.
Bisogna, pertanto, evitare strumentalizzazioni di questo genere e ricordarsi sempre e comunque che i figli sono di entrambi i genitori, anche se l'amore di un tempo è tra di loro finito.
Prof. Avv. Domenico Lamanna Di Salvo
Matrimonialista - Divorzista - Curatore Speciale del Minore
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8 apr. 2021 • tempo di lettura 4 minuti
Se le videochiamate tra amici e le riunioni di lavoro su Zoom sono diventate “mainstream” in questo periodo di pandemia, lo stesso è accaduto anche per le assemblee societarie. Per quest’ultime è stato però necessario prevedere una norma ad hoc: l’art. 106 del Decreto-legge n. 18 del 17 marzo 2020. L’art. 106 – la cui efficacia è stata prorogata più volte, da ultimo al 31 luglio 2021 con il Decreto milleproroghe n. 51/2021 – consente alle società di capitali di poter convocare assemblee totalmente a distanza. Qual è stata la novità? È auspicabile un cambiamento anche per le future assemblee post-covid? 1. Cosa prevede l’art. 106 del Decreto Cura-Italia2. Cos’è previsto dal Codice Civile3. Post Covid-19? 1 - Cosa prevede l’art. 106 del Decreto Cura-ItaliaIn tema di società di capitali, una delle novità più rilevanti del Decreto-legge n. 18 del 17 marzo 2020 è stato l’art. 106, comma 2.Emanato al fine di fronteggiare l’emergenza derivante dalla diffusione del Covid-19 e di attuare misure di distanziamento sociale, l’art. 106 consente alle società per azioni, alle società in accomandita per azioni, alle società a responsabilità limitata, e alle società cooperative e mutue assicuratrici di prevedere che l’assemblea si svolga, anche esclusivamente, mediante mezzi di telecomunicazione, senza la necessità che si trovino nel medesimo luogo il presidente, il segretario o il notaio ed anche se lo statuto sociale contenga disposizioni contrarie. Ad oggi e sino al 31 luglio 2021, le società predette possono convocare assemblee totalmente in videoconferenza, purché i collegamenti telematici consentano l’identificazione dei partecipanti, la loro partecipazione e l’esercizio del diritto di voto.L’assemblea full audio-video conference – che trova origine nell’inciso “anche esclusivamente” dell’art. 106 – si caratterizza per la totale assenza fisica di tutti (tutti!) i partecipanti: il presidente, il segretario verbalizzante e i soci, che intendono partecipare all’assemblea, possono soltanto collegarsi da remoto.Difatti, come osserva la più attenta dottrina, in questa modalità non esiste un luogo fisico di convocazione.L’assemblea è totalmente online e il luogo dove si svolge diventa la piattaforma di comunicazione utilizzata: ad esempio il link di Zoom o il gruppo su Skype o su WhatsApp denominato ad esempio “Assemblea della società X S.p.A. del giorno Y”, insomma un luogo virtuale.2 - Cos’è previsto dal Codice CivileLa partecipazione dei soci in assemblea con mezzi di telecomunicazione è espressamente disciplinata dal Codice Civile: l’art. 2370 co. 3 c.c., in tema di S.p.A., permette infatti la partecipazione a distanza dei soci purché ciò sia espressamente previsto da apposite clausole dello statuto della società.Tuttavia, l’orientamento nettamente prevalente interpreta la disciplina codicistica nel senso di ritenere che, nonostante la partecipazione facoltativa dei soci mediante mezzi di telecomunicazione, nel luogo di convocazione, che deve essere obbligatoriamente indicato nell’avviso ex art 2366 co. 1 c.c., devono in ogni caso essere presenti sia il presidente dell’assemblea sia il segretario verbalizzante. Quindi, differentemente dall’assemblea prevista dall’art. 106 del Decreto, è necessario che vi sia un luogo fisico di convocazione e che nel medesimo si trovino il presidente ed il segretario, al fine di garantire a ciascun socio il diritto soggettivo di partecipare all’assemblea. La presenza fisica del presidente e del segretario garantisce che, qualora un socio non riesca a collegarsi o intenda non partecipare da remoto, ma di persona, possa farlo recandosi presso il luogo indicato nell’avviso. Ne consegue che, ad oggi, il Codice Civile non consente assemblee societarie esclusivamente virtuali, cioè quelle, ad esempio, su Zoom dove tutti sono collegati da casa. 3 - Post Covid-19?Post Covid-19 ritornerà ad applicarsi il codice civile, nei termini sopra precisati. Ma non è forse un passo indietro? In un panorama in continua evoluzione, ove