Egregio Avvocato
Pubblicato il 29 giu. 2021 · tempo di lettura 4 minuti
Uno dei provvedimenti più importanti che deve assumere il Tribunale è quello relativo a quale dei genitori deve essere assegnata l’ex casa familiare nei procedimenti di separazione e divorzio oltre che nei procedimenti in camera di consiglio a tutela dei figli nati fuori del matrimonio.
L’assegnazione della casa familiare a uno dei coniugi risponde all’esigenza di far conservare ai figli l’habitat domestico, inteso come il centro degli effetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare, al fine di non far gravare sui figli stessi l’ulteriore trauma dello sradicamento dal luogo in cui si svolgeva la loro esistenza.
L’articolo 337 sexies c.c. stabilisce che la casa familiare deve essere assegnata tenendo conto prioritariamente conto dell’interesse dei figli indipendentemente dalle condizioni economiche dei genitori.
Oggetto di assegnazione è solo quell’immobile che sia stato centro di aggregazione durante la convivenza comprendente anche i beni mobili, gli arredi, le suppellettili e dell’attrezzatura tesi ad assicurare le esigenze della famiglia.
1 – Quali sono i presupposti per l’assegnazione della casa coniugale?
Secondo quanto statuito dal codice civile e dalla legge divorzile il godimento della casa familiare è attribuito tenendo conto esclusivamente dell’interesse dei figli.
Il Tribunale prima di provvedere all’assegnazione della casa familiare deve verificare che, da un lato sussistano figli minori o maggiorenni non autonomi, in secondo luogo che il collocamento dei figli avvenga in favore di uno dei genitori al quale andrà assegnata la casa ed infine che la casa di cui si chiede l’assegnazione sia quella familiare cioè quella occupata dai genitori prima del provvedimento giudiziale.
L’assegnazione della casa familiare comporterà l’assegnazione del mobilio compreso ed il genitore tenuto ad allontanarsi potrà asportare solo i propri effetti personali.
In presenza di figli minori, ciascuno dei genitori è obbligato a comunicare all’altro, entro il termine perentorio di trenta giorni o quello indicato all’interno dell’accordo di separazione/divorzio, l’avvenuto cambio di residenza o di domicilio.
L’assegnazione della casa per provvedimento del giudice comporterà che il genitore beneficiario subentri in tutti i diritti e dovere correlati come il pagamento degli oneri condominiali e simili.
In sostanza il genitore assegnatario dovrà corrispondere al condominio le spese di gestione ordinaria, nonché dovrà far fronte a tutte le utenze.
Per quanto riguarda gli oneri condominiali straordinari, questi secondo la normativa generale, restano a carico del proprietario.
2 - Il diritto del coniuge assegnatario è opponibile ai terzi?
A tutela dell’assegnatario la legge prevede espressamente che il provvedimento di assegnazione è suscettibile di trascrizione nell’apposito registro immobiliare della Conservatoria per renderlo opponibile a eventuali terzi che abbiano acquistato la casa dopo la trascrizione.
È possibile opporre l’assegnazione anche a chi intende costituire altri diritti reali sulla casa.
Ciò significa che i terzi a cui è nota l’esistenza dell’assegnazione, in quanto trascritta, devono attendere la revoca o la cessazione di tale provvedimento per poter entrare in possesso dell’immobile acquistato.
È necessario precisare che se l’assegnazione è disposta sulla base della concorde richiesta dei coniugi in sede di giudizio di separazione, in assenza di figli minori o maggiorenni non autosufficienti, non è opponibile né ai terzi e né al coniuge non assegnatario che vuole proporre domanda di divisione del bene di cui è proprietario.
L’opponibilità è infatti collegata al presupposto che il coniuge assegnatario sia anche affidatario dei figli.
3 - Se la casa coniugale è in locazione il coniuge assegnatario subentra ex lege nel contratto?
Nel momento in cui la casa coniugale è in locazione e il contratto è intestato al genitore estromesso oppure ad entrambi i coniugi, in caso di separazione giudiziale (e nel caso di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio) subentra solo il coniuge a cui è assegnata la casa familiare.
Per legge il coniuge assegnatario subentra nel contratto di locazione e diventa naturalmente obbligato al pagamento dei canoni e delle relative spese di conduzione.
Tale effetto legale si produce anche in capo al convivente di fatto affidatario della prole.
4 - Quanto avviene l’estinzione del diritto di godimento della casa coniugale?
