Le locazioni ad uso transitorio e la differenza con i c.d. affitti brevi

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Pubblicato il 4 nov. 2021 · tempo di lettura 6 minuti

Le locazioni ad uso transitorio e la differenza con i c.d. affitti brevi | Egregio Avvocato
L’articolo 1571 del codice civile definisce la locazione come quel contratto con il quale una parte si obbliga nei confronti di altra parte di farle godere un bene – mobile o immobile – per un determinato periodo di tempo e verso il pagamento di un dato prezzo, il c.d. canone.
Quando si tratta di beni immobili locati a fini abitativi, la Legge n. 431/1998 stabilisce che il contratto di locazione deve avere durata, minima, di quattro anni rinnovabili, alla scadenza, per ulteriori quattro.
È, tuttavia, possibile stipulare il contratto per una durata inferiore. 
Infatti, è stato previsto il c.d. contratto di locazione ad uso transitorio. Ma cosa prevede la legge in merito? E cosa si intende per affitto breve, formula sempre più utilizzata, specialmente per fini turistici?


  1. Cosa si intende per locazione ad uso transitorio?
  2. …e cosa per locazione breve?
  3. È possibile applicare la cedolare secca agli affitti brevi?
  4. Quali adempimenti per gli intermediari?
  5. Gli affitti brevi con finalità turistiche: il c.d. Codice CIR


1 - Cosa si intende per locazione ad uso transitorio?


Come accennato in premessa, quando si tratta di locazione di un immobile a fini abitativi, la legge prevede una durata minima di quattro anni, con possibilità di rinnovo, alla scadenza, per ulteriori quattro anni.

Certamente, nulla impedisce alle parti contraenti di stipulare un contratto dalla durata superiore. Tuttavia, accade molto di frequente che le parti stipulino un contratto di durata inferiore al minimo previsto dalla legge.

Si tratta delle ipotesi dei cosiddetti contratti di locazione abitativa a uso transitorio

Ma cosa si intende per contratto di locazione ad uso transitorio?

Il contratto transitorio è regolamentato dall’articolo 5 della già citata Legge del 1998, sebbene tale articolo si concentri unicamente sulle locazioni stipulati dagli studenti universitari.

Nonostante ciò è possibile affermare che il contratto di locazione transitoria è un tipo di contratto riguardante la locazione di immobili ad uso abitativo per esigenze temporanee non turistiche. Difatti, il locatore concede per un periodo di tempo limitato l’immobile al conduttore, dietro il corrispettivo del pagamento del canone.

Ma quali sono i requisiti e la durata del contratto di locazione transitoria?

Tale contratto deve avere, per legge, una durata compresa tra 1 e 18 mesi. Nel caso in cui il contratto superi i 30 giorni, lo stesso deve essere registrato. 

Questo contratto può essere stipulato nel caso in cui il conduttore si sia dovuto trasferire, momentaneamente, per motivi di studio o di lavoro, oppure se non ha disposizione la propria abitazione in quanto in fase di ristrutturazione o ancora se deve assistere un familiare per problemi di salute.


2 - …e cosa per locazione breve?


Più di recente si è diffusa un’altra tipologia di contratto di locazione di immobili ad uso abitativo, caratterizzata da una durata certamente inferiore. 

Si tratta, in un certo senso, di una sottocategoria della locazione ad uso transitorio e si definisce locazione (noto anche in modo non del tutto corretto come affitto) breve o ad uso turistico.

Tale tipologia di contratto di locazione ha preso sempre più piede grazie al diffondersi di portali per i servizi turistici che hanno, indubbiamente, facilitato l’incontro della domanda con l’offerta.

Almeno inizialmente, i contratti di locazione breve erano disciplinate da alcune leggi regionali. Tuttavia, il legislatore è intervenuto con il Decreto Legge n. 50 del 2017, dettando una disciplina fiscale apposita.

Inoltre, il citato Decreto Legge definisce la locazione breve come un contratto di locazione di immobili ad uso abitativo di durata non superiore a 30 giorni. 