la “socialità”, in qualunque forma intesa, è sempre più legata all’utilizzo di nuove tecnologie, la disciplina societaria potrebbe ritenersi, sul punto, inadeguata?Tale circostanza è stata, forse, avvertita anche dalla dottrina e dalla prassi, tanto che il Consiglio Notarile di Milano nella Massima n. 187, pubblicata in data 11 marzo 2020 (sei giorni prima del Decreto Cura-Italia!), ha affrontato proprio la questione dell’intervento in assemblea mediante mezzi di telecomunicazione, ed in particolare della presenza fisica “minima e necessaria” in assemblea. I notai milanesi sono giunti ad affermare che, qualora sia consentito l’intervento in assemblea mediante mezzi di telecomunicazione e qualora si tratti di assemblea convocata in un luogo fisico, è sufficiente la presenza nel luogo di convocazione del solo segretario o, nel caso di verbalizzazione mediante atto pubblico, del notaio, ben potendo il presidente svolgere la funzione di direzione dei lavori assembleari “a distanza”. Seguendo l’interpretazione proposta dalla massima, sarebbe allora possibile per le società di capitali convocare – anche “post pandemia” e quindi in assenza dell’art. 106 del D.L.18/2020 - assemblee alle quali sia soci e che il presidente possono partecipare a distanza, tranne il soggetto verbalizzante che, dovrà essere nel luogo fisico della riunione indicato nell’avviso di convocazione.Editor: dott.ssa Flavia Carrubba
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Egregio Avvocato
20 dic. 2021 • tempo di lettura 4 minuti
Con il DL 132/2014 conv. in L. 162/2014 è stata introdotta la possibilità per di coniugi di potersi separare o divorziare mediante un accordo concluso dinanzi al sindaco senza ricorrere quindi all’autorità giudiziaria.Tale accordo, però, è possibile solo se non ci sono figli o se i figli maggiorenni sono capaci, non hanno handicap gravi o sono economicamente autosufficienti. Grazie a tale procedimento i coniugi potranno chiedere, nel rispetto dei limiti di legge, la separazione, il divorzio ossia la cessazione degli effetti civili del matrimonio o lo scioglimento del matrimonio oltre che la modifica delle condizioni di separazione o divorzio.Anche i componenti dell’unione civile possono chiedere lo scioglimento dell’unione civile tra di loro costituita o la modifica delle condizioni dello scioglimento.Quali sono i limiti e i divieti dell’accordo dinanzi al sindaco?È necessaria l’assistenza di un avvocato?Qual è il procedimento da seguire per raggiungere l’accordo?Quali sono gli effetti dell’accordo?1 - Quali sono i limiti e i divieti dell’accordo dinanzi al sindaco?I coniugi, gli ex coniugi, i componenti o gli ex componenti dell’unione civile non possono accedere alla procedura in presenza di figli minori di età o maggiori incapaci, portatori di handicap grave o economicamente non autosufficienti.Tale limite riguarda esclusivamente i figli avuti in comune dai coniugi o dagli ex coniugi, pertanto, la richiesta può essere avanzata se i figli minori o incapaci, portatori di handicap grave o economicamente non autosufficienti non sono comuni ma sono di uno solo dei coniugi richiedenti.L’articolo 12, comma III, del DL 132/2014 contiene un divieto abbastanza significativo ovvero quello secondo cui l’accordo tra le parti non contenere patti di trasferimento patrimoniale.Tale scelta serve a tutelare il soggetto più debole della coppia che sarebbe senza dubbio penalizzato data la celerità e semplicità della procedura che attribuisce all’ufficiale di stato civile un ruolo meramente certificatore dell’accordo tra le parti.Il divieto riguarda esclusivamente i patti che hanno per effetto il trasferimento della proprietà o di altri diritti reali, poiché, l’accordo può prevedere l’obbligo di pagare una somma di denaro a titolo periodico sia in caso di separazione sia in caso di divorzio congiunto o la revoca o la revisione della misura dell’assegno in sede di modifica. Non sarà possibile prevedere il pagamento in un’unica soluzione dell’assegno periodico di divorzio in quanto spetta al tribunale valutare l’equità di tale pagamento e tale controllo non può essere effettuato dal sindaco il quale non può entrare nel merito della somma consensualmente decisa né della sua congruità.2 - È necessaria l’assistenza di un avvocato?Ai sensi dell’articolo 12, comma I, DL 132/2014 i coniugi posso fare tutto personalmente in quanto la presenza di un avvocato è facoltativa.La procedura si svolge dinanzi al sindaco del comune di residenza di uno dei due coniugi o di quello presso cui è iscritto o trascritto l’atto di matrimonio. 