Le obbligazioni naturali: l’ipotesi del pagamento del debito prescritto

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Pubblicato il 14 giu. 2021 · tempo di lettura 6 minuti

Le obbligazioni naturali: l’ipotesi del pagamento del debito prescritto | Egregio Avvocato
La disciplina delle obbligazioni nell’ordinamento giuridico italiano si basa su un assunto fondamentale: qualsiasi spostamento di ricchezza deve essere retto da una giustificazione causale. Ciò sta ad indicare, da un lato, che non vi può essere un arricchimento ingiustificato di un soggetto a scapito di un altro; dall’altro lato, che se manca la causa allo spostamento, deve essere previsto un rimedio, come ad esempio la ripetizione dell’indebito (art. 2033 c.c.)
Tale principio viene derogato dalle obbligazioni naturali: l’art. 2034 c.c. dispone, infatti, che in caso di obbligazioni naturali non è ammessa la ripetizione di quanto è stato spontaneamente prestato. Risulta, quindi, fondamentale comprendere quando si tratta di un’obbligazione naturale e quando, invece, è possibile ripetere quanto pagato.


1. Le obbligazioni naturali, qual è la natura giuridica

2. I requisiti delle obbligazioni naturali

3. Ipotesi tipiche e atipiche di obbligazioni naturali

4. Il pagamento del debito prescritto


1 - Le obbligazioni naturali, qual è la natura giuridica


L’art. 2034 c.c. dispone la disciplina generale delle obbligazioni naturali e sancisce che se sussiste un dovere morale o sociale e il soggetto (che deve essere capace) adempie a questo dovere in modo spontaneo, non è ammessa la ripetizione

Si tratta dell’adempimento di un’obbligazione che non è giuridica, e manca quindi di coazione giuridica, ma che trova comunque spazio all’interno dell’ordinamento giuridico. Viene, infatti, ammessa la teoria della pluralità degli ordinamenti: vi sono degli ordinamenti non statali, come quello dei cd. giochi tollerati (es. superenalotto), che ottengono un momento di rilevanza nell’ordinamento statale. L’inosservanza di un dovere morale o sociale comporta un giudizio di riprovazione e disistima tra i consociati.

L’art. 2034 c.c. pone una deroga a quanto previsto dall’art. 2033 c.c., secondo cui chi paga quanto non dovuto – e quindi dà vita ad un indebito – ha diritto a chiedere la ripetizione, escludendo la possibilità per il soggetto che adempie a tale dovere morale o sociale di chiedere la ripetizione di quanto spontaneamente adempiuto. L’effetto è quello della cd. soluti retentio, cioè l’estinzione di un rapporto preesistente.


In merito alla natura giuridica delle obbligazioni naturali, sono state sostenute due teorie:


  1. Una prima teoria, largamente prevalente, secondo la quale non si tratta di vere e proprie obbligazioni, ma di doveri che non hanno rilevanza giuridica se non nella fase dell’adempimento. Manca la giuridicità, e quindi la possibilità per il soggetto di esercitare la propria pretesa con un’azione giuridica.
  2. Una differente teoria, minoritaria, ritiene che le obbligazioni naturali siano vere e proprie obbligazioni, alle quali però manca il requisito della responsabilità. Vi è una scissione tra il debito e la responsabilità; ciò che sussiste nell’ipotesi dell’art. 2034 c.c. è solo la esistenza del debito.


Tra le due teorie, in giurisprudenza prevale una teoria intermedia: l’obbligazione naturale non esiste e non è una vera e propria obbligazione (di base accoglie la prima teoria), ma allo stesso tempo bisogna evidenziare che l’ordinamento italiano manifesta un favor verso l’adempimento dell’obbligazione naturale. Dunque, bisogna dare dignità giuridica anche a tutti quegli atti che hanno una funzione analoga all’adempimento “normale” (cioè, surrogati dell’adempimento). Di conseguenza, l’adempimento del terzo è ammesso nelle obbligazioni naturali perché ha la stessa funzione dell’adempimento, così come la datio in solutum; al contrario, la novazione di un’obbligazione naturale si ritiene inammissibile perché non è analoga all’adempimento, ma estingue e crea un nuovo rapporto. 


2 - I requisiti delle obbligazioni naturali


Per aversi obbligazione naturale non è sufficiente la mera non contrarietà al buon costume, ma è richiesto un quid pluris, identificabile nella doverosità morale o sociale: nel caso di mancato adempimento, si crea un giudizio di disistima. 

