Egregio Avvocato
Pubblicato il 29 giu. 2021 · tempo di lettura 4 minuti
Uno dei provvedimenti più importanti che deve assumere il Tribunale è quello relativo a quale dei genitori deve essere assegnata l’ex casa familiare nei procedimenti di separazione e divorzio oltre che nei procedimenti in camera di consiglio a tutela dei figli nati fuori del matrimonio.
L’assegnazione della casa familiare a uno dei coniugi risponde all’esigenza di far conservare ai figli l’habitat domestico, inteso come il centro degli effetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare, al fine di non far gravare sui figli stessi l’ulteriore trauma dello sradicamento dal luogo in cui si svolgeva la loro esistenza.
L’articolo 337 sexies c.c. stabilisce che la casa familiare deve essere assegnata tenendo conto prioritariamente conto dell’interesse dei figli indipendentemente dalle condizioni economiche dei genitori.
Oggetto di assegnazione è solo quell’immobile che sia stato centro di aggregazione durante la convivenza comprendente anche i beni mobili, gli arredi, le suppellettili e dell’attrezzatura tesi ad assicurare le esigenze della famiglia.
1 – Quali sono i presupposti per l’assegnazione della casa coniugale?
Secondo quanto statuito dal codice civile e dalla legge divorzile il godimento della casa familiare è attribuito tenendo conto esclusivamente dell’interesse dei figli.
Il Tribunale prima di provvedere all’assegnazione della casa familiare deve verificare che, da un lato sussistano figli minori o maggiorenni non autonomi, in secondo luogo che il collocamento dei figli avvenga in favore di uno dei genitori al quale andrà assegnata la casa ed infine che la casa di cui si chiede l’assegnazione sia quella familiare cioè quella occupata dai genitori prima del provvedimento giudiziale.
L’assegnazione della casa familiare comporterà l’assegnazione del mobilio compreso ed il genitore tenuto ad allontanarsi potrà asportare solo i propri effetti personali.
In presenza di figli minori, ciascuno dei genitori è obbligato a comunicare all’altro, entro il termine perentorio di trenta giorni o quello indicato all’interno dell’accordo di separazione/divorzio, l’avvenuto cambio di residenza o di domicilio.
L’assegnazione della casa per provvedimento del giudice comporterà che il genitore beneficiario subentri in tutti i diritti e dovere correlati come il pagamento degli oneri condominiali e simili.
In sostanza il genitore assegnatario dovrà corrispondere al condominio le spese di gestione ordinaria, nonché dovrà far fronte a tutte le utenze.
Per quanto riguarda gli oneri condominiali straordinari, questi secondo la normativa generale, restano a carico del proprietario.
2 - Il diritto del coniuge assegnatario è opponibile ai terzi?
A tutela dell’assegnatario la legge prevede espressamente che il provvedimento di assegnazione è suscettibile di trascrizione nell’apposito registro immobiliare della Conservatoria per renderlo opponibile a eventuali terzi che abbiano acquistato la casa dopo la trascrizione.
È possibile opporre l’assegnazione anche a chi intende costituire altri diritti reali sulla casa.
Ciò significa che i terzi a cui è nota l’esistenza dell’assegnazione, in quanto trascritta, devono attendere la revoca o la cessazione di tale provvedimento per poter entrare in possesso dell’immobile acquistato.
È necessario precisare che se l’assegnazione è disposta sulla base della concorde richiesta dei coniugi in sede di giudizio di separazione, in assenza di figli minori o maggiorenni non autosufficienti, non è opponibile né ai terzi e né al coniuge non assegnatario che vuole proporre domanda di divisione del bene di cui è proprietario.
L’opponibilità è infatti collegata al presupposto che il coniuge assegnatario sia anche affidatario dei figli.
3 - Se la casa coniugale è in locazione il coniuge assegnatario subentra ex lege nel contratto?
Nel momento in cui la casa coniugale è in locazione e il contratto è intestato al genitore estromesso oppure ad entrambi i coniugi, in caso di separazione giudiziale (e nel caso di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio) subentra solo il coniuge a cui è assegnata la casa familiare.
Per legge il coniuge assegnatario subentra nel contratto di locazione e diventa naturalmente obbligato al pagamento dei canoni e delle relative spese di conduzione.
