Avv. Eleonora Zito
Con l' entrata in vigore della nuova riforma . Richiedi assistenza separazione e divorzi ed anche per redigere il piano genitoriale nel caso di figli minori.
Con l’entrata in vigore della nuova riforma in materia di famiglia, occorre redigere il piano genitoriale.
Cos’è un piano genitoriale?
Il piano genitoriale è un documento redatto (con l’aiuto di un avvocato esperto in diritto di famiglia o di un mediatore familiare) dai due genitori che hanno deciso di interrompere la convivenza e la propria relazione sentimentale.
E’ uno strumento efficacissimo per facilitare gli accordi sulla genitorialità
Il piano genitoriale è fondamentale per la gestione dei problemi che inevitabilmente si dovranno sostenere con l’altro genitore e per la cura e l’educazione dei figli dopo la separazione.
Un piano genitoriale ben scritto può fungere da mappa per la gestione del nucleo familiare post-separazione. Un buon piano genitoriale deve privilegiare il benessere dei figli e la tutela dei loro interessi.
Lo studio legale fornisce assistenza per separazione e divorzi in tutto il territorio nazionale.
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4 mar. 2021 • tempo di lettura 5 minuti
Quando un cittadino non può permettersi di sostenere le spese legali, lo Stato garantisce il suo diritto alla difesa attraverso l’istituto del patrocinio a spese dello Stato (c.d. gratuito patrocinio). L’istituto trova fondamento e riconoscimento nell’articolo 24 della Costituzione, attraverso il quale lo Stato garantisce e rende effettivo il diritto di difesa dei soggetti meno abbienti, ed in particolare il diritto di poter agire e difendersi di fronte all’autorità giudiziaria, civile, penale, amministrativa, contabile e tributaria.Per poter essere ammessi a tale istituto è necessario essere in possesso di determinati requisiti, individuati dalla legge all’art. 74 del DPR 115/2002, per tutta la durata del processo. In caso di ammissione al gratuito patrocinio, l’avvocato percepirà il proprio compenso esclusivamente dallo Stato.Chi può essere ammesso al gratuito patrocinio?Qual è il limite di reddito per poter essere ammessi al gratuito patrocinio e quali redditi devono essere considerati?Come si richiede il gratuito patrocinio?Cosa avviene in caso di soccombenza e condanna alle spese?1 - Chi può essere ammesso al gratuito patrocinio?Il patrocinio a spese dello Stato, comunemente denominato “gratuito patrocinio”, è quell’istituto che garantisce il diritto di difesa ai soggetti economicamente più deboli. Possono essere ammessi: i cittadini italiani (anche liberi professionisti o titolari di partita IVA), i cittadini stranieri o gli apolidi, purché si trovino regolarmente sul territorio nazionale, gli enti senza scopo di lucro o le associazioni.I soggetti sopra indicati potranno chiedere l’ammissione al gratuito patrocinio per difendersi (quando convenuti in giudizio da altri) o per agire (per tutelare il proprio diritto leso), in ogni stato e grado del processo.In caso di ammissione al gratuito patrocinio, il difensore non riceverà alcun compenso direttamente dal cliente, in quanto le spese legali saranno interamente a carico dello Stato. Invero, se il legale dovesse richiedere e/o percepire compensi o rimborsi da parte del cliente ammesso al gratuito patrocinio si configurerebbe un illecito disciplinare professionale ai sensi dell’art. 85 c.3 DPR 115/2002 e art. 29 c.8 Codice deontologico forense.Sono esclusi dal beneficio i soggetti già condannati con sentenza definitiva per: associazione di tipo mafioso anche straniere (art. 416 bis c.p.), reati commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416 bis c.p., reati commessi al fine di agevolare l’attività delle associazioni di tipo mafioso (ex art. 416 bis c.p.), associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri (art. 291 quater DPR 43/1973), produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope e associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope (artt. 73 e 74 c. 1 DPR 309/1990).2 - Qual è il limite di reddito per poter essere ammessi al gratuito patrocinio e quali redditi devono essere considerati?L’istituto del gratuito patrocinio consente l’accesso alla giustizia a soggetti