Per poter rientrare in questa nuova disciplina, tuttavia, i contratti di locazione breve devono essere stipulati da persone fisiche al di fuori dell’esercizio di attività di impresa sia direttamente sia indirettamente tramite soggetti intermediari o portali telematici.

La locazione breve deve riguardare le unità immobiliari appartenenti alle categorie catastali da A1 ad A11, con esclusione della categoria A10 relativa a uffici o studi privati, che devono essere locate ad uso abitativo.


3 - È possibile applicare la cedolare secca agli affitti brevi?


La risposta è certamente affermativa.

Ma facciamo un passo indietro. Cos’è la cedolare secca? 

La cedolare secca, riportando la definizione rinvenibile sul sito dell’Agenzia delle Entrate, è un regime facoltativo che si sostanzia nel pagamento di un’imposta sostitutiva dell’IRPEF e delle addizionali. Inoltre, per i contratti con cedolare secca non è necessario pagare l’imposta di registro e quella di bollo dovute per le registrazioni, le risoluzioni e le proroghe dei contratti. 

Tuttavia, scegliere di optare per la cedolare secca comporta la rinuncia alla facoltà di chiedere l’aggiornamento del canone di locazione, inclusa la variazione secondo gli indici ISTAT.

Ma, tornando all’ipotesi della locazione breve, la normativa in materia consente al proprietario dell’immobile di optare per il regime della cedolare secca potendo, quindi, assoggettare il reddito derivante dalla locazione stessa all’imposta del 21%, sostitutiva di IRPEF e addizionali.


4 - Quali adempimenti per gli intermediari?


Come detto, la figura dei contratti di locazione breve è sorta insieme alla diffusione dei portali telematici di servizi turistici che possono tranquillamente considerarsi degli intermediari nella stipula dei contratti medesimi.

Quali sono gli adempimenti da compiere? 

Il già citato Decreto Legge n. 50 del 2017 ha previsto alcuni specifici adempimenti di natura informativa ogni qualvolta che un intermediario intervenga nella stipula di un contratto di locazione breve.

In particolare, gli intermediari devono comunicare all’Agenzia delle Entrate i dati dei contratti di locazione breve stipulati a far data dal 1° giugno 2017 per il loro tramite e trattenere una somma – pari al 21% del canone – laddove intervengano anche nel pagamento o incassano i corrispettivi. Tale somma va, poi, versata tramite il modello F24.

I dati relativi alle locazioni brevi devono essere comunicati entro il 30 giugno dell’anno successivo a quello di conclusione del contratto. 

Nel caso di omessa, incompleta o infedele comunicazione dei dati è prevista la sanzione da € 250,00 a € 2.000 indicata dal Decreto Legislativo n. 471/1997 all’articolo 11, comma 1. 


5 - Gli affitti brevi con finalità turistiche: il c.d. Codice CIR


Oltre a quelli appena menzionati, alcuni Regioni hanno introdotto ulteriori adempimenti di carattere amministrativo relativamente alle locazioni brevi con finalità turistiche.

In particolare, la Regione Lombardia ha istituito il c.d. Codice Identificativo di Riferimento da utilizzare negli annunci di promozione e commercializzazione degli immobili dati in locazione turistica.

Nel dettaglio, con lo scopo di semplificare i controlli da parte delle autorità si è previsto che la pubblicità, la promozione e la commercializzazione dell’offerta delle strutture ricettive dati in locazione breve per finalità turistiche con scritti o supporti digitali devono, necessariamente, indicare l’apposito codice identificativo di riferimento.

Sul punto è intervenuto anche il c.d. Decreto Legge Crescita n. 34 del 2019, istituendo una vera e propria banca dati delle strutture ricettive e degli immobili destinati alle locazione brevi, prevedendo che esse debbano essere identificate attraverso un codice alfanumerico da utilizzare per ogni comunicazione inerente all’offerta e alla promozione dei servizi al pubblico.

Il Ministero del Turismo ancor più di recente – il 29 settembre 2021 – ha poi dato attuazione al precedente Decreto, disciplinando ancor più nel dettaglio la banca dati e disponendo che laddove le Regioni non si siano già dotate di un Codice CIR – Codice Identificativo di Riferimento Regionale – sarà la stessa banca dati a generare il codice identificativo alfanumerico.