Tale effetto legale si produce anche in capo al convivente di fatto affidatario della prole.
4 - Quanto avviene l’estinzione del diritto di godimento della casa coniugale?
Le legge indica determinati presupposti, in presenza dei quali, le parti possono chiedere al giudice di revocare l’assegnazione della casa familiare: a) nel momento in cui i figli non convivono più o diventano economicamente indipendenti; b) il coniuge assegnatario non abita più nella casa familiare o cessa di abitarvi stabilmente; c) il coniuge assegnatario inizia una convivenza more uxorio nella casa assegnata o contrae nuovo matrimonio; c) uno dei coniugi cambio la propria residenza o domicilio.
Nel momento in cui si verificano uno dei predetti fatti l’assegnazione non viene meno di diritto ma sarà il coniuge interessato chiedere la revoca al Tribunale, il quale dovrà decidere in base alla valutazione nell’interesse primario dei figli minori.
Il coniuge interessato alla revoca dell’assegnazione della casa coniugale dovrà presentare ricorso per la modifica delle condizioni di separazione o di divorzio ed avrà l’onore di provare il fatto posto alla base della richiesta di revoca.
La prova sarà abbastanza rigorosa nel momento in cui c’è la presenza di figli affidati o conviventi con l’assegnatario, in ogni caso il giudice deve verificare se la revoca contrasti con i preminenti interessi della prole.
Editor: Avv. Elisa Calviello
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Egregio Avvocato
19 mag. 2022 • tempo di lettura 5 minuti
Il patrimonio del debitore costituisce la garanzia di cui il creditore dispone. Una garanzia certamente generica in quanto l’asservimento del singolo bene al soddisfacimento coattivo del creditore si realizza solamente con il pignoramento, ma anche solo potenziale poiché sin quando il creditore non si munisce di un titolo esecutivo non può aggredire il patrimonio del debitore.L’ordinamento, tuttavia, tutela, sin dal momento in cui il credito sorge, l’interesse del creditore alla conservazione dell’integrità del patrimonio del debitore attraverso i c.d. mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale, vale a dire: azione surrogatoria, azione revocatoria e sequestro conservativo.Caratteri generali dei mezzi di conservazione della garanzia patrimonialeL’azione surrogatoriaL’azione revocatoriaIl sequestro conservativo1 - Caratteri generali dei mezzi di conservazione della garanzia patrimonialeAi sensi e per gli effetti di cui all’articolo 2740 del codice civile il debitore garantisce l’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri. Ne consegue, quindi, che nell’ipotesi in cui il debitore sia inadempiente, il creditore è legittimato ad agire, in via esecutiva, sul patrimonio dello stesso.Intraprendere un’azione esecutiva sui beni del debitore inadempiente, tuttavia, non è sempre conveniente. Difatti, il creditore potrebbe scoprire che il patrimonio del debitore non è sufficiente a soddisfare il proprio creditore, oppure il debitore potrebbe sottrare i propri beni dall’esecuzione forzata. In queste ipotesi, il creditore può avvalersi degli strumenti previsti dal legislatore a norma degli articoli 2900 e seguenti del codice civile. Si tratta dei c.d. mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale: azione surrogatoria, azione revocatoria e sequestro conservativo. Questi rimedi hanno carattere preventivo e cautelare poiché possono essere esperiti prima che l’inadempimento si consumi e mirano a conservare la garanzia patrimoniale del debitore, evitando così che questi possa disfarsene e arrecare, di conseguenza, un pregiudizio all’interesse del creditore.2 - L’azione surrogatoriaPrimo mezzo di conservazione della garanzia patrimoniale è l’azione surrogatoria. L’articolo 2900 del codice civile attribuisce al creditore la legittimazione a sostituirsi al debitore nell’esercizio di un diritto o di un’azione che questi, pur essendone titolare, ometta di far valere nei confronti di un soggetto terzo. L’inerzia del debitore, infatti, incide in maniera negativa sul proprio patrimonio sia perché ne impedisce un possibile incremento sia perché ne può causare un decremento, con la conseguenza che vi è un pregiudizio della garanzia patrimoniale del creditore.Sebbene questo rimedio sia noto come azione surrogatoria, sarebbe preferibile affermare che al