Incidenti e omissione di soccorso stradale: quando vi è responsabilità penale?

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Pubblicato il 22 mar. 2021 · tempo di lettura 6 minuti

Incidenti e omissione di soccorso stradale: quando vi è responsabilità penale? | Egregio Avvocato
La circolazione stradale è considerata dall’ordinamento giuridico (e non solo) tra le attività più comuni della vita quotidiana, e sicuramente necessaria, ma allo stesso tempo molto pericolosa. È ben possibile, infatti, che circolando per strada, sia con mezzi a motore che non, si venga coinvolti, o comunque si cagioni un incidente stradale. È bene sapere qual è il comportamento corretto da tenere, così da non incorrere in responsabilità penale.


  1. Il reato di omissione di soccorso stradale previsto dal codice penale, art. 593 c.p.
  2. La fattispecie prevista dal Codice della Strada, art. 189 co. 7 
  3. Qual è la condotta da tenere in caso di incidente stradale?


1 - Il reato di omissione di soccorso stradale previsto dal codice penale, art. 593 c.p.


Il legislatore penale ha previsto una fattispecie generale che disciplina il caso in cui un soggetto ometta di prestare soccorso nei casi in cui, invece, l’ordinamento richiede che chi si trovi in certe situazioni si attivi. L’art. 593 c.p. sanziona con la reclusione fino ad un anno o con la multa fino a 2.500 euro:


  1. chi omette di dare avviso all’Autorità competente del ritrovamento di una persona di età inferiore ai dieci anni abbandonata o smarrita, o di una persona incapace di provvedere a se stessa per malattia di mente o di corpo (comma I);
  2. chi omette di prestare l’assistenza occorrente, imbattendosi in un soggetto che è o sembra inanimato o in una persona ferita o comunque in pericolo (comma II).


Si tratta di un reato omissivo, e in particolare di un reato omissivo proprio. Ciò sta a significare che il legislatore penale ha ritenuto dover dare rilevanza alla mancata azione di un determinato soggetto, sul quale incombe un obbligo giuridico di attivarsi, e ciò a prescindere dalle eventuali conseguenze dannose che da tale omissione in concreto derivino. 

Il soggetto sul quale grava tale obbligo giuridico assume la cd. posizione di garanzia: solo il soggetto che si trova in quella determinata situazione descritta dal legislatore assume l’obbligo di attivarsi, e di porre in essere la condotta prescritta dalla norma.


Le eventuali conseguenze derivanti dalla omissione di soccorso stradale vengono prese in considerazione non in merito alla opportunità di punire o meno: anche se non dovessero esserci conseguenze dannose si verrà comunque puniti. Vengono prese in considerazione, invece, in merito al quantum di pena applicabile: nel caso in cui dall’omissione di soccorso derivi una lesione personale, la pena è aumentata; invece, se dall’omissione di soccorso stradale ne derivi la morte, la pena è raddoppiata.

È bene precisare che il legislatore non obbliga nessuno a porre in essere un’azione che non si è in grado di sostenere, il soggetto agente deve essere nelle capacità morali e materiali di prestare assistenza (ciò risponde al principio generale secondo cui nemo ad impossibilia tenetur). Quindi, non sono applicabili sanzioni qualora si è impossibilitati a prestare soccorso: non si può essere obbligati a mettere a repentaglio la propria vita per salvare quella altrui.

Inoltre, si commette il reato solo quando c’è una percezione diretta. Viene punito chi si imbatte in quella persona, ma anche chi già si trovava con quella persona (es. io faccio una passeggiata con il mio amico, e lui si sente male) – si tratta al massimo di interpretazione estensiva e non di analogia. Cosa diversa è l’avere notizia di questa persona – secondo l’orientamento maggioritario, l’agente che abbia semplicemente notizia di un soggetto che si trova in una situazione di difficoltà non commette il reato di omissione di soccorso; sarebbe interpretazione analogica, che nel diritto penale non è ammessa. 


2 - La fattispecie prevista dal Codice della Strada, art. 189 co. 7 


L’art. 189 co. 7 del codice della strada sanziona la condotta di omissione di soccorso che si verifica nel caso in cui il conducente di un mezzo circolante in strada, a seguito di un incidente comunque ricollegabile al proprio comportamento, non ottemperi l’obbligo di prestare l’assistenza occorrente alle persone ferite.



La pena prevista è quella della reclusione da uno a tre anni, oltre che la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida per un periodo non inferiore ad un anno e sei mesi e non superiore a cinque anni.

Si ritiene che la fattispecie prevista dal codice della strada sia una fattispecie speciale di quella prevista dal codice penale, ed in particolare della ipotesi prevista dal comma 2 dell’art. 593 c.p.


Invero, condividendo con quest’ultima la condotta dell’omessa assistenza alla persona ferita, l’art. 189 si caratterizza per la presenza di due elementi specializzanti:


  1. il soggetto sul quale grava l’obbligo di garanzia, che viene specificamente identificato nell’utente della strada al cui comportamento sia comunque ricollegabile l’incidente;
  2. il verificarsi di un sinistro stradale, idoneo a concretare una situazione di pericolo, dal quale sorge l’obbligo di agire.