Le legge indica determinati presupposti, in presenza dei quali, le parti possono chiedere al giudice di revocare l’assegnazione della casa familiare: a) nel momento in cui i figli non convivono più o diventano economicamente indipendenti; b) il coniuge assegnatario non abita più nella casa familiare o cessa di abitarvi stabilmente; c) il coniuge assegnatario inizia una convivenza more uxorio nella casa assegnata o contrae nuovo matrimonio; c) uno dei coniugi cambio la propria residenza o domicilio.
Nel momento in cui si verificano uno dei predetti fatti l’assegnazione non viene meno di diritto ma sarà il coniuge interessato chiedere la revoca al Tribunale, il quale dovrà decidere in base alla valutazione nell’interesse primario dei figli minori.
Il coniuge interessato alla revoca dell’assegnazione della casa coniugale dovrà presentare ricorso per la modifica delle condizioni di separazione o di divorzio ed avrà l’onore di provare il fatto posto alla base della richiesta di revoca.
La prova sarà abbastanza rigorosa nel momento in cui c’è la presenza di figli affidati o conviventi con l’assegnatario, in ogni caso il giudice deve verificare se la revoca contrasti con i preminenti interessi della prole.
Editor: Avv. Elisa Calviello
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Egregio Avvocato
10 ott. 2025 • tempo di lettura 4 minuti
L’art. 337-ter c.c. stabilisce che il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori, i quali esercitano congiuntamente la responsabilità genitoriale. Questo articolo disciplina l'affidamento e i provvedimenti relativi ai figli in caso di separazione, scioglimento o annullamento del matrimonio, ponendo l'interesse morale e materiale del minore al centro di ogni decisione.L’affidamento, come noto, viene deciso nel supremo interesse del minore, tentando di ridurre al massimo i disagi derivanti dalla disgregazione del nucleo familiare, in base ad un “un giudizio prognostico circa la capacità del singolo genitore di crescere ed educare il figlio, da esprimersi sulla base di elementi concreti attinenti alle modalità con cui ciascuno in passato ha svolto il proprio ruolo, con particolare riguardo alla capacità di relazione affettiva, nonché mediante l'apprezzamento della personalità del genitore (Cass. 19323/2020, Cass. 14728/2016, Cass. 18817/2015, Cass. 14480/2006)”, ed al fine di assicurare il migliore sviluppo della personalità dei figli. Ne deriva, per forza di cose, che si instauri nel relativo procedimento giudiziale una sorta di “comparazione” fra le figure genitoriali, tenendo presente esclusivamente l’interesse morale e materiale dei figli, ed al solo fine di individuare la soluzione che rappresenti davvero il “child’s best interest”. L’esperienza insegna che, solitamente, tale processo culmina con l’affidamento dei figli alla madre, ma bisogna fare attenzione a non trasformare una constatazione statistica in un automatismo valido sempre e comunque.Quid iuris se, però, la madre assume atteggiamenti caratterizzati da diversi elementi di criticità? Al riguardo, gli Ermellini (Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n. 3465 del 07/02/2024) hanno fornito una risposta condivisibile in toto. Ed invero, la Cassazione ha respinto il ricorso di una madre che aveva perso il collocamento del figlio, ormai stabilizzatosi presso il padre, a causa del rapporto simbiotico madre/figlio. Il Giudice di prime cure aveva evidenziato che il minore mostrava gravi segni di alterazione ed intolleranza verso il padre, dovuti alla relazione simbiotica con la madre. Tale atteggiamento iperprotettivo, secondo il Tribunale di Catania, avrebbe impedito un equilibrato sviluppo del minore e, pertanto, collocava quest’ultimo presso il padre. Tale giudizio veniva, poi, condiviso anche nel prosieguo del giudizio, dove veniva sottolineato come il padre non avesse adottato atteggiamenti duri e rigidi di fronte al rifiuto del figlio nei suoi confronti e, dall’altra, come non si fossero mai verificati specifici e comprovati episodi pregiudizievoli durante la permanenza del figlio con il padre.La vicenda finiva, ovviamente, nelle mani della Suprema Corte, dove venivano nuovamente evidenziati quei profili di criticità della figura materna, caratterizzati da un'iperprotezione e da un comportamento regressivo e non orientato all'autonomia, oltre a una conflittualità marcata nei confronti del coniuge e a un approccio educativo inadeguato. Invece, veniva riconosciuto in capo al padre