creditore sia attribuita una legittimazione surrogatoria all’esercizio dei diritti del proprio debitore. Difatti, innanzitutto, tale surrogazione può risolversi anche in una mera attività stragiudiziale. Inoltre, quando il creditore agisce in giudizio in luogo del proprio debitore, non esercita effettivamente un’azione individuata tipicamente dal legislatore, ma promuove l’azione che competerebbe, nel caso di specie, al debitore stesso.Il rimedio dell’azione surrogatoria è esperibile esclusivamente nel caso in cui sussistano tre presupposti: 1) il creditore deve vantare un credito nei confronti del debitore a cui si sostituisce, pur non essendo necessario che esso sia liquido ed esigibile; 2) l’inerzia del debitore; 3) il c.d. periculum damni, ossia il pericolo attuale di un pregiudizio futuro causato dall’inerzia del debitore.Per quanto riguarda i diritti che il creditore può esercitare in luogo del debitore, l’articolo 2900 del codice civile fa riferimento ai diritti e alle azioni che spettano al debitore verso terzi, vale a dire le posizioni di vantaggio che si radicano all’interno di un rapporto giuridico, mentre il creditore non può surrogarsi al proprio debitore nell’esercizio di diritti reali.3 - L’azione revocatoriaNel caso in cui il debitore abbia compito un atto dispositivo che rechi pregiudizio alle ragioni del creditore, quest’ultimo può promuovere l’azione revocatoria alfine di ottenere che l’atto in questione sia dichiarato inefficace nei suoi confronti. Tuttavia, l’atto revocato resta valido ed efficace erga omnes, in quanto la sua inefficacia riguarda esclusivamente il creditore che eccepisce l’azione revocatoria.L’azione revocatoria si prescrive in cinque anni dalla data dell’atto dispositivo. Quanto ai presupposti, in primis va detto che vi deve essere l’effettiva esistenza del credito, sebbene possa essere soggetto a termine o a condizione.In secondo luogo, l’azione può colpire solo gli atti di disposizione, cioè quelli con cui si trasferisce la proprietà di un bene, quelli con cui si costituisce un diritto reale di godimento o di garanzia su un bene e quelli con cui il debitore assume un’obbligazione verso un terzo.Inoltre, l’atto di disposizione può essere revocato solo nel caso in cui rechi pregiudizio alle ragioni del creditore. Questo presupposto ricorre quando l’atto comporta una diminuzione quantitativa del patrimonio del debitore oppure renda più difficoltoso il soddisfacimento delle ragioni creditorie.Infine, è necessario un presupposto di carattere soggettivo che si atteggia in maniera differente a seconda che l’atto dispositivo sia gratuito o a titolo oneroso. Nella prima ipotesi, è sufficiente che il debitore fosse consapevole del pregiudizio procurato dall’atto al proprio creditore, mentre nella seconda ipotesi il creditore dovrà provare che anche il terzo acquirente fosse a conoscenza dell’incidenza negativo dell’atto sul patrimonio del debitore.4 - Il sequestro conservativoTerzo e ultimo mezzo di conservazione della garanzia patrimoniale previsto dal codice civile è il sequestro conservativo.Il sequestro conservativo di un bene – mobile o immobile che sia – è una misura cautelare che il creditore può chiedere quando, avendo promosso o essendo in procinto di promuovere una domanda diretta ad ottenere la condanna del debitore all’adempimento di un’obbligazione, nutra il fondato timore di perdere la garanzia patrimoniale del proprio credito offerta dal bene di cui si chiede il sequestro.L’accoglimento dell’istanza di sequestro conservativo comporta che gli atti posti in essere dal debitore risultino inopponibili al creditore sequestrante. Se all’esito del giudizio la pretesa creditoria si dovesse rivelare infondata, il sequestro perderà ogni effetto. Laddove, invece, il giudizio si dovesse chiudere con una condanna all’adempimento del debitore, il sequestro si convertirà nel pignoramento del bene in questione. Tuttavia, tale conversione non si verifica quando il creditore, nell’esercizio di un’azione revocatoria, chieda il sequestro conservativo del bene nei confronti del terzo acquirente al fine di evitare che questi alieni ulteriormente il bene. Difatti, in questa ipotesi il sequestro non è volto ad anticipare il vincolo di indisponibilità derivante dal pignoramento, bensì l’inopponibilità al creditore dell’atto compiuto dal debitore.