Editor: avv. Marco Mezzi

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Il principio di autodeterminazione al trattamento sanitario

4 apr. 2022 tempo di lettura 11 minuti

Quando si parla di consenso alle cure del paziente, s’intende una manifestazione di volontà con connotati e modalità precise e fissate dalla legge. La violazione del consenso da parte del medico si realizza sia nel caso di assoluta mancanza di consenso, come anche in presenza di vizi nel procedimento di acquisizione dello stesso. Il processo informativo, infatti, è il requisito fondamentale e strumentale alla garanzia della libera e consapevole approvazione del paziente alla proposta terapeutica, il quale può anche incontrare dei limiti, seppur sempre fissati dalla legge.Esempio concreto di ciò è quanto accaduto a Modena in occasione del ricovero di un bambino con un grave problema cardiaco, il quale, secondo i genitori, poteva essere operato dalla struttura sanitaria solo a condizione che fosse adoperato sangue da persone non vaccinate contro il coronavirus, nel caso in cui si fosse resa necessaria una trasfusione. La situazione che ne è scaturita offre l’opportunità di una riflessione sul sottile equilibrio che si viene a creare tra il diritto, costituzionalmente garantito, della libertà di autodeterminarsi nei vari trattamenti sanitari e il rifiuto da parte del titolare o da chi ne fa le veci dal quale ne può scaturire il pericolo per l’incolumità delle persone coinvolte.La riflessione che ci apprestiamo a proporre richiede inizialmente un’analisi degli aspetti normativi salienti che risultano propedeutici alle conclusioni proposte.Cosa s’intende per consenso al trattamentoQuali sono gli obblighi informativi a carico del medico?Specificità e personalizzazione dell’informazione da richiedereIl caso del bambino di Modena, fino a che punto può spingersi il principio di autodeterminazione?1 - Cosa s’intende per consenso al trattamento.A monte della prestazione del consenso vi è il processo informativo. Infatti, in una relazione terapeutica improntata al principio di parità tra le parti risulta determinante adottare meccanismi voltia contrastare le cc.dd. asimmetrie informative, intese come le differenze conoscitive tra medico e paziente, le quali raffigurano una turbativa della libertà decisionale di quest’ultimo. La comunicazione ed il dialogo, lo scambio di informazioni tra il medico ed il paziente, dunque, è condizione preliminare, necessaria ed ineliminabile affinché la scelta terapeutica sia consapevole e il diritto all’autodeterminazione sia effettivamente garantito.Infatti il paziente subisce una lesione del suo diritto di autodeterminarsi anche quando, pur in presenza di consenso, questo non sia stato preceduto da una adeguata e completa informazione sanitaria. Il presupposto fondamentale dell’informazione, quale elemento necessario per una corretta formazione della volontà del paziente, è stata riconosciuta negli ultimi decenni. In particolar modo ricordiamo la presa di posizione del Comitato Nazionale per la Bioetica che, nel 1992, ha affermato che il diritto all’informazione deve essere finalizzato a porre il paziente in grado di autodeterminarsi e di poter prendere decisioni consapevoli in ambito sanitario.Da qui, anche a seguito dei molteplici interventi di dottrina e giurisprudenza, si è giunti successivamente alla nuova normativa dettata dalla L. n. 219/2017 che presenta le norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento, in cui gli obblighi informativi a carico del medico sono stati regolati in maniera dettagliata con un’analisi completa della disciplina stessa.2 - Quali sono gli obblighi informativi a carico del medico?Il processo informativo che utile e valido volto all’acquisizione del consenso del paziente, prevede molteplici punti da affrontare, laddove quello più importante è quello relativo all’oggetto e quindi il contenuto dell’informazione. L’operatore