un approccio flessibile e non oltranzista, nonostante le ritrosie manifestate dal figlio. Tali dati,emersi nel giudizio di merito e che avevano motivato la decisione del Giudice di prime cure, rendevano il verdetto corretto. Infatti, ribadivano gli Ermellini, il criterio fondamentale a cui il Giudice deve attenersi nell'adottare i provvedimenti relativi alla prole, è costituito dall'𝐞𝐬𝐜𝐥𝐮𝐬𝐢𝐯𝐨 𝐢𝐧𝐭𝐞𝐫𝐞𝐬𝐬𝐞 𝐦𝐨𝐫𝐚𝐥𝐞 𝐞 𝐦𝐚𝐭𝐞𝐫𝐢𝐚𝐥𝐞 𝐝𝐞𝐢 𝐟𝐢𝐠𝐥𝐢, imponendo di privilegiare la soluzione che appaia più idonea a ridurre al massimo i danni derivanti dalla disgregazione del nucleo familiare e ad assicurare il migliore sviluppo della personalità del minore. Secondo la Suprema Corte, pertanto, il collocamento del minore presso il padre era stato correttamente stabilito dai giudici di merito, in quanto la relazione con la madre non aveva permesso al minore di raggiungere le autonomie ed il controllo regolativo di sé stesso che sarebbe stato auspicabile per la sua età. Ed infatti il collocamento presso il padre era stato ritenuto “l'unico modo idoneo ad assicurare il corretto sviluppo del minore e la soluzione migliore per il minore", come emergeva dalle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio. Tale scelta appariva, in definitiva, condivisibile, “al fine di evitare che il protrarsi della collocazione presso la madre e delle precedenti abitudini di vita arrecassero un pregiudizio irreparabile al minore, in ragione degli accertamenti compiuti nel corso delle indagini peritali”. La sentenza è totalmente condivisibile, in quanto ribadisce ancora una volta che non esiste nessun automatismo nell’affidamento della prole alla madre e che, al contrario, l’unico faro da seguire in tali difficili decisioni è e rimane il “child’s best interest”. Un altro passo verso la rimozione di quella maternal preference che alcune voci della dottrina identificano come una costante del nostro diritto di famiglia e che, invece, va opportunamente interpretata ed adattata.
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14 mag. 2024 • tempo di lettura 2 minuti
La Cassazione è recentemente ritornata su un argomento sempre attuale che tocca da vicino quasi tutti i procedimenti di separazione e divorzio. In riferimento all'assegno di mantenimento, quid iuris se dopo la separazione si instaura una convivenza stabile e duratura con un nuovo partner? Gli Ermellini hanno esaminato tale problematica in una recente sentenza (Cass. I, 12.12.2023, n. 34728), ribadendo quanto già in precedenza più volte sottolineato: "se, durante lo stato di separazione il coniuge avente diritto all'assegno di mantenimento instaura un rapporto di fatto con un nuovo partner, che si traduce in una stabile e continuativa convivenza, ovvero, in difetto di coabitazione, in un comune progetto di vita connotato dalla spontanea adozione dello stesso modello solidale che connota il matrimonio, caratterizzato da assistenza morale e materiale tra i due partner, viene meno l'obbligo di assistenza materiale da parte del coniuge separato e quindi il diritto all'assegno". La prova dell'esistenza di un tale legame deve essere data dal coniuge gravato dall'obbligo di corrispondere assegno. Dalla prova della stabilità e continuità della convivenza può presumersi, salvo prova contraria, che le risorse economiche siano state messe in comune; ma nel caso in cui difetti la coabitazione, la prova dovrà essere rigorosa, dovendosi dimostrare che, stante il comune progetto di vita, i partner si prestano assistenza morale e materiale. Anche se l'assetto decisionale appare sempre orientato ad una fin troppo eccessiva cautela, gravando l'obbligato con una "probatio quasi diabolica" al fine di dimostrare la stabilità e la continuità della convivenza, è comunque vero che ciò rappresenta un ulteriore tassello verso una revisione delle strutture vetuste ed inadeguate del Diritto di Famiglia, da noi definito come "vessatorio" e punitivo nei confronti del coniuge di sesso maschile, il più delle volte vittima di comportamenti moralmente e giuridicamente scorretti, che tendono a trasformare il matrimonio in una polizza assicurativa per la vita. Noi ribadiamo il nostro NO a qualsivoglia forma di mantenimento per l'ex (salvo particolarissime situazioni da valutare nel caso concreto), in quanto oggi non trova più applicazione lo stereotipo del coniuge dedito durante il matrimonio alla cura dei figli e della casa, come era all'epoca dell'obrobriosa riforma del Diritto di Famiglia degli Anni Settanta.