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2 mag. 2025 • tempo di lettura 3 minuti
Con mantenimento diretto ci si riferisce a quella forma di assistenza economica che il genitore separato dà ai propri figli non versando un assegno periodico, ma provvedendo direttamente a soddisfare le loro esigenze. Si tratta di una modalità di sostegno che contribuisce a una piena attuazione del principio della bigenitorialità in quanto, in sostanza, crea una situazione il più possibile simile a quella di una famiglia unita.Ciò premesso, tale forma di mantenimento non è stata in passato particolarmente apprezzata dalle Corti italiane. Ed invero, Giurisprudenza di legittimità osserva che "il coniuge - divorziato o separato - ha diritto ad ottenere, iure proprio, dall'altro coniuge, il contributo per mantenere il figlio minorenne o maggiorenne convivente, non in grado di procurarsi autonomi mezzi di sostentamento (Cass. 11863 del 25 giugno 2004), e l'affidamento congiunto del figlio ad entrambi i genitori - previsto dall'articolo sei della legge sul divorzio (1 dicembre 1970, numero 898, come sostituito dall'articolo 11 della legge 6 marzo 1987, numero 74), analogicamente applicabili anche alla separazione personale dei coniugi - è istituto che, in quanto fondato sull'esclusivo interesse del minore, non fa venir meno l'obbligo patrimoniale di uno dei genitori di contribuire, con la corresponsione di un assegno, al mantenimento dei figli, in relazione alle loro esigenze di vita, sulla base del contesto familiare e sociale di appartenenza, rimanendo per converso escluso che l'istituto stesso implichi, come conseguenza "automatica", che ciascuno dei genitori debba provvedere paritariamente, in modo diretto e autonomo, alle predette esigenze, principio confermato nelle nuove previsioni della legge 8 febbraio 2006, numero 54, in tema di affidamento condiviso (Cass. n. 26060 del 10/12/2014; Cass. n. 16376 del 29/07/2011; Cass. n. 18187 del 18//8/2006").Anche la sentenza della Cassazione n. 16739 del 6 agosto 2020 ribadisce lo stesso concetto: "l'obbligo di mantenimento del minore da parte del genitore non collocatario deve far fronte ad una molteplicità di esigenze, non riconducibili al solo obbligo alimentare, ma estese all'aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario, sociale, all'assistenza morale e materiale, alla opportuna predisposizione di una stabile organizzazione domestica, idonea a rispondere a tutte le necessità di cura e di educazione, secondo uno standard di soddisfacimento correlato a quello economico e sociale della famiglia, di modo che si possa valutare il tenore di vita corrispondente a quello goduto in precedenza.".Dello stesso tono Cass. n. 1722 del 16 giugno 2021, secondo cui il mantenimento diretto non sarebbe conciliabile con il regime dell'affido condiviso. Questa interpretazione non è ben accetta alla dottrina più attenta, che non ha mancato di sollevare pesanti critiche a questa impostazione anacronistica.Ultimamente, però, attenta Giurisprudenza di merito sembra aver rivisto le proprie posizioni.Apripista in questo senso è stato il Tribunale di Perugia, che già nel lontano 2012, sottolineava che il mantenimento diretto era l'unico strumento per realizzare pienamente un affido condiviso, sottolineando che "se il figlio passa lo stesso tempo a turno con entrambi i genitori va revocato l’assegno di mantenimento previsto, in via provvisoria, a carico del padre in favore della madre". Anche il Tribunale di Alessandria (Trib. Alessandria 31.05.2022) ribadiva questo concetto, supportandolo con il fatto che esso realizza pienamente l'idea di bigenitorialità che permea il nostro diritto di famiglia.Anche la Suprema Corte, in una recente sentenza, sembra aver recepito questo orientamento, il che lascia ben sperare che nel futuro - si psera prossimo - gli Ermellini possano davvero decidere un cambio di rotta che non solo corrisponde ad una diffusa logicità, ma che anche appare potenzialmente in grado di eliminiare (o, quanto meno, ridurre) il contenzioso di famiglia. Non dimentichiamo, infatti, che obbligazioni di pagamento (spesso confuse come rendite vitalizie) diventano un incentivo a cause di divorzio che hanno come unico scopo quello di garantirsi un'entrata fissa.Cosa accade, quando il figlio diventa maggiorenne? Ne parleremo nel prossimo articolo.
