Egregio Avvocato
Pubblicato il 23 mag. 2022 · tempo di lettura 5 minuti
Ai sensi dell’art. 609-bis c.p., è punito chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità costringe taluno a compiere o subire atti sessuali. Ma cosa si intende per “atti sessuali”?
1 - Cenni sul delitto di violenza sessuale
L’art. 609-bis c.p. tutela la libertà sessuale, cioè la libertà di autodeterminarsi in ordine alla propria sfera sessuale ed agli atti che la compongono.
Le condotte prese in considerazione sono essenzialmente due:
Il consenso al rapporto sessuale deve perdurare per tutta la durata del rapporto sessuale, non solo all'inizio: il delitto è integrato quando il consenso originariamente prestato venga meno a causa di un ripensamento o a causa della non condivisione delle modalità di consumazione del rapporto.
Il consenso, inoltre, deve essere prestato validamente e coscientemente.
L’art. 609-bis u. co. c.p. prevede una circostanza attenuante ad effetto speciale ed indefinita, qualora la compressione della libertà sessuale sia minima avuto riguardo al fatto concreto e delle circostanze.
La violenza sessuale è punita con la reclusione da sei a dodici anni ed è procedibile a querela di parte: la querela deve essere proposta entro dodici mesi dal fatto ed è irrevocabile.
2 - La nozione di “atti sessuali”
Il concetto di “atti sessuali” è poco determinato e ha causato, per questo motivo, un dibattito. In particolare, tradizionalmente sono state proposte due tesi volte a perimetrare la nozione di atto sessuale penalmente rilevante.
Per la tesi oggettivo-anatomica, gli atti penalmente rilevanti vengono selezionati mediante il parametro della zona del corpo attinta dagli atti sessuali: è centrale il concetto di zona erogena, per come è intesa dalla scienza medica e dalle scienze psicologica, antropologica e sociologica.
A questa tesi si contrappone quella oggettivo-contestuale, secondo la quale si dovrebbero invece considerare il contesto e le varie circostanze nelle quali l'atto viene commesso, al fine di determinarne la natura sessuale (ad es. viene spesso citata la “pacca” sui glutei di una conoscente o la natura di saluto dei baci sulla bocca in talune culture, quale quella russa).
La giurisprudenza accoglie prevalentemente la seconda tesi: per stabilire ciò che può considerarsi atto sessuale non è sufficiente fare riferimento alle parti anatomiche aggredite, ma occorre tenere conto dell'intero contesto in cui il contatto si è realizzato e della dinamica intersoggettiva.
Di conseguenza, nel concetto di atti sessuali deve ricomprendersi ogni atto comunque coinvolgente la corporeità della persona offesa, posto in essere con la coscienza e volontà di compiere un atto invasivo della sfera sessuale di una persona non consenziente.
In quest’ottica, anche un bacio, un abbraccio o un palpeggiamento sono idonei a compromettere la libertà sessuale dell'individuo, qualora, tenendo conto di tutti gli elementi del caso concreto, emerga una indebita compromissione della sessualità del soggetto passivo.
Ne consegue che ai fini della configurabilità del delitto di violenza sessuale, il giudice di merito deve accertare la rilevanza di tutti quegli atti che, in quanto non direttamente indirizzati a zone chiaramente definibili come erogene, possono essere rivolti al soggetto passivo anche con finalità del tutto diverse, come i baci o gli abbracci: in particolare, il giudicante deve fare una valutazione che tenga conto della condotta nel suo complesso, del contesto sociale e culturale in cui l’azione è stata realizzata, della sua incidenza sulla libertà sessuale della persona offesa, del contesto relazionale intercorrente fra i soggetti coinvolti e di ogni altro dato fattuale qualificante.
Con particolare riferimento al bacio sulla bocca, la Corte di Cassazione ha in più occasioni affermato che esso integra il reato di violenza sessuale, se dato senza il consenso, anche se limitato al semplice contatto delle labbra: il bacio sulla bocca perde il suo connotato sessuale solo se è dato in particolari contesti sociali o culturali, dove è solo un segno di affetto.