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17 nov. 2021 • tempo di lettura 1 minuti
La maggior parte degli esercizi commerciali sono obbligati ad emettere lo scontrino fiscale. La regola è quella secondo cui ad esito del pagamento del cliente deve essere emesso lo scontrino, e solo eccezionalmente alcuni soggetti sono esonerati (es. tabaccai o benzinai).In caso di mancata emissione dello scontrino, sicuramente il negoziante commette un’evasione fiscale, a fronte della quale dovrà applicarsi una sanzione tributaria: si tratta di illecito amministrativo, e non invece di reato. Le uniche autorità competenti ad accertare le evasioni sono l’Agenzia delle Entrate e, per conto di questa, la Guardia di Finanza.Differente è la situazione del cliente. Dal 1999 al 2003 è esistita una norma che imponeva al cliente l’obbligo di chiedere lo scontrino, riconoscendo quindi una responsabilità anche in capo al cliente, che veniva sanzionato mediante una multa.A partire dal 2003, invece, è stata espunta qualsiasi tipo di responsabilità in capo al cliente, il quale non ha più alcun tipo di obbligo e non può essere sanzionato in alcun modo.Certamente il cliente potrà comunque segnalare il negoziante che non gli ha voluto rilasciare lo scontrino, mediante una segnalazione (non anonima!) alla Guardia di Finanza. Invero oggi, richiedere lo scontrino fiscale risponde ad un “obbligo sociale”, e inoltre può rivelarsi molto utile per il cliente stesso, che potrà detrarre alcune spese nella dichiarazione dei redditi.
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Egregio Avvocato
9 feb. 2021 • tempo di lettura 5 minuti
Il Decreto Legge n. 34/2020, convertito con modificazioni con la legge n. 77/2020 e meglio noto come Decreto Rilancio, oltre a introdurre misure urgenti in materia di salute, sostegno all’economia e politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da Covid – 19, ha incrementato al 110% l’aliquota di detrazione delle spese sostenute a partire dal 1° luglio 2020 sino al 31 dicembre 2021, a fronte di interventi di riduzione del rischio sismico, di installazione di impianti fotovoltaici, ma anche delle infrastrutture per la ricarica dei veicoli elettrici negli edifici.Ma chi può usufruire del c.d. Superbonus? E quali sono gli interventi c.d. agevolabili?Il Superbonus: cos’è? Chi può usufruirne?Quali sono gli interventi agevolabili?Esistono delle alternative alle detrazioni?Come ottenere il Superbonus 110%?1 - Il Superbonus: cos’è? Chi può usufruirne?Il Superbonus 110% è una misura di incentivazione, introdotta dal Decreto Legge Rilancio che mira ad una migliore efficacia e sicurezza per le abitazioni.Il Superbonus si suddivide in una duplice tipologia di interventi: il Super Ecobonus e il Super Sismabonus.Infatti, le disposizioni del D.L. 34/2020 si aggiungono a quelle già vigenti che disciplinano le detrazioni dal 50% all’85% delle spese spettanti per gli interventi di:recupero del patrimonio edilizio, ai sensi dell’art. 16 bis del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR), inclusi gli interventi di riduzione del rischio sismico (c.d. Sismabonus), disciplinato dall’art. 16 del Decreto Legislativo n. 63/2013;riqualificazione energetica degli edifici (c.d. Ecobonus), a norma dell’art. 14 del D.Lgs. n. 63/2013. Ma, in concreto, quali sono le agevolazioni previste dal Decreto Rilancio?Questa agevolazione è concessa laddove si eseguano interventi di manutenzione che aumentino il livello di efficienza energetica degli edifici ovvero si riduca il rischio sismico degli stessi.Più nel dettaglio, il Superbonus spetta, a determinate condizioni, per le spese sostenute per interventi effettuati sulle parti comuni degli edifici, su unità immobiliari funzionalmente indipendenti site all’interno di edifici plurifamiliari ma che abbiano almeno un accesso autonomo dall’esterno, ed infine sulle singole unità immobiliari.Chi può, quindi, usufruire di questo incentivo?Dalla lettura della normativa è possibile fornire una risposta esaustiva. Il Superbonus si applica agli interventi effettuati da:i condomìni;le persone fisiche, al di fuori dell’esercizio di attività di impresa, arti e professioni;gli Istituti autonomi case popolari (c.d. IACP), nonché gli enti che abbiano le medesime finalità sociali che rispondano ai requisiti della legislazione europea in materia di “in house providing”;le cooperative di abitazione a proprietà indivisa;le organizzazioni non lucrative di utilità sociale, le organizzazioni di volontariato iscritte nei registri di cui alla Legge n. 266/1991 e le associazioni di promozione sociale