In tale fattispecie vige la presunzione per la quale il verificarsi di un incidente determina una situazione di pericolo e i soggetti che siano coinvolti nel sinistro diventano i titolari della posizione di garanzia, che impone loro l’obbligo di fermarsi e di prestare assistenza.


3 - Qual è la condotta da tenere in caso di incidente stradale?


Non sempre sorge l’obbligo giuridico di prestare soccorso, ma anzi è ben possibile che, nonostante si cagioni e si venga coinvolti in un incidente stradale, non si assuma la cd. posizione di garanzia.

L’obbligo di prestare l’assistenza occorrente va escluso, ad esempio, quando le conseguenze del sinistro non sussistono in ferite, nel senso tecnico del termine, indicative del pericolo che dal ritardato soccorso possa derivare un danno alla vita o all’integrità fisica della persona.


Il concetto di assistenza nell’omissione di soccorso significa prestare quel soccorso che si rende necessario, tenuto conto del modo, del luogo, del tempo e dei mezzi, per evitare che si realizzi il danno. Così come avviene nella fattispecie di omissione di soccorso prevista in generale dal codice penale (art 593 c.p.), anche nel caso previsto dal codice della strada non è richiesto che il soggetto ponga in essere delle condotte che moralmente e materialmente non sia in grado di tenere. 


Si evidenzia, peraltro, che recente giurisprudenza ha evidenziato come non sia sufficiente la mera consapevolezza che dall’incidente possano derivare delle conseguenze per le persone, ma occorre invece che tale pericolo si concretizzi in effettive lesioni dell’integrità fisica, quantomeno percepibili dal soggetto che abbia cagionato l’incidente e che non abbia prestato la dovuta assistenza. 


In linea con il principio fondamentale secondo cui nel diritto penale la responsabilità è personale (art. 27 Cost.), e che quindi si può essere puniti solo per un fatto che sia collegato all’agente almeno dal collegamento minimo subiettivo della colpa, non è sufficiente la mera posizione di garanzia in capo al conducente al quale il sinistro sia ricollegabile, occorrendo, invece, che egli abbia commesso il fatto nella consapevolezza di aver verosimilmente cagionato lesioni a persone coinvolte nell’incidente e scientemente decida di allontanarsi e non prestare la dovuta assistenza.