meno abbienti che non sono in grado di sostenere le spese legali.Ai fini del giudizio sull’ammissione viene considerata ogni componente di reddito, imponibile o meno, in quanto espressiva di capacità economica.In particolare, per poter essere ammessi al beneficio è necessario che il richiedente sia titolare di un reddito annuo imponibile, risultante dall’ultima dichiarazione dei redditi, non superiore ad € 11.746,68.Devono essere computati nel reddito: le pensioni che abbiano natura “sostitutiva” della retribuzione, l’assegno separazione o divorzio a favore del coniuge (ma non l’assegno a favore dei figli), gli interessi dei conti correnti ed i proventi da fondi di investimento.Non rientra, invece, tutto quanto percepito a titolo di indennità di accompagnamento a favore degli invalidi totali.Inoltre, ai fini del calcolo, si considerano anche i redditi dei membri costituenti la famiglia convivente, ossia i soggetti conviventi risultanti dai registri dell’ufficio anagrafe presso il Comune di residenza. Se il soggetto richiedente, quindi, convive con il coniuge, l’unito civilmente o altri familiari, il reddito rilevante ai fini dell’ammissione al gratuito patrocinio, comprende la somma dei redditi conseguiti da ogni componente della famiglia, compreso quello del richiedente.Nella valutazione di tale “reddito familiare complessivo” bisognerà fare riferimento non tanto alla convivenza anagrafica, quanto piuttosto al nucleo familiare di fatto, ovvero a quei legami stabili e di effettiva convivenza. Si terrà in considerazione il reddito personale del solo richiedente solo nel caso in cui la causa ha ad oggetto i diritti della personalità ed in quei processi in cui gli interessi del richiedente sono in conflitto con quelli degli altri componenti il nucleo familiare con lui conviventi (ad esempio in una causa di separazione tra coniugi).3 - Come si richiede il gratuito patrocinio?Per poter essere ammesso al gratuito patrocinio la procedura da seguire cambia a seconda della sede presso cui il giudizio viene instaurato.Nei giudizi civili ed amministrativi, il soggetto deve presentare apposita domanda/istanza di ammissione presso la segreteria del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati competente. La domanda di ammissione, in ambito civile, viene compilata telematicamente dall’avvocato scelto ed inviata alla segreteria del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati.La domanda deve contenere: la richiesta di ammissione, i dati anagrafici del richiedente e dei soggetti conviventi con lo stesso, l’indicazione dei redditi percepiti, l’indicazione della data di udienza (nel momento in cui è necessario costituirsi in giudizio), le generalità e residenza della controparte, delle ragioni di fatto e diritto utili a valutare la fondatezza della pretesa da far valere, delle prove (documenti, testimoni ecc.).Alla domanda viene allegata copia della carta d’identità e del codice fiscale del richiedente.Al termine della procedura, il difensore nominato deve autenticare, a pena d’inammissibilità, l’istanza di ammissione ed inviarla telematicamente al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati.La domanda viene esaminata dai componenti del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati ed entro 10 giorni dalla ricezione, in caso di esito positivo, viene accolta con delibera, comunicata via pec all’avvocato. Il richiedente viene così ammesso al gratuito patrocinio in via provvisoria ed anticipata.Sarà poi il giudice a verificare, durante tutta la durata del processo, se sussistono o meno i presupposti per poter essere esonerati dal pagamento delle spese legali.Invece, in ambito penale l’istanza, con la quale si richiede l’ammissione al gratuito patrocinio, viene depositata, dal richiedente o dall’avvocato, direttamente presso la cancelleria del giudice davanti al quale pende il procedimento.4 - Cosa avviene in caso di soccombenza e condanna alle spese?Nel momento in cui la parte ammessa al gratuito patrocinio perde il giudizio possono verificarsi due ipotesi: (i) mancanza di condanna alle spese: in tal caso, nessuna spesa verrà sostenuta da parte del soggetto ammesso al gratuito patrocinio, in quanto il suo avvocato sarà pagato dallo Stato; (ii) condanna alle spese: in tale circostanza, al contrario, la parte ammessa dovrà corrispondere l’importo stabilito in sentenza in favore di controparte o del suo avvocato. Editor: avv. Elisa Calviello