3 - La rilevanza del bacio nelle pronunce della Corte di Cassazione
La Cassazione ha, quindi, in molte occasioni, qualificato il bacio come atto sessuale.
Di recente ha affermato che nel reato di violenza sessuale, l’elemento della violenza può estrinsecarsi, oltre che in una sopraffazione fisica, anche nel “compimento insidiosamente rapido dell’azione criminosa tale da sorprendere la vittima e da superare a sua contraria volontà, così ponendola nell’impossibilità di difendersi” (Cass. Pen., 19 gennaio 2018, n. 47265). Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguardava un dentista che aveva baciato sulla bocca, in modo repentino, una minore, dopo averla fatta accomodare sulla poltrona e averle controllato l’apparecchio ortodontico: nella pronuncia si legge che l’estemporanea iniziativa del dentista aveva colto di sorpresa la minore e l’aveva posta in una condizione di impossibilità di reagire e di esprimere il suo dissenso.
In un diverso caso, la Suprema Corte ha ritenuto penalmente rilevante la condotta di un medico di guardia presso una casa di riposo che, dopo essersi avvicinato velocemente ad un’operatrice sanitaria alla quale non era legato da alcun particolare rapporto confidenziale, l’aveva baciata sulla bocca con una forte pressione (Cass. Pen., 26 novembre 2014, n. 964).
Ancora, la Cassazione ha affermato che è idonea a offendere la libertà di autodeterminazione sessuale “la condotta rapida e insidiosa di chi stringe con forza una donna fra le braccia baciandola sul collo, nella piena consapevolezza di un rifiuto inequivocabilmente e reiteratamente palesato” (Cass. Pen., 9 giugno 2006, n. 19808).
In definitiva, il bacio sulla bocca dato in assenza di consenso – al di fuori dei contesti in cui assume valenza di saluto (come nella tradizione russa) o segno di affetto privo di valenza sessuale (come in alcuni contesti familiari o parentali) – è penalmente rilevante, indipendentemente dalla sua profondità, anche se limitato al semplice contatto delle labbra, in quanto attinge una zona generalmente considerata erogena.
Editor: dott.ssa Elena Pullano
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Egregio Avvocato
11 apr. 2022 • tempo di lettura 5 minuti
Il d.lgs. 231/2001 detta la disciplina della responsabilità amministrativa degli enti per i reati commessi a suo interesse o vantaggio da un soggetto apicale oppure da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di questi. Premessa: che cosa significa responsabilità amministrativa degli enti e a chi si applicaPresuppostiReati per i quali è prevista la responsabilità amministrativa degli entiSanzioni1 - Premessa: che cosa significa responsabilità amministrativa degli enti e a chi si applicaLa responsabilità amministrativa degli enti derivante da reato è un tipo di responsabilità che possiede caratteristiche proprie della responsabilità penale e della responsabilità amministrativa.Sotto il primo punto di vista, la responsabilità scaturisce dalla commissione da parte di soggetti apicali dell’ente o di soggetto a loro gerarchicamente subordinati dei reati previsti dal decreto ed è la manifestazione della cosiddetta “colpa di organizzazione” dell’ente. L’accertamento della responsabilità, inoltre, è demandata alla competenza del giudice penale. Sotto il secondo punto di vista, quando è accertata la responsabilità, l’ente è soggetto a sanzioni di natura amministrativa (come la confisca).Ai sensi dell’art. 1 d. lgs. 231/2001, la responsabilità può essere imputata a:enti forniti di personalità giuridica;società e associazioni anche prive di personalità giuridica.Non possono essere chiamati a rispondere, invece, lo Stato, gli enti pubblici territoriali, gli enti pubblici non economici e gli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale.L’ente si costituisce in giudizio tramite un legale rappresentante individuato nello statuto o nell’atto costitutivo. 