iscritte nei registri nazionali, regionali e delle Province autonome di Trento e Bolzano;le associazioni e società sportive dilettantistiche iscritte nel registro istituito ai sensi dell’art. 5, comma 2, lettera c) del D. Lgs. n. 242/1999, ma limitatamente ai lavori destinati ai soli immobili o parti di immobili adibiti a spogliatoi.L’incentivo del Superbonus consiste in una detrazione del 110% che si applica sulle spese sostenute dal 1° luglio 2020 al 30 giugno 2022, da ripartire in cinque quote annuali e, solamente per la parte di spesa sostenuta nell’anno 2022, in quattro quote annuali.Per gli Istituti Autonomi Case Popolari (i c.d. IACP) il limite temporale entro cui è possibile detrarre le spese è esteso sino al 31 dicembre 2022, prorogabile ulteriormente sino al 30 giugno 2023, solamente nell’ipotesi in cui sia stato completato almeno il 60% dei lavori al 31 dicembre 2022. Per quanto riguarda, invece, i condomini, il limite temporale è esteso sino al 31 dicembre 2022 se, al 30 giugno 2022, sia stato completato almeno il 60% dei lavori.2 - Quali sono gli interventi agevolabili?L’articolo 119 del già citato Decreto Rilancio specifica che le detrazioni più elevate sono riconosciute per le spese documentate e rimaste a carico del contribuente per le tipologie di interventi c.d. trainanti o principali. Si tratta degli interventi di:isolamento termico delle superfici opache verticali, orizzontali (es. coperture, pavimenti) e inclinate delimitanti il volume riscaldato, verso l’esterno, verso vani non riscaldati o il terreno che interessano l’involucro dell’edificio, con un’incidenza superiore al 25% della superficie disperdente lorda dell’edificio stesso;sostituzione degli impianti di climatizzazione invernale sulle parti comuni o sugli edifici unifamiliari o sulle unità immobiliari di edifici plurifamiliari. Si tratta, più nello specifico, di interventi di sostituzione degli impianti di climatizzazione invernale esistenti con impianti centralizzati destinati al riscaldamento e/o al raffrescamento e/o alla produzione di acqua calda sanitaria, dotati di: generatori di calore a condensazione, con efficienza almeno pari alla classe A di prodotto, generatori a pompe di calore, ad alta efficienza, anche con sonde geotermiche, apparecchi ibridi, costituiti da pompa di calore integrata con caldaia a condensazione, sistemi di microcogenerazione, collettori solari;interventi antisismici (c.d. Sismabonus). Con il Decreto Rilancio si prevede che la detrazione per gli interventi antisismici previsti dall’art. 16, commi da 1 – bis a 1 – septies, del D. L. n. 63/2013, sia elevata al 110% per le spese sostenute nel periodo sopra indicato.Il Superbonus spetta anche per le spese sostenute per gli interventi ulteriori eseguiti congiuntamente con almeno uno degli interventi trainanti. Si tratta dei c.d. interventi aggiuntivi o trainati, vale a dire gli interventi di efficientamento energetico, di installazione di impianti solari fotovoltaici e di infrastrutture per la ricarica di veicoli elettrici.3 - Esistono delle alternative alle detrazioni?La risposta è affermativa. Infatti, l’art. 121 del Decreto Rilancio prevede che i soggetti che possono usufruire del Superbonus, possano optare, in luogo dell’utilizzo diretto della detrazione spettante, alternativamente:per un contributo, sotto forma di sconto sul corrispettivo dovuto, di importo massimo non superiore al corrispettivo stesso, anticipato dal fornitore di beni e servizi relativi agli interventi agevolati;per la cessione di un credito d’imposta corrispondente alla detrazione spettante, ad altri soggetti, quali istituti di credito e intermediari finanziari. 4 - Come ottenere il Superbonus 110%?Per poter ottenere la detrazione, gli interventi dovranno, nel complesso, assicurare il miglioramento di almeno due classi energetiche, dimostrato con l’attestato di prestazione energetica (A.P.E.).È inoltre necessario:pagare tramite bonifico bancario o postale dal quale risulti la causale del versamento, il codice fiscale del beneficiario della detrazione e la partita IVA del soggetto destinatario del bonifico;depositare, se previsto, in Comune la relazione tecnica dell’intervento;acquisire l’A.P.E. pre e post intervento;trasmettere ad ENEA telematicamente, entro 90 giorni dalla fine dei lavori, i dati per la compilazione della scheda descrittiva che si ricavano dall’A.P.E. e quelli per la compilazione della scheda informativa dell’intervento contenente le anagrafiche dell’immobile, dei beneficiari e i costi sostenuti.Editor: avv. Marco Mezzi
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