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Egregio Avvocato
20 set. 2021 • tempo di lettura 4 minuti
Ai sensi degli articoli 147 e 148 c.c. l’obbligo di mantenimento dei minori spetta esclusivamente e primariamente ai genitori.Sempre l’articolo 148 c.c. aggiunge che, quando i genitori non hanno mezzi sufficienti, gli altri ascendenti, in ordine di prossimità, sono tenuti a fornire ai genitori i mezzi necessari affinché possano adempiere i loro doveri nei confronti dei figli.L'obbligazione degli ascendenti risulta essere sussidiaria rispetto a quella primaria dei genitori, e non opera quando uno di essi è inadempiente e l'altro sia in grado di mantenerli (Cass. 2 maggio 2018; n. 10419; Cass. civ. 30 settembre 2010, n. 20509).In senso più restrittivo il concorso degli ascendenti deve derivare dall’incapacità dei genitori di provvedere ai bisogni dei figli e non da un loro semplice inadempimentoIl d. lgs. 154/2013 ha trasfuso integralmente il testo dell'art. 148 c.c. nel nuovo art. 316 bis c.c., cosicché i principi sino a oggi espressi con riferimento alla prima norma sono ancora applicabile in funzione della nuova norma (art. 316 bis c.c.).Quali sono i presupposti per esercitare il rimedio dell’art. 316 bis c.c.?Occorre chiamare in causa sia gli ascendenti paterni che materni?Quali sono i rapporti tra il rimedio dell’art. 316 bis c.c. e la causa di separazione?Qual è il procedimento per ottenere l’obbligo di mantenimento ex art. 316 bis c.c.?1 - Quali sono i presupposti per esercitare il rimedio dell’art. 316 bis c.c.?Recentemente la giurisprudenza ha precisato che gli ascendenti sono tenuti a fornire ai genitori i mezzi necessari affinché possano adempiere i loro doveri nei confronti dei figli soltanto se ricorrono i seguenti presupposti: a) il genitore obbligato non versi il proprio contributo al mantenimento e non sia assoggettabile a esecuzione con esiti prevedibilmente fruttuosi; b) l’altro genitore non sia in condizione di mantenere personalmente i figli; c) omissione volontaria da parte di entrambi i genitori. Alla luce dei predetti presupposti, prima di poter agire nei confronti dei nonni, è necessario “tentare” di recuperare le somme dovute nei confronti del genitore inadempiente, attraverso le possibili azioni esecutive.Una volta che queste azioni avranno dato esito negativo, allora (e solo allora) si potrà agire direttamente nei confronti dei nonni.L’obbligo suppletivo dei nonni deve essere monetizzato in relazione alla condizione economica dei genitori, risultando irrilevante la situazione di maggiore o minore benessere dei nuclei familiari di origine. 2 - Occorre chiamare in causa sia gli ascendenti paterni che materni?L’obbligo sussidiario e suppletivo grava su tutti gli ascendenti di pari grado di entrambi i genitori, consegue che la legittimazione passiva spetta ad entrambi i rami.Ovviamente il ricorrente può evitare la chiamata in causa di quegli ascendenti che già collaborino al mantenimento, purché dia prova dell’intervento economica di cui beneficia la prole loro tramite.3 - Quali sono i rapporti tra il rimedio dell’art. 316 bis c.c. e la causa di separazione?Nell’ambito del diritto di famiglia si pone il problema dei reciproci rapporti che intercorrono tra i diversi rimedi processuali azionati contemporaneamente. Si consideri, pendente una separazione, la necessità di ottenere con la massima urgenza un provvedimento coercitivo dell’obbligo di mantenimento in virtù della inadempienza dell’altro genitore.La questione è stata oggetto di interesse dei Tribunali, che hanno elaborato una soluzione ponderata in base alla quale la procedura speciale disciplinata dall’art. 316 bis c.c. è attivabile fino a che non sia celebrata la prima udienza per la comparizione personale dei coniugi, in quanto, fino a quel momento, non esistono provvedimenti provvisori ed urgenti che regolano la vicenda.Pertanto, l’eccezione di inammissibilità dell’azione ex art. 316 bis c.c. per pendenza del giudizio di separazione è fondata solo se il rimedio speciale viene incardinato dopo lo svolgimento della prima udienza. 