2 - PresuppostiAi sensi dell’art. 5 del decreto, l’ente risponde per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio da:soggetti in posizione apicale: si tratta di chi riveste “funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale” nonché di chi esercita, anche di fatto, la gestione e il controllo dell’ente stesso;soggetti sottoposti all’altrui direzione. L’ente, quindi, non è responsabile quando l’autore del reato ha agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi. A questo proposito, la giurisprudenza afferma che, qualora i soggetti agenti abbiano agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi, viene meno lo schema di immedesimazione organica: di conseguenza, l’illecito commesso, pur tornando a vantaggio dell’ente, non può più ritenersi come fatto suo proprio, ma un vantaggio fortuito, non attribuibile alla volontà della persona giuridica.L’ente, in secondo luogo, non è responsabile in altri due casi. Se il reato è commesso da un soggetto in posizione apicale, l’ente va esente da responsabilità se dimostra:di aver adottato il modello di organizzazione e gestione dei reati della specie di quello verificatosi; di aver affidato il compito di vigilare sul funzionamento e l´osservanza dei modelli di curare il loro aggiornamento a un organismo dell’ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo; che le persone che hanno commesso il reato lo hanno fatto eludendo fraudolentemente il modello di organizzazione e di gestione;che non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell’organismo preposto alla stessa. Tale ultima eventualità è sempre esclusa se l’ente ha adottato efficacemente il modello. A questo fine, i parametri per valutare l’efficacia del modello sono esplicitati all’art. 7 co. 4 del decreto: a titolo esemplificativo, il modello deve essere sottoposto a veridica periodica e deve essere elaborato un codice disciplinare volto a sanzionare le condotte contrarie a quanto prescritto.Se il reato è commesso da uno dei soggetti sottoposti all’altrui direzione, l’ente non è responsabile ove dimostri:che la commissione del reato non è stata permessa dall’inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza;di avere, prima della commissione del reato, adottato ed efficacemente attuato un modello di organizzazione, gestione e controllo idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi.Nei casi in cui l’ente risponde, la sua responsabilità è autonoma rispetto a quella della persona fisica (art. 8 del decreto): l’ente risponde, infatti, anche se l’autore del reato non è stato identificato o non è punibile e se il reato si estingue per una causa diversa dall’amnistia. 3 - Reati per i quali è prevista la responsabilità amministrativa degli entiLa responsabilità amministrativa degli enti è soggetta, ai sensi dell’art. 2 del d.lgs. 231/2001, al principio di legalità: l’ente risponde del reato commesso dalla persona fisica solo se la sua responsabilità amministrativa in relazione a quel reato e le relative sanzioni sono espressamente previste da una legge entrata in vigore prima della commissione del fatto.A questo scopo, gli artt. 24 ss. d. lgs. 231/2001 contengono un fitto catalogo di reati che, se commessi, sono presupposto oggettivo di responsabilità amministrativa degli enti. Ricordiamo a titolo esemplificativo: Indebita percezione di erogazioni, truffa in danno dello Stato, di un ente pubblico o dell’Unione europea o per il conseguimento di erogazioni pubbliche, frode informatica in danno dello Stato o di un ente pubblico e frode nelle pubbliche forniture;Delitti di criminalità organizzata, con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico;Peculato, concussione, induzione indebita a dare o promettere utilità, corruzione e abuso d’ufficio;Pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili e delitti contro la personalità individuale (ad es. prostituzione minorile, pornografia minorile, detenzione di materiale pornografico); Omicidio colposo o lesioni gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro;Ricettazione, riciclaggio e impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, nonchè autoriciclaggio e delitti in materia di violazione del diritto d´autore.4 - SanzioniUna volta che viene accertata la commissione del reato da parte delle persone fisiche, quando sussistono i presupposti affinché anche l’ente sia ritenuto responsabile, quest’ultimo risponde di una delle seguenti sanzioni