sanitario, infatti, deve procedere al compimento di più obblighi informativi allo scopo di rendere edotto il paziente sulle sue condizioni di salute.In primo luogo, vi è la diagnosi. Questa consta dell’individuazione della malattia, di tutte le caratteristiche della stessa, anche in merito alla localizzazione e alla natura e rappresenta il primo momento, fondamentale dell’informazione al paziente, il quale ha il pieno diritto di conoscere il proprio stato di salute. A seguito della diagnosi vi è la prognosi e in questo caso l’operazione da effettuare per il sanitario è differente perché si tratta del giudizio di previsione probabilistico circa il decorso e l’esito della malattia. Questo giudizio risulta fondamentale in quanto, permette di mettere il paziente al corrente dell’andamento della propria malattia, permettendogli di scegliere in modo informato sulla propria scelta terapeutica con cognizione di causa. Tra la diagnosi e della prognosi potrebbe esserci l’accertamento diagnostico che il medico intende porre in atto. Infatti in questa fase il medico deve indicare al paziente l’intervento che egli ritiene più opportuno da realizzare, configurando la reale proposta terapeutica a cui seguirà il possibile assenso o dissenso del paziente.Altro presupposto centrale dell’accertamento diagnostico è quello relativo al fatto che il medico deve informare il paziente relativamente ai i benefici e i rischi derivanti dall’intervento indicato. In questo caso il medico prospetterà un eventuale risultato dell’accertamento fatto, comunicando le probabilità di successo o di fallimento dell’intervento, nonché le eventuali e concomitanti ulteriori conseguenze derivanti dall’intervento.Ma l’ulteriore domanda è quella in merito ai rischi che deve presentare il medico rispetto all’intervento programmato o da eseguire. Ciò sicuramente dipende dal tipo di intervento, dall’invasività dello stesso ma anche dalla complessità o normalità del caso prospettato.In genere, si ritiene che quanto più l’intervento sia complesso o rilevante dal punto di visto dell’integrità psico-fisica del paziente, tanto più il medico dovrà rendere un quadro dei rischi più completo possibile, rappresentando al soggetto cui si richiede il consenso anche le eventuali complicanze, gli effetti collaterali e le problematiche che possono intervenire sul post-intervento, anche quelle più isolate ed insolite. Da quanto detto ne può discendere il rifiuto del paziente e quindi il dissenso. Il paziente ha il pieno diritto di autodeterminarsi e quindi anche di rifiutare le singole o tutte le cure prospettate e queste sue decisioni devono essere ben ponderate e quindi il medico dovrà prospettare in modo completo ed esaustivo le possibili conseguenze del rifiuto.Proprio per tal motivo il medico non si dovrà limitare nel fornire le informazioni, proponendo soltanto una singola cura e le possibili conseguenze della stessa, ma dovrà fornire varie e diverse cure prospettabili per il caso concreto, se esistenti. Dunque, l’informazione al trattamento comprenderà tutte le diverse valutazioni mediche con gli i rischi e benefici che ne derivano. In ogni caso, anche se il paziente ha inizialmente dichiarato il proprio consenso all’operazione sanitaria prospettata dal medico, potrà, in qualsiasi momento, revocare il consenso prestato, anche quando la revoca comporti l’interruzione del trattamento, come accade per la nutrizione artificiale e l’idratazione artificiale, quindi anche in caso di interventi salva-vita.3 - Specificità e personalizzazione dell’informazione da richiedereDopo aver prospettato il contenuto dell’informazione medica, si deve sottolineare come non sia possibile determinare in via generale e astratta il puntuale e identico contenuto dei doveri informativi, tale da poter formare e creare un regime informativo valevole sempre ed in qualsiasi tipo di circostanza per ogni tipo di intervento medico. Infatti, non è possibile avere un unico livello