4 - Qual è il procedimento per ottenere l’obbligo di mantenimento ex art. 316 bis c.c.?L’obbligo di intervento sussidiario dei nonni al mantenimento dei nipoti è disciplinato dal punto di vista procedurale sempre dall’art. 316 bis c.c.Si tratta di una procedura “priva di formalità” speciale a cognizione sommaria in quanto il provvedimento viene emesso all’esisto dell’audizione dell’inadempiente e dell’assunzione di sommarie informazioni.La procedura può essere attivata per ottenere sia la compartecipazione ad un mantenimento già determinato, sia un intervento coercitivo che fissi anche la misura del quantum. La legittimazione attiva è piuttosto ampia, infatti, l’articolo 316 bis c.c. utilizza l’espressione “chiunque vi ha interesse” che comprende ciascun genitore o entrambi i genitori se privi di mezzi, i figli maggiorenni non ancora economicamente indipendenti non per loro colpa, chi contribuisce al mantenimento, come gli altri ascendenti.Il foro si determina ai sensi dell’articolo 18 c.p.c o dell’alternativo articolo 20 c.p.c, l’atto introduttivo è il ricorso e la procedura gode dell’esenzione dal contributo unificato.Il provvedimento conclusivo è sempre modificabile o revocabile mediante processo ordinario in quanto, mutate le condizioni patrimoniali dei genitori o sopravvenute nuove situazioni di inadempimento possono essere fatte valere in giudizio solo mediante un ordinario processo di cognizione. L’azione ex art 316 bis c.c. può essere riproposta allorquando la precedente causa sia stata definita con verbale di conciliazione.Il riconoscimento dell’assegno decorre dalla data d’incardinazione della lite se in tale momento esistevano le condizioni richieste per l’emanazione del provvedimento. Editor: Avv. Elisa Calviello
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Egregio Avvocato
22 nov. 2021 • tempo di lettura 5 minuti
La promessa di matrimonio, in assenza di una definizione legislativa, si identifica nel c.d. fidanzamento ufficiale ed è qualificabile come la dichiarazione reciproca di due soggetti di sesso diverso di volersi frequentare con il serio intento di sposarsi.Il codice civile dedica alla promessa di matrimonio tre soli articoli 79 – 81 dai quali si evince che la promessa di matrimonio non è un contratto e non costituisce un vincolo giuridico tra le parti in quanto non obbliga il promittente né a contrarre matrimonio né a eseguire ciò che è stato convenuto in caso di mancato adempimento della promessa.L’ordinamento giuridico tutela la libertà matrimoniale ma comunque prende in considerazione la situazione di chi ha sostenuto spese ed assunto obblighi a causa della promessa di matrimonio ponendo a carico del promittente determinate conseguenze.La forma della promessaLa rottura della promessaLo scambio dei doni fatti in occasione della promessa e la restituzione degli stessi in caso di rotturaIl risarcimento del danno come conseguenza della rottura della promessa1 – La forma della promessaQuanto alla forma della promessa, la legge individua due specifiche fattispecie: quella solenne e quella semplice.La promessa è solenne (c.d. sponsali) se fatta: a) con un impegno assunto vicendevolmente da persone di maggiore età, o da soggetti minori emancipati ammessi a contrarre matrimonio; b) per atto pubblico o scrittura privata autenticata oppure se risulta dalla richiesta di pubblicazione del matrimonio.In caso di rottura della promessa solenne, si generano determinati effetti patrimoniali come la restituzione dei doni e il risarcimento del danno.La promessa, invece, è semplice quando è qualificabile come mero fatto sociale priva dei requisiti di forma e di capacità con la quale si manifesta la volontà di unirsi in matrimonio, in caso di rottura è ammessa solo la restituzione dei doni. 2 – La rottura della promessaIl nostro ordinamento tutela e protegge al massimo livello la libertà matrimoniale motivo per il quale il promittente, sino al momento della celebrazione, può decidere di non voler contrarre matrimonio.Il recesso senza giustificato motivo non è assoggettato ai principi generali in tema di responsabilità civile, al fine di non esercitare alcuna pressione, neppure