amministrative (art. 9 del decreto):sanzione pecuniaria;confisca;sanzioni interdittive (ai sensi dell’art. 9 co. 2, si tratta dell’interdizione dall’esercizio dell’attività; della sospensione o della revoca di autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito; del divieto di contrattare con la p.a.; dell’esclusione di agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi; del divieto di pubblicizzare beni o servizi);pubblicazione della sentenza.Le prime due sanzioni sono volte ad incidere direttamente sul patrimonio dell’ente, che risponde, secondo il principio della responsabilità patrimoniale di cui all’art. 27 del decreto, con il suo stesso patrimonio o con il fondo comune. Le altre due sanzioni hanno lo scopo di disincentivare la commissione di illeciti da parte degli enti. Le sole sanzioni interdittive possono non essere applicate se, ai sensi dell’articolo 17 del decreto, prima che venga dichiarata l’apertura del dibattimento nel primo grado di giudizio, l’ente dimostra di:aver risarcito integralmente il danno ed eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato ovvero di essersi efficacemente adoperato in tal senso;aver eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato mediante l´adozione e l´attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi;aver messo a disposizione il profitto conseguito ai fini della confisca.Editor: dott.ssa Elena Pullano
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Egregio Avvocato
22 feb. 2021 • tempo di lettura 6 minuti
Dal 2004, la legge prevede espressamente i reati di uccisione e maltrattamento di animali agli artt. 544 bis e 544 ter c.p.. Tali previsioni inizialmente erano ispirate ad una logica “antropocentrica”, volta cioè a tutelare il sentimento di pietà della persona rispetto agli animali, oggetto di una protezione soltanto indiretta. Negli ultimi tempi, tuttavia, la giurisprudenza sembra aver riconosciuto un maggior rilievo alla sensibilità e serenità psicofisica degli animali, garantendo loro una tutela più ampia ed indipendente rispetto a quella riconosciuta agli uomini. Cosa prevedono i reati di uccisione e maltrattamenti di animali?Quali sono le sanzioni previste dal codice penale?Quali sono le pene previste per i reati?Cosa fare in caso di uccisione o maltrattamenti di animali?1 - Cosa prevedono i reati di uccisione e maltrattamenti di animali?Gli artt. 544 bis e 544 ter c.p. prevedono, rispettivamente, i delitti di uccisione e maltrattamento di animali.Entrambe le disposizioni individuano quale elemento fondamentale della fattispecie penale la circostanza che l’autore agisca:per crudeltà, cioè con condotte o per motivi che urtano la sensibilità umana, valevoli a infliggere gravi sofferenze senza giustificato motivo; in tal modo è esclusa la punibilità di chi, ad esempio, cagioni la morte dell’animale inavvertitamente durante la guida;o in assenza di necessità, che vi sarebbe nel caso in cui la condotta sia funzionale a evitare un pericolo immanente o un danno alla propria persona o ad altri ma anche ad evitare il protrarsi di inutili sofferenze dell’animale stesso; è esclusa, ad esempio, la punibilità del veterinario che somministri all’animale un farmaco per sopprimerlo.Inoltre, è esclusa la configurabilità dei reati ai sensi dell’art. 19 ter disp. coord. c.p., nei casi di condotte disciplinate (e autorizzate) dalle leggi speciali come quelle relative alla caccia, alla pesca, o alla macellazione degli animali – ricondotte ad una sorta di “necessità sociale”.Il reato di uccisione fa riferimento all’ipotesi in cui chiunque cagioni la morte di un animale, per crudeltà o senza necessità.Nel caso del delitto di maltrattamenti, rileva ogni condotta idonea a cagionare una «lesione» all’animale, cioè una ferita o una malattia, ma anche il procurare sofferenze di tipo diverso, anche non necessariamente fisiche. Ciò perché l’animale viene considerato e tutelato quale essere sensibile, capace di provare dolore.Parimenti, rileva la situazione in cui un soggetto imponga all’animale il compimento di attività sproporzionate o non compatibili con le sue caratteristiche naturali.A questi fini possono rilevare sia le aggressioni fisiche (come calci, percosse, bastonate), ma anche le sevizie (come ad esempio privare l’animale del cibo o costringerlo a vivere in luoghi angusti o sporchi).