3 - Qual è il procedimento da seguire per raggiungere l’accordo?Ciascun coniuge presenta al sindaco una dichiarazione contenente la volontà di separarsi, far cessare gli effetti civili del matrimonio o ottenere lo scioglimento, o di sciogliere l’unione civile, indicando anche le condizioni concordate. Nel momento in cui il sindaco riceve le dichiarazioni va a compilare l’atto contenente l’accordo che sarà sottoscritto dallo stesso e lo farà sottoscrivere anche alle parti. Il sindaco non ha alcun compito di controllo ma è tenuto solamente a recepire quanto concordato dalle parti senza entrare nel merito della somma consensualmente decisa dalle parti né della sua congruità. Quando il sindaco riceve le dichiarazioni delle parti, le invita a comparire nuovamente di fronte a sé non pima di 30 giorni dalla ricezione per confermare l’accordo.Tale periodo interlocutore serve al sindaco per svolgere un mero controllo sulle dichiarazioni rese dagli interessati. Se i coniugi o le parti dell’unione civile non compaiono nella data indicata o, se compaiono non confermano le condizioni concordate, l’accordo non produce effetti.In questo caso il sindaco dovrà comunque iscrivere l’atto già redatto nei registri dello stato civile dove da atto della mancata conferma da parte degli interessati.Il sindaco, dopo la conferma dell’atto da parte degli interessati, va a comunicare la sua avvenuta iscrizione nei registri di stato civile alla cancelleria del tribunale. L’ufficiale dello stato civile procede: a) all’iscrizione dell’accordo nei registri dell’atto di matrimonio o negli archivi informativi; b) all’annotazione dell’accordo a margine dell’atto di matrimonio; c) all’annotazione dell’accordo sull’atto di nascita di ciascun coniuge.4 – Quali sono gli effetti dell’accordo? L’accordo concluso dinanzi all’ufficiale di stato civile produce gli effetti dei provvedimenti giudiziali che definiscono i procedimenti di separazione giudiziale, cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio e di modifica delle condizioni di separazione o divorzio. L’accordo di separazione dinanzi al sindaco legittima ciascun coniuge a richiedere il divorzio decorsi 6 mesi dalla data dell’atto contenente l’accordo di separazione concluso dinanzi all’ufficiale di stato civile.
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24 gen. 2022 • tempo di lettura 3 minuti
L’assegno unico universale è un beneficio economico mensile per favorire la natalità, sostenere la genitorialità e promuovere l’occupazione.Tale misura è stata introdotta con la legge delega al Governo 46/2021 in vigore dal 21 giugno 2021 ove sono fornite le linee guida generali che dovranno essere attuate con specifici decreti legislativi da emanarsi entro il 21 aprile 2022.Con l’introduzione dell’assegno unico si avrà il graduale superamento e soppressione degli Anf, dei trattamenti di famiglia per i lavoratori autonomi e delle detrazioni IRPEF per i figli a carico; la prestazione comunque non andrà ad assorbire o a limitare gli importi del bonus asilo nido.L’entrata in vigore di tale misura è prevista per il 1° marzo 2022 ma già dal 1° gennaio 2022 sarà possibile presentare la domanda telematica.1. Chi sono i destinatari dell’assegno unico universale?2. Quali sono i requisiti per richiedere l’erogazione dell’assegno unico universale?3. In che misura e con quali modalità viene erogato l’assegno unico universale?4. Qual è il rapporto tra l’assegno unico universale e le altre misure di sostegno?1 – Chi sono i destinatari dell’assegno unico universale?L’assegno unico spetta a tutte le famiglie con figli a decorrere dal 7° mese di gravidanza sino al compimento del 21° anni di età dei figli maggiorenni senza alcuna distinzione tra lavoratori dipendenti ed autonomi.Tale misura è riconosciuta ad entrambi i genitori ripartito tra gli stesse in eguale misura ed in caso di assenza spetta a chi esercita la responsabilità genitoriale.Nel momento in cui i genitori sono separati o divorziati in mancanza di accordo l’assegno è riconosciuto al genitore affidatario e nell’ipotesi di affidamento congiunto l’assegno è ripartito in pari misura tra i genitori, salvo diversi accordi tra gli stessi.Il figlio maggiorenne a carico può richiedere che l’assegno gli venga corrisposto direttamente. L’assegno unico universale per i figli maggiorenni è concesso solo nel momento in cui quest’ultimo frequenti un percorso di formazione scolastica o professionale, un corso di laurea, svolga un tirocinio o un’attività lavorativa con un reddito complessivo inferiore a un determinato importo annuale, sia registrato come disoccupato e in cerca di lavoro presso un centro dell’impiego o un’agenzia per il lavoro o svolga il servizio civile. 