indiretta, sul promittente nel caso il legame sia diventato non più voluto.Tuttavia tale recesso senza un giustificato motivo produce il venir meno della parola data e dell’affidamento creato nel promissario proprio in virtù della solennità della promessa.Si verifica, dunque, una violazione delle regole di correttezza e auto responsabilità motivo per il qualedalla rottura della promessa possono derivare particolari effetti patrimoniali a carico di colui che infrange la promessa di un’obbligazione ex lege, il quale sarà tenuto a rimborsare alla controparte quanto meno l’importo delle spese affrontate e delle obbligazioni contratte in vista del matrimonio, oltre la restituzione dei doni e il risarcimento del danno. Ad esempio sono risarcibili le spese provate dalla nubenda relative sia dell’abito da sposa e sia degli arredi e dei lavori di ristrutturazione effettuati nella casa del futuro sposo, scelta quale casa coniugale.3 - Lo scambio dei doni fatti in occasione della promessa e la restituzione degli stessi in caso di rotturaCon la promessa di matrimonio spesso i futuri sposi si scambiano dei doni i c.d. doni prenuziali, considerati dalla tesi prevalente delle donazioni soggette ai requisiti di sostanza e di forma previsti dalla legge.Sono esempi di doni prenuziali il finanziamento e le opere di ristrutturazione di un immobile da destinare a futura residenza familiare, l’anello, anche se di notevole valore, regalato dal fidanzato alla fidanzata e le somme elargite per ristrutturare l’immobile del futuro coniuge, da adibire a casa coniugale. Dai doni prenuziali è necessario distinguere le donazioni obnuziali, fatte in vista del futuro matrimonio, che si perfezionano solo con la celebrazione delle nozze, senza bisogno di accettazione.Come innanzi detto, dalla rottura della promessa possono derivare particolari effetti patrimoniali come la restituzione dei doni.Nel momento in cui il matrimonio non viene contratto, il promittente può domandare la restituzione dei doni fatti a causa della promessa (art. 80 c.c.) senza che rilevino le cause del mancato matrimonio.La restituzione è ammessa in relazione a qualsiasi tipo di promessa di matrimonio (solenne o semplice) sia tra persone capaci, sia tra minori non autorizzati.La domanda di restituzione dei doni può essere presentata da ciascuno dei promittenti e deve essere accolta a prescindere dalle cause della rottura.Tale domanda deve essere proposta, a pena di decadenza, entro un anno dalla rottura della promessa o dal giorno della morte di uno dei promittenti. 4 - Il risarcimento del danno come conseguenza della rottura della promessaIn caso di inadempimento della promessa solenne, il promittente è tenuto a risarcire il danno se rifiuta di contrarre matrimonio o se il suo comportamento colposo giustifica il rifiuto dell’altro a celebrare le nozze (art. 81 c.c.).Il risarcimento del danno, in questo caso, si qualifica come una particolare forma di riparazione collegata direttamente dalla legge alla rottura del fidanzamento senza giustificato motivo che va a tutelare l’affidamento incolpevole di una parte nella promessa infranta.La domanda è proponibile entro il termine di decadenza di un anno dalla rottura della promessa e la prova del decorso del tempo è a carico di chi eccepisce l’estinzione del diritto della controparte.Inoltre, chi chiede il risarcimento deve provare il nesso di casualità esistente tra le spese sostenute o le obbligazioni assunte e il futuro matrimonio. Il danno risarcibile è quello causato all’altra parte per le spese fatte e per le obbligazioni contratte a causa della promessa, pertanto, le spese risarcibili sono solo quelle successive alla promessa solenne e non quelle anteriori.Editor: avv. Elisa Calviello
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Egregio Avvocato
31 mar. 2022 • tempo di lettura 3 minuti