È quindi sufficiente aver cagionato sofferenze «di carattere ambientale, comportamentale, etologico o logistico, comunque capaci di produrre nocumento agli animali, in quanto esseri senzienti».Ciò è quanto ha ritenuto la Corte di Cassazione in relazione al discusso “caso della mucca Doris”, riguardante un bovino in precarie condizioni di salute, destinato alla macellazione ma sottoposto a inutili sevizie e vessazioni dai soggetti responsabili del trasporto al macello, ritenuti responsabili del reato di maltrattamenti perché, al fine di trascinarlo, procedevano a bastonarlo, sottoporgli scosse elettriche, calpestarlo e caricarlo a forza sulla pala di un trattore agricolo per gettarlo successivamente all’interno di un camion.Allo stesso modo, alcuni Tribunali hanno ritenuto riconducibile al reato di maltrattamenti la condotta del ristoratore che detiene animali destinati al consumo ma ancora vivi, come le aragoste, in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze – cioè all’interno di frigoriferi, a temperature prossime agli zero gradi centigradi, sopra un letto di ghiaccio o con le chele legate.In entrambi i casi, sembra rilevare come, nonostante l’animale che subisca i maltrattamenti sia destinato a morire ed al consumo, nel rispetto delle normative speciali e delle consuetudini sociali, comunque non possano ritenersi giustificabili le sofferenze causate precedentemente. Il reato di maltrattamenti si configura, infine, anche nel caso in cui vengano somministrate agli animali sostanze di vario tipo, comunque idonee a cagionare un danno dalla salute di questi. Si tratta del cd. “reato di doping a danno di animali”, che la legge punisce al fine di prevenire l’ulteriore ipotesi delittuosa delle scommesse clandestine o dei combattimenti tra animali, in vista dei quali spesso gli animali vengono drogati. Sia il reato di uccisione, sia quello di maltrattamenti possono essere puniti solo se compiuti con dolo, cioè con coscienza e volontà da parte dell’autore delle condotte. Non è invece punibile la condotta compiuta per colpa o per il bene dell’animale stesso.2 - Chi è il destinatario della tutela penale?I reati esaminati appartengono alla categoria dei delitti “contro il sentimento per gli animali”.L’oggetto primario di tutela veniva infatti riconosciuto, originariamente, nella sensibilità delle persone nei confronti degli animali, nel loro sentimento di pietà e affezione nei confronti di questi, che sarebbe leso dal verificarsi delle condotte incriminate.In tal senso, l’animale viene tutelato solo indirettamente, in virtù di una protezione che la legge accorda in realtà all’uomo.Progressivamente, la giurisprudenza sembra tuttavia aver riconosciuto all’animale una tutela più ampia e slegata dalla diretta riconducibilità all’uomo stesso, riconoscendolo quale vero e proprio soggetto passivo del reato.Così, ad esempio, nei casi esaminati sono state ritenute penalmente rilevanti le condotte idonee a incidere “solo” sulla stabilità e serenità psicofisica dell’animale, anche se non lesive della sensibilità umana, dandosi rilievo all’offesa agli animali e alle loro caratteristiche biologiche, più che al sentimento di umana compassione. Nella stessa direzione sembra andare il riconoscimento della tutela anche degli animali non “di affezione” e tipicamente “domestici”, come i bovini e le aragoste menzionate, peraltro destinati al macello o al consumo; nonché la pretesa dei giudici ad una rigorosa applicazione delle norme speciali che autorizzano le condotte umane lesive nei confronti degli animali (come la pesca: essa, ad esempio, non potrebbe legittimare l’imposizione agli animali usati come esca condizioni insopportabili e incompatibili con i comportamenti tipici della specie di appartenenza).3 - Quali sono le pene previste per i reati?Il reato di uccisione di animali è punito con la reclusione da quattro mesi a due anni.Quello di maltrattamenti, invece, con la reclusione da tre a diciotto mesi o con la multa da 5.000,00 a 30.000,00 euro.La