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5 feb. 2021 • tempo di lettura 5 minuti
Riferimenti normativi: art. 337 ter c.c., Carta dei diritti dei figli nella separazione dei genitori, Convenzione di New York del 1989, Convenzione di Strasburgo del 1996.Sentenza in commento: Tribunale Torre Annunziata, 06/04/2020, (ud. 06/04/2020, dep. 06/04/2020).Il fattoCon ricorso depositato il 17.03.2020, ai sensi dell’art. 4 comma 8 legge 898/1970, dinanzi al Tribunale di Torre Annunziata la ricorrente P.A. chiedeva di “sospendere temporaneamente e sino alla cessazione dell’emergenza sanitaria in essere, le visite tra padre e la figlia minore A., affetta da grave patologia dello spettro autistico, restando assicurata una videochiamata ogni giorno e la possibilità di recuperare le visite perse non appena sarà possibile”.A fondamento della propria richiesta la ricorrente P.A. evidenziava l’esigenza di tutela della salute della minore e l’esigenza di riduzione del rischio di contagio in virtù delle misure emergenziali previste dalla disciplina statale (d.p.c.m del 09.03.2020) e dall’ordinanza emessa del Presidente della Regione Campania n. 15/2020.Inoltre la ricorrente P.A. dava atto della sospensione delle attività del Centro Serapide (ove la minore di reca a fare riabilitazione e incontra il padre una volta a settimana) e del Polo per la famiglia preso la IV Municipalità di Napoli ( dove A. incontra il padre una volta a settimana).Il resistente S.A., costituendosi in giudizio, si opponeva a tale richiesta sottolineando il benefico psico - fisico che la figlia trae dagli incontri con il padre e che lo stesso non esporrebbe mai la figlia A. a nessun pericolo di contagio “limitandosi a prelevare la figlia dal suo domicilio per condurla a casa sua senza alcun rischio”.Il diritto di visita del convenuto S.A. e la figlia minore A. veniva disciplinato con l’ordinanza del 10.03.2019 prevendo la facoltà per il padre di vedere e tenere con sé la figlia per due volte al mese, a settimana alterne, una volta il sabato ed una volta la domenica, liberamente, per tre ore dalle 15.30 alle 18.30 alla presenza della nonna paterna o di altre persone di fiducia.La questionePuò il diritto di visita del genitore non collocatario essere sospeso per ragioni sanitarie per tutto il periodo emergenziale causato dal Covid 19?La soluzioneIl Tribunale rigettava la richiesta di sospensione delle visite del padre S.A. con la minore A. avanzata dalla ricorrente P.A. autorizzando il resistente ad effettuare le visite per tutto il periodo emergenziale causato dal Covid 19.Alla luce dei decreti legge e dei DPCM che si stanno susseguendo al fine di evitare il diffondersi del contagio del Covid 19, il Governo ha avuto modo di chiarire che “gli spostamenti per raggiungere i figli minorenni presso l’altro genitore o comunque presso l’affidatario, oppure per condurli presso di sé, sono consentiti, in ogni caso secondo le modalità previste dal giudice con i provvedimenti della separazione o divorzio” (cfr. FAQ sul sito del Governo).Nel caso di specie il Giudice esaminava anche l’ordinanza n. 15 del 13.03.2020 con la quale il Presidente della Regione Campania precisava che sono considerate situazioni di necessità ( che legittimano spostamenti temporanei ed individuali), quelle correlate ad esigenze primarie delle persone.Il Giudice sulla base dei predetti interventi governativi considerava leciti gli spostamenti finalizzati all’attuazione della frequentazione da parte del figlio minore con il genitore non collocatario.Il generico riferimento all’emergenza sanitaria non può comprimere il diritto del figlio a godere di congrua frequentazione con entrambi i genitori dove tale frequentazione con il genitore non collocatario è fondamento essenziale all’equilibrio psico – fisico del minore.