2 - Quali sono i requisiti per richiedere l’erogazione dell’assegno unico universale?Chi richiede l’assegno unico deve presentare cumulativamente i seguenti requisiti: a) essere in alternativa cittadino italiano o di uno Stato membro dell’UE, titolare del diritto di soggiorno; b) essere soggetto al pagamento dell’imposta sul reddito in Italia; c) risiedere o essere domiciliato con i figli a carico in Italia per la durata del beneficio; d) risiedere o avere avuto la residenza in Italia per almeno due anni, oppure essere titolare di un contratto di lavoro a tempo indeterminato o a termine di durata almeno biennale. 3 - In che misura e con quali modalità viene erogato l’assegno unico universale?Dal 1° gennaio 2022 è possibile presentare la domanda per l’assegno unico universale tramite l’apposito servizio online, la prestazione sarà erogata partire da marzo e andrà a sostituire le altre prestazioni e detrazioni.Il beneficio è modulato in base alla condizione economica del nucleo familiare individuata attraverso il modello ISEE più sarà basso maggiore sarà l’erogazione del beneficio. Chi non presenta l’Isee avrà comunque diritto alla percezione di un importo minimo e potrà presentarlo anche in un secondo momento L’erogazione dell’assegno unico universale non concorre alla formazione del reddito complessivo imponibile ai fini Irpef e verrà liquidato come: a) credito d’imposta oppure b) erogazione mensile di una somma di denaro.4 - Qual è il rapporto tra l’assegno unico universale e le altre misure di sostegno?La percezione dell’assegno è compatibile con: a) il reddito di cittadinanza ed è corrisposto congiuntamente ad esso con le stesse modalità dell’erogazione del Rdc; b) la fruizione di eventuali altre misure in denaro in favore dei figli a carico erogate dalle regioni, dalle province autonome di Trento e Bolzano e dagli enti locali.
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26 apr. 2021 • tempo di lettura 4 minuti
L’indennità di fine rapporto è considerata, dalla Cassazione, una retribuzione differita nel tempo e la destinazione, in percentuale fissa, di una quota di essa all’ex coniuge divorziato è stata vista come una modalità per attuare una partecipazione posticipata ai miglioramenti economici costruiti insieme dai coniugi in costanza di matrimonio. Al verificarsi di determinati presupposti, indicati dall’art. 12bis l. div., l’ex coniuge percettore di assegno divorzile può richiedere il riconoscimento del 40% dell’indennità totale riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio. Cosa si intende per indennità di fine rapporto?Quali sono i presupposti per l’attribuzione all’ex coniuge di una quota dell’indennità di fine rapporto?Qual è il momento di maturazione del diritto all’indennità di fine rapporto?Quali sono le modalità di calcolo dell’indennità di fine rapporto?1 – Cosa si intende per indennità di fine rapporto?La Legge n. 74/1987 ha previsto una rilevante novità, attraverso l’introduzione dell’articolo 12 bis l. div., in tema di partecipazione dell’ex coniuge divorziato al beneficio dell’indennità di fine rapporto percepita dal proprio ex coniuge dopo il divorzio. In particolare, all’interno dell’art. 12 bis l. div. viene utilizzata la generica espressione “indennità di fine rapporto”, motivo per il quale si è discusso sull’ambito oggettivo di applicazione della norma.L’indirizzo prevalente ritiene che nella nozione di indennità va ricompreso qualsiasi trattamento di fine rapporto, indipendentemente dalle espressioni usate, nei diversi settori, dal legislatore. Pertanto, vi rientrano i trattamenti spettanti ai dipendenti privati, ai lavoratori pubblici e ai lavoratori parasubordinati, come ad esempio l’indennità di risoluzione di rapporto di agenzia (cfr. Cass. 30.12.2005, n. 28874).Non vi rientrano, invece, l’indennità per l’incentivo al collocamento anticipato in