di informazione, in quanto l’informazione assume connotati diversi e cangianti a seconda del tipo di intervento che si prospetta.Vi sono notevoli differenze perché nel caso in cui si sia in presenza di un semplice accertamento diagnostico o di una ordinaria visita medica, l’oggetto dell’informazione sarà basico e routinario, in quanto la situazione fattuale non presenta problemi relativi al calcolo rischi e benefici del trattamento o quello della rappresentazione di diagnosi e prognosi. Così come anche nel caso in cui si sia in presenza di accertamenti quotidiani, a seguito di una cura già prospettata e avviata dal paziente con il medico curante. In questo caso, trattandosi di una prestazione sanitaria ripetitività, ma anche eseguita su una pluralità di altri pazienti, nel caso in cui siano anche significativamente poco incidenti sulle condizioni psico-fisiche del paziente, in merito anche agli eventuali rischi ricadenti sullo stesso, l’attività d’informazione al trattamento richiederà un’attività meno intensa e specifica.A contrario, nel caso in cui il trattamento e le informazioni da rendere dovessero andare oltre la terapia, realizzando scopi diversi da quello della semplice guarigione dallo stato patologico, l’informazione allora avrà caratteri ancora sempre più specifici, dovendo completarsi ed integrarsi con contenuti atti a rendere l’informativa utile e completa. Per quanto riguarda le modalità dell’informazione, fondamentale è il linguaggio usato dal medico.Si ritiene che il linguaggio debba essere quanto più chiaro possibile, rispetto anche al livello culturale e la conoscenza e comprensione del paziente.Il medico deve fornire al paziente le conoscenze atte ed in grado di permettergli di percepire e accettare con piena consapevolezza le cure alle quali sottoporsi.Il dialogo non si deve arrestare al solo contenuto delle informazioni date dal medico ma si deve analizzare con cura il dialogo fra le parti. Ciò, quindi, implica che l’informazione non sia univoca ma deve consistere in una cooperazione fra le parti, quindi, in una conversazione fra le parti. Il paziente deve avere la possibilità di esprimere i suoi dubbi e le sue incertezze, al fine di poter ottenere maggiori informazioni sul proprio trattamento. È necessario che l’informazione sia anche personalizzata. Questa, infatti, dovrà essere regolata e proporzionata alla particolare situazione del paziente, risulta fondamentale che il medico conosca le condizioni del paziente, la sua situazione personale, familiare, lavorativa e relazionale, ma anche le sue esigenze e aspettative terapeutiche. L’informazione dovrà essere sempre onesta e veritiera, il medico deve utilizzare un linguaggio non traumatizzante e quindi usare sempre la massima sincerità e accortezza e, in caso di prognosi infausta, lasciare spazio, ove possibile, ad un margine di speranza per il paziente, in modo che quest’ultimo si possa autodeterminare in modo chiaro e libero da condizionamenti esterni. 4 - Il caso del bambino di Modena, fino a che punto può spingersi il principio di autodeterminazione?Il caso avvenuto a Modena, nel febbraio del 2022, ha avuto notevole risalto mediatico in tutta Italia. Trattasi del caso di un bambino di due anni, ricoverato all’ospedale Sant’Orsola di Bologna, il quale necessitava con urgenza di un intervento chirurgico al cuore che a causa delle resistenze dei genitori, i quali si sono dichiarati contro alla trasfusione del sangue al piccolo da parte di donatori vaccinati al virus covid-19, ha comportato il serio rischio di poter procurare danni ingenti alla salute del bambino se non addirittura, condurlo alla morte.In questo caso si è di fronte allo scontro di due diritti fondamentali all’interno dell’ordinamento italiano. Da un lato, il diritto alla salute, diritto costituzionalmente garantito ex. art. 32; il cui portatore primario è il bambino di due anni che come documentato dai vertici medici dell’ospedale, necessità