Il Tribunale che vede quali parti dei suoi procedimenti i bambini e gli adolescenti si chiama TRIBUNALE PER I MINORENNI e non TRIBUNALE DEI MINORENNI o TRIBUNALE DEI MINORI.Il suo nome, "PER I MINORENNI" ha un significato che va ben oltre a quanto si possa immaginareQuesta Pubblica Amministrazione ha il dovere di tutelare coloro che non hanno la capacità di farlo e ciò sia in ambito civile, penale che amministrativoE' un tribunale particolare che gira intorno ai minori, li accoglie, li ascolta e crea attorno a sé una serie di servizi che devono aiutare il soggetto.Le funzioni che vengono demandate, e svolte dai centri e dagli enti esterni, sono dettate dal tribunale stesso e dovranno poi avere un ritorno ad esso mediante relazioni specifiche.La sezione penale.In primis, e ricordo, il soggetto importante è il minore. Colui che compie, commette, consuma reati nella fascia di età compresa tra i 14 (compiuti) ed i 18 anni (non ancora compiuti).Nello specifico: Il TM giudica (applicando la legge minorile) i soggetti che commisero il fatto da minorenni, fino al compimento del loro 25esimo anno di età. Infatti, gli ultradiciottenni, per reati compiuti prima dei 18 anni, rimangono in carico alla Giustizia Minorile fino al compimento dei 21 anni. Al compimento del 21° anno di età il soggetto transita infatti in un Istituto per adulti.L'obiettivo qui è far capire all'adolescente dove ha sbagliato, cercando di far riconoscere al predetto il reato e l'antisocialità dell'azione perpetrata; occorre far prendere coscienza delle proprie azioni e degli errori che l'hanno portato ad essere imputato.Per conseguire tale obiettivo ci si coadiuva dei servizi territoriali, servizi sociali, psicologici ed associazioni nonché di psicoterapeuti e psicologi (cultori dei diritto minorile) presenti quali giudici onorari all'interno del tribunale.Pur nella sua austerità edile, il Tribunale per i Minorenni ha un sentire diverso: il ragazzo ha la parola, interloquisce coi Magistrati, questi ultimi si rivolgono al ragazzo dandogli del "Tu" e chiamandolo per nome, si rapporta coi servizi territoriali che presenziano in aula al fine di spiegare i miglioramenti, i progressi (peraltro inseriti in relazioni depositate) ed eventualmente i programmi, rendere le proprie impressioni.Il tribunale segue anche l'escursus scolastico tramite i predetti servizi.Ovviamente ci sono procedure previste e che devono essere rispettate, procedure dettate dai codici di rito ma anche da leggi speciali, proprio promulgate per i minorenni, ma lo scopo primario è quello NON DI PUNIRE ma di FAR CRESCERE.Da qui l'esigenza che anche il legale sia specializzato in questa materia, non solo per le procedure particolari ma ancche per capire gli adolescenti ed i bambin, per sapersi avvicinare alore e conoscere l'evoluzione psicologica, i traumi, i drammi.Essere un avvocato dei minori significa "entrare nei panni del minore", cogliere il loro sentire sociale, le loro esigenze.Essere non fare l'avvocato per i minorenni.Il legale è colui che in primis ascolta il minore, spiega cosa succederà e lo avvicina alla realtà processuale.In concreto, cosa fa il TM per aiutare i minorenni? Applica taluni principi:- Principio di adeguatezza- Principio di minima offensività del processo- Principio di de- stigmatizzazione- Principio di auto selettività- Principio di indisponibilità del rito e dell'esito del processo- Principio di residualità della detenzioneIn sostanza: le disposizioni normative vengono applicate in modo adeguato alla personalità e alle esigenze educative del minorenne, ed in modo tale che si possa arrecare la minor sofferenza possibile. Di fatti l'adolescente imputato, potrebbe avere traumi indelebili derivanti dal processo, per cui, ad esmpio, il legislatore ha previsto la necessità che il processo si concluda quando la sua prosecuzione non coincide con un'esigenza educativa del minore.Si vuole tutelare l'identità sociale del minore attraverso l'eliminazione di tutti quegli istituti che comportano una stigmatizzazione; gli istituti dell'irrilevanza del fatto e della messa alla prova limitano, di fatti, il contatto del minore con il sistema penale vero e proprio.Il Giudice del Tribunale per i Minorenni può disporre l'accompagnamento coattivo dell'imputato non comparso e vi è il divieto per l'imputato minorenne di patteggiare la pena.La residualità della detenzione è la logica conseguenza di quanto suddetto.Ebbene, da quanto sin qui disquisito, è ora chiaro il perchè il Tribunale di cui trattasi si chiama TRIBUNALE PER I MINORENNI.
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