È compito dei genitori garantire regolari rapporti genitoriali ai minori al fine trasmettere agli stessi fiducia e serenità anche con riferimento alle relazioni effettive con i propri genitori.Conclusioni In questo periodo di restrizioni e cautele la decisione adottata dal Tribunale di Torre Annunziata è abbastanza significativa nella parte in cui va a tutelare il diritto alla bi-genitorialità che assume rilievo nell’ordinamento costituzionale interno e nell’orientamento internazionale. Nel caso di specie il Tribunale ha attuato una particolare e delicata operazione di bilanciamento degli interessi in gioco dove i valori di riferimento potenzialmente confliggenti sono rappresentati, da un lato, dal diritto alla bi-genitorialità del minore, e, dall’altro, dal diritto alla salute.Nel momento in cui cessa la relazione affettiva e quindi la convivenza tra i genitori, il figlio minore, ai sensi dell’articolo 337 ter c.c., ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale.Il diritto alla bi-genitorialità può essere compresso solo in presenza di oggettive e specifiche ragioni di tutela della salute proprie del caso di specie (per esempio in considerazione della specifica attività lavorativa del genitore, ovvero dalla provenienza da zone “rosse” o da contesti abitativi esposti in misura rilevante al pericolo di contagio, ovvero dall’utilizzo di mezzi di trasporto pubblici per raggiungere il minore).In un periodo di attuale emergenza sanitaria i minori sono i soggetti più vulnerabili e maggiormente colpiti dalle misure per contenere il contagio Covid – 19.Basti pensare alla chiusura delle scuole unitamente all’interruzione di tutte quelle attività extra scolastiche che un minore compie quotidianamente oltre al divieto di incontrare parenti ed amici.È necessario, dunque, in un periodo delicato di restrizioni e cautele, garantire ai minori regolari rapporti genitoriali al fine di trasmettere fiducia e serenità agli stessi.Sarà compito dei genitori, nell’esercizio della loro responsabilità genitoriale, individuare le misure adeguate alla tutela della salute della prole nel momento in cui viene esercitato il diritto di visita del genitore non collocatorio.Uno dei doveri del genitore collocatario è proprio quello di favorire il rapporto tra i figli e l’altro genitore evitando di porre in essere comportamenti inspiegabilmente ostruzionisti o limitativi quali ad esempio l’istaurazione di giudizi di modifica delle condizioni di separazione o divorzio in merito ai provvedimenti di affidamento o collocamento dei minori.
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27 dic. 2021 • tempo di lettura 1 minuti
L'affidamento dei figli e la conseguente decisione sul collocamento prevalente dei minori è da sempre al centro di particolare attenzione da parte della giurisprudenza di merito e di legittimità. In particolare, il nostro Ordinamento prevede che la decisione venga prese tenendo in considerazione il supremo interesse del minore, in base al quale il Giudice chiamato a decidere sul caso concreto valuterà, tra l'altro, il tempo trascorso dall'eventuale avvenuto spostamento, le nuove abitudini di vita, e se l’improvviso cambiamento possa comportare un distacco dannoso dal genitore con cui ci sia stata una precedente convivenza (Cass. Viv. Sez. I, 04.06.2010, n. 13619). In un tale inquadramento non rimane, pertanto, alcun posto per quello che parte della dottrina definisce "maternal preference".Autorevole Dottrina sottolinea che un tale criterio interpretativo (che, de facto, finirebbe par favorire sempre e comunque la madre) non solo no appare normativamente previsto dal nostro Codice Civile, ma è in palese contrasto con la ratio della legge n. 54/2006 sull'affidamento condiviso.L'impostazione seguita in Italia trova, del resto, piena condivisione anche livello internazionale, dove i principi di bigenitorialità e di parità genitoriale hanno da tempo condotto all’abbandono del criterio della maternal preference per favorire quello del gender neutral child custody, che si basa sulla neutralità del genitore affidatario, che può dunque essere sia il padre, sia la madre, in base al solo preminente interesse del minore. In altre parole, oggigiorno non è più il genere a generare una preferenza per l’uno o l’altro genitore, ma solo il benessere del minore. Ci sentiamo di condividere appieno questo orientamento, augurandoci che esso possa trovare sempre maggiore consenso nelle aule di Tribunale. Prof. Avv. Domenico Lamanna Di Salvo MATRIMONIALISTA - DIVORZISTA - CURATORE SPECIALE DEL MINORE
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