Si richiede inoltre che il soggetto che adempie sia capace, e che agisca spontaneamente: l’adempimento è rimesso alla libera scelta dello stesso, e non invece ad una coazione esterna. Inoltre, la giurisprudenza richiede anche la sussistenza della proporzionalità: la prestazione deve essere proporzionale ai mezzi di cui l’adempiente dispone e all’interesse che mira a soddisfare. 


3 - Ipotesi tipiche e atipiche di obbligazioni naturali


Il legislatore ha previsto esplicitamente delle ipotesi di obbligazioni naturali nel codice civile a fronte delle quali sussiste un dovere morale o sociale, che non è suscettibile di coazione giuridica, ma che una volta adempiuto non consente di chiedere indietro quanto prestato.

Ciò avviene, ad esempio, a fronte delle disposizioni fiduciarie (art. 627 co. 2 c.c.): la volontà del defunto, affidata al fiduciario, impegna la coscienza di quest’ultimo. Se il fiduciario spontaneamente esegue quanto disposto dal testatore, trasferendo i beni alla persona voluta dal testatore stesso, non potrà più agire per la ripetizione.  

Lo stesso è previsto in caso di pagamento di un debito di gioco o di scommessa, alla luce dell’art. 1933 c.c. che espressamente dispone che in questi casi non compete azione.

Sono ammesse nell’ordinamento italiano anche delle ipotesi atipiche di obbligazioni naturali: l’intero sistema di diritto privato è orientato alla atipicità delle fonti, quindi pacificamente possono essere previste delle ipotesi atipiche di obbligazioni naturali. Si tratta, ad esempio, dei contributi che vengono dati al convivente more uxorio per il mantenimento durante la convivenza; o anche del pagamento di debiti ultralegali non usurari, che siano stati stabiliti oralmente.


4 - Il pagamento del debito prescritto


Un’ipotesi maggiormente problematica è quella del pagamento del debito prescritto. L’art. 2940 c.c. dispone che non è ammessa la ripetizione di ciò che è stato spontaneamente pagato in adempimento di un debito prescritto.


Secondo una prima tesi, tale ipotesi rientra pienamente nella categoria di obbligazioni naturali. Il maggiore argomento a sostegno di tale tesi è quello letterale: il legislatore nel descrivere la disciplina dell’art. 2940 c.c. utilizza gli stessi termini che utilizza nelle obbligazioni naturali, escludendo la possibilità di ripetere quanto spontaneamente pagato. Se il debitore spontaneamente paga un debito che invece si era già prescritto, non potrà chiedere indietro quanto pagato.

Tuttavia, secondo una diversa tesi, vi sono delle divergenze tra il pagamento del debito prescritto e le obbligazioni naturali, tali per cui non è possibile sostenere che sia applicabile la medesima disciplina.

 

Un primo segnale di divergenza, in realtà, si rinviene già dalla lettera della legge: l’art. 2034 c.c. richiede non solo la spontaneità del pagamento, ma anche la capacità del singolo soggetto, mentre l’art. 2940 c.c. richiama solo la spontaneità, facendo quindi riferimento al fatto che, ai sensi di quanto previsto dall’art. 1191 c.c., il debitore non deve essere capace quando adempie. Il debito prescritto rientrerebbe ancora nella categoria delle obbligazioni civili, e non in quelle naturali, e di conseguenza non è richiesto il requisito della capacità del debitore. 


Inoltre, si evidenzia che se il debitore non eccepisce la prescrizione del debito, il giudice non potrà rilevarla. Quindi è evidente che il creditore potrà comunque far valere la propria pretesa in giudizio, e il debitore potrà anche essere condannato. 

È evidente quindi la differenza con le obbligazioni naturali: nel debito prescritto, comunque il creditore ha una pretesa che può far valere in giudizio; mentre nelle obbligazioni naturali il creditore non ha proprio l’azione. 



Infine, ulteriore argomento a favore della tesi che distingue il pagamento del debito prescritto dalle obbligazioni naturali è quello per cui la prescrizione non ha l’effetto della soluti retentio, quindi della estinzione del rapporto preesistente – come avviene per le obbligazioni naturali. L’unico effetto è quello di creare in capo al debitore un diritto potestativo alla estinzione (che può far valere in via di eccezione): se tale potere non viene esercitato, l’obbligazione civile continua a vivere.


Dunque, ai sensi di questa seconda tesi, il debito prescritto è un normale debito, che non viene degradato a debito naturale. Ne consegue che nel momento in cui il debitore adempie sta solo rinunciando al diritto di prescrizione, e che potranno trovare applicazione tutte le ordinarie regole delle obbligazioni civili.