dell’intervento chirurgico programmato, e che lo stesso “non sia rinviabile"; occorrendo "procedere con urgenza al ricovero e all’intervento". Dall’altro lato, invece, vi è il diritto alla libera autodeterminazione al trattamento, unitamente al diritto alla libera professione della propria religione, in quanto oltre al timore del “sangue infetto”, come definito dai genitori del bambino, venivano addotte anche motivazioni religiose, le quali contrastano con l’eventuale donazione di sangue da parte di soggetti vaccinati. Tali motivazioni religiose si rinvengono sul presupposto per cui i genitori non accettano che al piccolo venga somministrato sangue di persone vaccinate con sieri che utilizzerebbero in fase sperimentale e/o di produzione cellule umane ricavate da feti abortiti volontariamente.A seguito della notizia ricevuta dall’ospedale, la Procura per i minorenni aveva presentato ricorso. Il tribunale oltre a sospendere in via provvisoria la potestà genitoriale alla madre e al padre, ha nominato curatore speciale la direttrice del policlinico.In questo caso, si è proceduto, come avviene normalmente in questi casi, ad un bilanciamento di interessi tra diritti costituzionalmente tutelati come quello alla salute da un lato e quello all’autodeterminazione e religioso dall’altro e tocca all’interprete, in questo caso il giudice, valutare nel caso concreto, quale interesse sia preminente a seguito del bilanciamento effettuato.Il giudice tutelare di Modena, sentite le ragioni del policlinico Sant'Orsola sulla necessità dell'intervento e sulla sicurezza del sangue, non risultando alcuna diversa ragione per temere, in caso di trasfusione di sangue da parte di soggetti vaccinati, ha ritenuto opportuno, tutelando in prima battuta la salute del bambino, dare l’assenso per il procedersi dell’operazione e della trasfusione del sangue.Nel caso in esame, l’interprete ha valutato sulla base di una serie di fattori, tra cui l’interesse preminente del minore, l’urgenza del trattamento terapeutico e l’infondatezza scientifica delle motivazioni avanzate dai genitori del minore che, valutate nel loro insieme, hanno permesso di legittimare la correttezza del trattamento sanitario ma allo stesso tempo, l’insussistenza delle rimostranze effettuate dai genitori.Più in generale, si può affermare che in caso di paziente in età adulta, il principio dell'autodeterminazione è decisivo in virtù dell’art. 32 della Costituzione, la quale impone che: "nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge".Per quanto riguarda i minori l'approccio è diverso. Nonostante in passato si fosse trovato un accordo in merito alla "Nuova disciplina delle attività trasfusionali e della produzione nazionale degli emoderivati", che nel caso in cui non ci fosse stata una circostanza di urgenza e in uno stato di necessità, doveva essere una commissione di medici, tra i quali rappresentativi della professione religiosa in contrasto con il trattamento, a valutare il caso concreto, a considerare se esistessero possibilità di autotrasfusione o di tecniche medico-chirurgiche alternative e, infine, a decidere a maggioranza. La proposta, però, non è stata accolta, da parte della commissione redigente la norma.In ogni caso, oltre all’urgenza che caratterizzava la situazione in esame, la quale ha dato una spinta ulteriore per autorizzare l’ospedale, in caso di conflitto irrisolto tra genitori e autorità sanitarie si affida la decisione alla Procura presso il Tribunale dei minorenni. Questa, sospendendo temporaneamente la responsabilità genitoriale, dispone un provvedimento basato in via esclusiva su criteri medico-scientifici. Si può affermare che quanto è avvenuto per la vicenda del bambino di Modena, rientra nel corretto uso dei poteri del giudice relativamente al bilanciamento degli interessi e diritti costituzionalmente garantiti, come quello all’autodeterminazione e al trattamento sanitario.Editor: dott. Giuseppe Sferrazzo