pensione e il risarcimento del danno da mancato preavviso di licenziamento, in quanto hanno natura risarcitoria e non di retribuzione differita. Ed ancora, l’indennità in esame non può essere attribuita al coniuge separato e al beneficiario di un assegno di divorzio corrisposto in un’unica soluzione, perché esso esclude ulteriori richieste di contenuto economico.2 - Quali sono i presupposti per l’attribuzione all’ex coniuge di una quota dell’indennità di fine rapporto?I presupposti, indicati dall’art. 12 bis l. div., per l’attribuzione all’ex coniuge di una quota dell’indennità di fine rapporto percepita dal congiunge lavoratore sono tre:a) una sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio passata in giudicato, in tal caso, l’attribuzione della quota del t.f.r. può avvenire anche con la sentenza di divorzio, ossia con lo stesso provvedimento che attribuisce l’assegno di divorzio;b) il coniuge richiedente non dev’essere passato a nuove nozze. È possibile invece, per l’ex coniuge che abbia intrapreso una convivenza more uxorio richiedere tale beneficio;c) il coniuge che richiede la quota di t.f.r. deve essere titolare dell’assegno ex art. 5 L. div., ovvero, è necessario il concreto godimento dell’assegno di divorzio in quanto non è sufficiente l’astratta titolarità all’assegno.I predetti presupposti devono sussistere sia nel momento in cui matura il diritto al t.f.r. e sia al momento della richiesta di pagamento della quota. 3 – Qual è il momento di maturazione del diritto all’indennità di fine rapporto?Quanto al momento di maturazione del diritto all’indennità di fine rapporto, ossia quando il relativo diritto diventi certo ed esigibile, bisogna considerare diverse ipotesi:a) se il t.f.r. è maturato in costanza di matrimonio, l’altro coniuge non è titolare di alcun diritto sull’indennità percepita dal beneficiario, il quale potrà, quindi, disporre liberamente di tale somma, destinandola eventualmente ai bisogni della famiglia;b) se il t.f.r. è maturato nel corso del giudizio di separazione personale, il coniuge non ha alcun diritto sull’indennità percepita dal beneficiario. Tale attribuzione reddituale va ad incidere sulla capacità economica del beneficiario e il giudice potrà quindi stabilire – in presenza di tutti presupposti richiesti dall’art. 156 c.c. – l’obbligo di uno dei coniugi di contribuire al mantenimento dell’altro;c) se il t.f.r. è maturato successivamente alla conclusione del giudizio di separazione personale, ma prima del deposito della domanda di divorzio, l’altro coniuge non ha alcun diritto sull’indennità percepita dal coniuge beneficiario. Tale ipotesi, in quanto circostanza sopravvenuta e suscettibile di incidere sulla situazione economica del coniuge percipiente, potrà legittimare un’eventuale domanda di modifica delle condizioni stabilite in sede di separazione (cfr. art. 710 c.p.c.);d) se il t.f.r. è stato percepito dal coniuge beneficiario contestualmente o successivamente al deposito della domanda (singola o congiunta) di divorzio, l’art. 12 bis l. div. riconosce all’altro coniuge il diritto alla quota dell’indennità, la quale potrà essere liquidata con la stessa sentenza che accerti il diritto all’assegno divorzile, oppure in un distinto, successivo procedimento.Infine, nel caso in cui il giudizio di divorzio si sia concluso, l’ex coniuge beneficiario di una quota del t.f.r. potrà presentare apposita domanda, nella forma del ricorso, presso il Tribunale del luogo di residenza dell’ex coniuge percettore dell’indennità di fine rapporto, al fine del riconoscimento della quota spettante. 4 – Quali sono le modalità di calcolo dell’indennità di fine rapporto?L’art. 12 l. div. prevede la partecipazione del coniuge divorziato, titolare di assegno divorzile e non passato a nuove nozze, di una quota parte predeterminata nella misura percentuale fissa del 40% relativa agli anni nei quali il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio.La somma va calcolata tenendo conto unicamente del criterio della durata del matrimonio e non dell’effettiva convivenza (Cass. 31.01.2012, n. 1348). Inoltre, ai fini della determinazione della quota di indennità dev’essere considerato anche il periodo di separazione legale, il periodo di separazione di fatto e l’eventuale periodo di convivenza prematrimoniale. Editor: Avv. Elisa Calviello
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