Editor: dott.ssa Claudia Cunsolo

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Vaccini e Responsabilità genitoriale

4 dic. 2021 tempo di lettura 4 minuti

In tempi di COVID, i contrasti tra i genitori si acuiscono ancor di piú, in relazione ad un tema che é diventato di stringente attualitá per tutti noi, vale a dire il vaccino anti COVID.In via preliminare, vogliamo sottolineare come, a nostro parere, al momento la vexata quaestio sulla vaccinazione abbia assunto toni da guerra civile, il che appare, a parere dello scrivente, assolutamente fuori luogo. Per inciso, riteniamo che, di fronte ad una minaccia globale, la sola risposta da fornire sia quella data dalla scienza, la quale sola puó fornire le informazioni sufficienti ad ognuno di noi per poter decidere se volersi proteggere o meno. Ma quid iuris quando il problema si pone per un minore, per il quale il potere decisionale spetta a chi ha la responsabilità genitoriale?Uno spunto interessante ci viene da recenti decisioni del Tribunale di Monza, sempre attento a problematiche nuove ed attuali.Un padre "no vax" rifiutava l'assenso al vaccino, senza considerare la volontà espressa dal figlio minore di anni 15, senza tenere conto dell´art. 3 legge n. 219/2017, secondo cui «il consenso informato al trattamento sanitario del minore è espresso o rifiutato dagli esercenti la responsabilità genitoriale tenendo conto della volontà della persona minore, in relazione alla sua età e al suo grado di maturità, e avendo come scopo la tutela della salute psicofisica e della vita del minore nel pieno rispetto della sua dignità». Veniva pertanto introitato un ricorso ex art. 709-ter per contrasti nell'esercizio della responsabilità genitoriale in ambito sanitario, sub specie di consenso al vaccino anti Covid-19. Il Tribunale, valutato il concreto pericolo per la salute del minore, il diffondersi della malattia sul territorio nazionale, la circostanza che i trattamenti vaccinali sono considerati dalla comunità scientifica efficaci, sospendeva momentaneamente la responsabilità del genitore contrario al vaccino.Analogamente il Tribunale di Milano prendeva posizione al riguardo, con una decisione che susciterà un intenso dibattito al riguardo.Il padre di una bambina di 11 anni, conveniva in giudizio la sua ex moglie che si opponeva a somministrare alla loro figlia i vaccini (sia quelli obbligatori per legge che quelli facoltativi ma utili per la tutela della salute). La donna si opponeva persino ai tamponi molecolari per la diagnosi del COVID-19 ed il test antigenico per accedere alle lezioni scolastiche. Chiedeva, pertanto, il padre, di essere autorizzato, anche a fronte di mancato consenso o dissenso materno, a prestare da solo l’assenso affinché la figlia minore infrasedicenne possa ricevere le mancanti vaccinazioni obbligatorie e i richiami vaccinali obbligatori ancora non effettuati, come da legge 119/2017, nonché le vaccinazioni facoltative raccomandate, al compimento del 12° anno d’età o comunque secondo le indicazioni del pediatra e di essere autorizzato a prestare, da solo e senza necessità del consenso materno, l’assenso affinché la figlia possa effettuare, ogni volta che sarà necessario, il tampone anti-COVID. Il Tribunale di Milano ribadisce che per i minori di età compresa tra 0 e 16 anni e per tutti i minori stranieri non accompagnati sono obbligatorie e gratuite, in base alle specifiche indicazioni del calendario vaccinale nazionale, le vaccinazioni obbligatorie per legge (come, ad esempio, l´anti-poliomielitica, l´anti-difterica, l´anti-tetanica, l´anti-epatite B, l´anti-pertosse, l´anti-Haemophilus influenzae tipo b, l´anti-morbillo, l´anti-rosolia, l´anti-parotite, l´anti-varicella).Quanto al vaccino anti covid, il Tribunale sottolineava che esso é raccomandato dalla scienza medica a livello internazionale e, pertanto, autorizzava il padre a «provvedere in autonomia, senza il consenso della madre», a sottoporre la figlia a tutte le vaccinazioni obbligatorie e raccomandate; a farle i tamponi molecolari per la diagnosi del COVID-19 tutte le volte che sia necessario; a farle mettere la mascherina a scuola e in tutte le situazioni imposte dalla legge; e, quando la figlia compirà 12 anni, «a valutare in autonomia, sempre senza l’accordo della madre, se sia necessario o anche solo opportuno somministrarle il vaccino anti COVID, visti gli approdi della scienza, le autorizzazioni degli enti regolatori, le norme di legge e le raccomandazioni del pediatra».Entrambe le decisioni ci sembrano condivisibili sia da un punto di vista giuridico che etico, e rimarcano - qualora ce ne fosse ancora bisogno, che il diritto vigente, in tema di tutela della salute, non puó discostarsi dalle "raccomandazioni" della scienza medica, frutto della piú accurata ricerca farmacologica. In ogni caso, siamo sicuri che queste sentenze faranno non poco discutere gli operatori del diritto e i cittadini comuni. Ben venga la discussione, purché essa rimanga nei limiti di un confronto pacato e rispettoso della libertà di pensiero altrui.