Editor: dott.ssa Claudia Cunsolo

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In altri termini, come ha inteso specificare anche la Corte di cassazione, questa norma ha posto un vincolo pubblicistico di destinazione nelle aree riservate ai parcheggi condominiali, inderogabile da parte di atti dei privati.La successiva Legge numero 47/1985 ha precisato ulteriormente che gli spazi già menzionati dalla precedente Legge 765 costituissero pertinenze delle costruzioni, ai sensi e per gli effetti degli articoli 817, 818 e 819 del Codice civile. È intervenuta, quattro anni più tardi, la Legge Tognoli – Legge 122/1989 – con la quale si è elevato il rapporto tra le aree di pertinenza delle costruzioni e la volumetria del fabbricato a un metro quadro per ogni dieci metri cubi di costruzione, rispetto ai venti previsti nel 1967. Inoltre, la Legge Tognoli, all’articolo 9, ha ulteriormente previsto che: 1) i proprietari di immobili possono realizzare nel sottosuolo degli stessi ovvero nei locali siti al piano terreno dei fabbricati, parcheggi da destinare a pertinenza delle singole unità immobiliari, anche in deroga agli strumenti urbanistici ed ai regolamenti edilizi vigenti; 2) l’esecuzione delle opere e degli interventi previsti dal comma 1 è soggetta a denuncia di inizio attività; 3) le deliberazioni che hanno per oggetto le opere e gli interventi di cui al comma 1 sono approvate salvo che si tratti di proprietà non condominiale dalla assemblea del condominio, in prima o in seconda convocazione, con la maggioranza prevista dall’articolo 1136, comma 2, codice civile. Resta fermo quanto disposto dagli articoli 1120, comma 2 e 1121, comma 3, codice civile; 4) i parcheggi realizzati ai sensi del presente articolo non possono essere ceduti separatamente dall’unità immobiliare alla quale sono legati da vincolo pertinenziale. I relativi atti di cessione sono nulli.La Legge n. 246/2005 ha, poi, ulteriormente integrato la Legge ponte aggiungendo un secondo comma all’articolo 41 sexies, prevedendo che gli spazi per parcheggi realizzati in forza del primo comma non sono gravati da vincoli pertinenziali di sorta né da diritti d’uso a favore dei proprietari di altre unità immobiliari e sono trasferibili autonomamente da esse. Viene così meno il vincolo di pertinenzialità automatico per gli spazi riservati a parcheggio dalla cosiddetta Legge ponte.L’ultimo provvedimento in materia è il cosiddetto Decreto del Fare, convertito dalla Legge n. 35/2012, con cui si stabilisce che la proprietà dei parcheggi realizzati a norma del comma 1 dell’articolo 41 sexies già citato può essere trasferita anche in deroga a quanto previsto nel titolo edilizio che ha legittimato la costruzione e nei successivi atti convenzionali, solo con contestaule destinazione del parcheggio trasferito a pertinenza di altra unità immobiliare sita nello stesso Comune.2- È possibile destinare un’area comune a parcheggio?La risposta è certamente affermativa. 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In altri termini, è stato ritenuta legittima la delibera condominiale presa con la maggioranza di cui all’articolo 1136, comma 2 del codice civile, di disporre la destinazione a parcheggio del cortile condominiale.Il nuovo articolo 1120 del codice civile, per come modificato dalla legge di riforma del condominio, ha sostanzialmente recepito l’impostazione giurisprudenziale e, sebbene definisce innovazioni le opere necessarie per realizzare i parcheggi condominiali, prevede la possibilità di deliberare questi interventi con i quorum deliberativi ordinari. Si prevede, infatti, che i condomini, con la maggioranza indicata dal secondo comma dell’articolo 1136, possono disporre le innovazioni che, nel rispetto della normativa di settore, hanno ad oggetto opere per realizzare parcheggi destinati a servizio delle unità immobiliari o dell’edificio.3 - Cosa consigliare in caso di parcheggi non sufficienti per tutti i condomini? La Corte di cassazione ha stabilito che l’assemblea del condominio può stabilire di razionalizzare lo sfruttamento dell’area destinata a parcheggio mediante apposizione di strisce delimitative per ciascun posto auto, eventualmente numerato, assegnandoli al dominio esclusivo di ogni condomino o usufruitore (sul punto si veda Cass. civ., sent. 5997/2008).In questi casi l’assegnazione dei posti auto deve seguire criteri predefiniti, quali la facilità di accesso, e laddove non si dovesse trovare un accordo sulle modalità di assegnazione, sarebbe preferibile procedere a sorteggio.Tuttavia, non sempre l’area destinata a parcheggio è in grado di garantire la copertura integrale degli stalli rispetto al numero degli utenti – condomini richiedenti. Quale criterio, quindi, è consigliabile attuare?Certamente sbagliato sarebbe disporne l’attribuzione in base al valore millesimale di ciascuna unità immobiliare. Anzi, a dire il vero, la giurisprudenza ha costantemente considerato queste deliberazioni illegittime atteso che la quota di proprietà di cui all’articolo 1118 del codice civile, quale misura del diritto di ogni condomino, rileva relativamente ai pesi ed ai vantaggi della comunione, ma non in ordine al godimento che si presume uguale per tutti (Cass. civ., sent. 26226/2006). Nel disaccordo tra i condomini, ai fini dell’utilizzazione dell’area comune, l’unico principio applicabile al caso di specie è quello del “pari uso”, sancito dall’articolo 1102 del codice civile, a norma del quale ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca ad altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. In altri termini, in queste ipotesi, la soluzione certamente migliore è quella della turnazione all’uso del parcheggio.

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Niente assegno divorzile all’ex moglie se il nuovo compagno è divenuto un riferimento per suo figlio

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Niente assegno divorzile all’ex moglie se il nuovo compagno è divenuto un riferimento per suo figlio. Si pone, pertanto, il problema giuridico di valutare la relazione tra i figli e i nuovi partner dei genitori. Al riguardo, questa recentissima sentenza di Cassazione assume un ruolo fondamentale nel dirimere tale vexata quaestio che occupa quotidianamente l'attività di ogni avvocato matrimonialista/divorzista. Secondo la Cassazione, se il nuovo compagno dell’ex moglie è divenuto riferimento per il figlio di quest’ultima, la stessa non ha diritto all’assegno divorzile. Secondo la Suprema Corte, infatti, il divenire punto di riferimento per il figlio della propria compagna è un dettaglio, di per sé, idoneo a riconoscere stabilità alla nuova relazione sentimentale della donna, circostanza la quale comporta il venire meno del diritto all’assegno di divorzio per l’ex coniuge. Nel caso di specie, la solidità del rapporto tra il minore ed il compagno della madre, riscontrata nelle consulenze tecniche d’ufficio effettuate nel corso dei vari gradi di giudizio, ha appurato senza ombra di dubbio la convivenza di fatto tra l’ex moglie ed il nuovo compagno della stessa, dato il coinvolgimento del figlio nella nuova coppia. Proprio tale rapporto del minore con il nuovo compagno della donna è stato valutato come sintomatico della saldezza e stabilità del nuovo rapporto e della esistenza della coppia di fatto e, quindi, del venir meno del diritto dell’ex coniuge all’assegno divorzile. La decisione degli Ermellini (Cass. Civ. Sez I Ord. 31.01.2023, n. 2840) appare pienamente condivisibile da un punto di vista giuridico, in quanto - per lo meno - contribuisce a ridimensionare notevolmente l'istituto del mantenimento, oramai inadeguato alle nuove realtà sociali italiane.

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