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Startup Innovative: cosa sono e da dove iniziare

30 dic. 2020 tempo di lettura 3 minuti

"Startup” quante volte è capitato di sentirle nominare e quante altre ci si è chiesti cosa fossero veramente. Una piattaforma che permette di ricevere direttamente a casa prodotti locali? Un vaso smart che amplifica le proprietà naturali delle piante e purifica l’aria?  Le startup sono ormai nella nostra realtà economica e giuridica e spesso usufruiamo dei loro servizi senza neanche saperlo. Eppure, non tutte sono Startup Innovative!Cos'è una Startup Innovativa ai sensi del D.L. 179/2012?La disciplina agevolativa I requisiti essenziali Come costituire una Startup Innovativa1 - Cos'è una Startup Innovativa ai sensi del D.L. 179/2012?Il concetto di “startup” (o “start-up” o “start up”) è riferibile a qualsiasi impresa che si trovi in uno stadio iniziale della propria attività, quando cioè il modello di business, prodotto e mercato non sono ancora perfettamente definiti. Tuttavia, se la startup largamente intesa è qualsiasi impresa nella fase genetica della propria vita, a prescindere dall’attività sociale svolta, solo alcune sono o diventano o, meglio ancora, acquisiscono la qualifica giuridica di “Startup Innovativa” ai sensi del Decreto Legge del 18 ottobre 2012, n. 179 (c.d. Decreto Crescita 2.0).  Queste ultime, infatti, ai sensi di legge, sono solo quelle società di capitali, costituite anche in forma cooperativa, che hanno come oggetto sociale, esclusivo o prevalente, lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico.  Più semplicemente, sono le aziende che si pongono l’obiettivo di sviluppare prodotti o servizi di natura tecnologica: ad esempio, una pizzeria non è una startup innovativa ma può esserlo la società che abbia creato un nuovo software per la gestione efficiente degli ordini. 2 - La disciplina agevolativa Le startup innovative godono di una disciplina agevolativa prevista dal Decreto Crescita 2.0, recentemente ampliata dal legislatore con il D.L. 34/2020 (cd. Decreto Rilancio) per l’emergenza Covid-19 attraverso la destinazione di nuove risorse a fondo perduto.Le startup innovative, ad esempio:sono esonerate dal pagamento dei diritti camerali e imposte di bollo;godono di facilitazioni nel ripianamento delle perdite e nella gestione della crisi di impresa; hanno una disciplina del lavoro tagliata su misura e possono remunerare i propri collaboratori con strumenti di partecipazione al capitale sociale;possono avviare campagne di raccolta di capitale diffuso attraverso portali online autorizzati (cd. equity crowdfunding);sono previsti incentivi fiscali per coloro, persone fisiche o giuridiche, che intendono investire nel capitale di rischio delle startup innovative. 3 - I requisiti essenzialiL’ottenimento della qualifica di “startup innovativa” avviene mediante l’iscrizione della società nella sezione speciale del Registro delle Imprese, creata ad hoc presso ogni Camera di Commercio.  Ai fini dell’iscrizione, la società deve soddisfare una serie di requisiti indicati dall’art. 25 del D.L. 179/2012. In particolare, la società deve:avere la propria sede principale in Italia o in uno Stato UE;essere di nuova costituzione o comunque avere meno di 4 anni di attività, non nascere da operazioni di fusione, scissione o cessione di ramo di azienda;presentare un fatturato annuo inferiore a 5 milioni di euro;non distribuire utili;nonché possedere uno dei criteri alternativi indicati al comma 2, lett. h) del predetto articolo.La società rimane iscritta per un periodo di 5 anni durante il quale può usufruire della disciplina agevolata.  4 - Come costituire una Startup InnovativaHai un’idea innovativa? costituire una Startup Innovativa è più semplice di quanto pensi!È possibile costituirla con l’aiuto di un notaio o tramite una procedura online “fai-da-te”. La costituzione online è però limitata alla sole società a responsabilità limitata (S.r.l.) e può essere effettuata direttamente sul sito InfoCamere del Registro delle Imprese (http://startup.infocamere.it/atst/guidaCostitutivo?0).Il sito propone due procedure:una guidata, in cui è contemplato il coinvolgimento di una Camera di Commercio per aiutare nella stesura dell’atto costitutivo e dello statuto e per assolvere i successivi adempimenti;una non-guidata, dove l’imprenditore può procedere all’iscrizione in piena autonomia con intervento della Camera solo per la verifica e correttezza della documentazione.Per avviare entrambe le procedure i soci fondatori dovranno essere in possesso, tutti, della “firma digitale” e aver già ottenuto la PEC della nuova impresa, o presso certificatori attivi o presso la stessa Camera di Commercio.Sarà richiesto ai soci fondatori il pagamento dell’imposta per la registrazione degli atti all’Agenzia delle Entrate (200,00 euro) e l’ottenimento del codice fiscale, nonché di presentarsi alla fine della procedura di persona presso la Camera di Commercio di riferimento.   Editor: dott.ssa Flavia Carrubba

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