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Bigenitorialità e trasferimento del minore: Cosa afferma la Cassazione?

24 mar. 2025 tempo di lettura 3 minuti

L'affido dei minori in tema ad un processo di separazione e di divorzio comporta la valutazione di diverse problematiche che devono essere attentamente valutate. Il legislatore ha deciso di scegliere come modalità tipica il cosiddetto "affido condiviso" con collocamento prevalente presso uno dei genitori (in genere la madre). Ed invero, l’articolo 337 ter c.c. afferma che il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ognuno dei genitori, di ricevere attenzione, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ognuno dei rami genitoriali. Tale formulazione viene solitamente identificata con il cosiddetto principio di bigenitorialità.La formula, dall'introduzione ad oggi, ha evidenziato problemi sia a carattere organizzativo che prettamente giuridico. Pur apprezzando le intenzioni originarie del legislatore, va comunque evidenziato che l'esperienza dell'affido condiviso non è stata completamente soddisfacente: in primis, è emerso come le problematiche di separazione e divorzio tra i genitori vengono semplicemente trasferite all'affido, con il risultato che le tensioni tra gli ex partner si ripercuotono, mutatis mutandis, anche nei rapporti con i figli.  Inoltre, i vantaggi teorici che si dovrebbero avere con una tale formula vengono cancellati semplicemente dal fatto di dover condividere decisioni tra persone che litigano per tutto. Alla luce di quanto detto, appare anche qui necessario un nuovo intervento del legislatore, che cerchi, da un lato, di ribadire la  necessità della bigenitorialità , e, dall'altro, di limitare le possibilità di conflitto tra i partner. Proprio il diritto alla bigenitorialità dovrebbe rimanere sempre e comunque garantito, anche prediligendo scelte che potrebbero danneggiare gli interessi dei genitori.Quid iuris, ad esempio, in caso di trasferimento di uno degli ex coniugi in un altro Comune molto distante?Qualche hanno fa, gli Ermellini con l'Ordinanza pubblicata in data 14 febbraio 2022 n. 4796, avevano preso posizione sul tema, dichiarando che la tutela dell’interesse preminente del minore ad una crescita equilibrata nel rapporto con entrambi i genitori, è soddisfatta quando la relazione con il genitore non collocatario viene riconosciuta per contenuti ampliativi e forme alternative, quanto ai tempi di frequentazione, a quelle godute precedentemente. L’interesse del genitore collocatario viene, quindi, considerato dal giudice purché questo avvenga "in equilibrio con la disciplina del diritto di visita del figlio da parte del genitore non collocatario a tutela del diritto alla bigenitorialità". Al riguardo sottolinea la Suprema Corte: “il giudice del merito chiamato ad autorizzare il trasferimento di residenza del genitore collocatario del minore deve pertanto valutare con l’interesse di quest’ultimo, nell’apprezzata sussistenza della residenza abituale quale centro di interessi e relazioni affettive, quello del genitore che abbia richiesto il trasferimento e, ancora, del genitore non collocatario su cui ricadono gli effetti del trasferimento autorizzato, per le diverse peggiorative modalità di frequentazione del figlio che gliene derivino”.Recentemente, la Cassazione è ritornata sull'argomento con l'ordinanza numero 12282 del 7 maggio 2024, accogliendo il ricorso di un padre  napoletano che si era visto trasferire dalla ex i suoi tre figli a Pordenone, e negando il consenso al trasferimento dei minori troppo lontano dall'ex, anche se per motivi di lavoro: prendere la residenza a 800 km dal padre, come in questo caso, sacrificherebbe il diritto di visita e l'esercizio della bigenitorialità.Non possiamo che condividere tale decisione, che sottolinea l'importanza della tutela della bigenitorialità, nel supremo interesse del minore.Auguriamoci che si possa procedere in futuro su tale strada.

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