pena è aumentata della metà se dai fatti di maltrattamento derivi (come conseguenza non voluta) la morte dell’animale.4 - Cosa fare in caso di uccisione o maltrattamenti di animali?Nel caso in cui si sia a conoscenza di fatti di uccisione o maltrattamenti, o si nutra un serio e fondato sospetto che questi siano in atto o si siano verificati, occorre segnalarlo alle Autorità competenti (polizia, carabinieri, ecc…) ed alle Guardie Zoofile presenti su tutto il territorio. È pure possibile consultare il loro portale online, sul sito https://www.guardiezoofile.info/segnalazione/ , che permette di segnalare il maltrattamento semplicemente compilando un apposito modulo.Il reato è, in ogni caso, procedibile d’ufficio, per cui non è necessario sporgere formale querela e in base alle segnalazioni gli organi competenti dovranno procedere con i dovuti accertamenti.Editor: dott.ssa Anna Maria Calvino
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Egregio Avvocato
1 nov. 2022 • tempo di lettura 1 minuti
Cosa succede se l’amministratore di condominio non paga le spese di amministrazione ordinarie e straordinarie? Può un singolo condomino denunciare l’amministratore di condominio? In questo caso l’amministratore di condominio può essere denunciato per il reato di appropriazione indebita, ex art. 646 del codice penale. L'amministratore, infatti, può ricevere dai condomini somme di denaro al fine di eseguire specifici pagamenti o da riversare nella cassa condominiale, per far fronte alle spese di gestione del condominio secondo i bilanci approvati dall'assemblea. Nel momento in cui i singoli condomini versano le varie somme, per spese ordinarie e straordinarie ,sul conto intestato al condominio, il denaro entra nella disponibilità di quest'ultimo soggetto. Quindi, commette il reato di appropriazione indebita l'amministratore di condominio che, anziché dare corso ai suoi obblighi, dia alle somme a lui consegnate dai condomini una destinazione del tutto incompatibile con il mandato ricevuto e coerente invece con sue finalità personali. Chiarito questo aspetto, occorre rispondere al secondo interrogativo: può un singolo condomino denunciare l’amministratore? La risposta è si. Infatti il singolo condomino è legittimato alla proposizione della querela, anche in via concorrente o eventualmente surrogatoria rispetto al nuovo amministratore del condominio, per i reati commessi in danno del patrimonio comune.Sul punto si è espressa la Suprema corte di cassazione la quale, esaminando la questione relativa alla validità della querela presentata da alcuni condomini nell’ambito di un procedimento per appropriazione indebita nei confronti dell’amministratore dello stabile, ha espresso il principio di diritto secondo cui “il singolo condomino è legittimato alla proposizione della querela, anche in via concorrente o eventualmente surrogatoria rispetto all'amministratore del condominio, per i reati commessi in danno del patrimonio comune” (così Cass. Pen. Sez. II, n. 31252/22).
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6 lug. 2023 • tempo di lettura 1 minuti
L’articolo 47 dell’ Ordinamento penitenziario, disciplina l’istituto dell’affidamento in prova al servizio sociale.L’affidamento in prova consiste nella misura alternativa alla detenzione più ampia e ha quale obiettivo il reinserimento del detenuto all’interno della società.In linea generale possono essere ammessi alla misura in argomento tutti i condannati a pena detentiva non superiore ad anni 3, oppure ai condannati che abbiano 3 anni di pena da scontare quale residuo di una pena maggiore.Oltre ai limiti di pena appena indicati, per essere ammessi alla misura alternativa in argomento è necessaria una verifica del comportamento del reo (periodo di osservazione) da parte dell’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna (UEPE) se in stato di libertà, ovvero di una verifica della condotta all’interno dell’istituto penitenziario, nonché allo svolgimento di altri esperimenti premiali, con la finalità di verificare l’attitudine del soggetti di adeguarsi alle prescrizioni imposte.Ciò posto, è importante comprendere se, ai fini della concessione o meno dell’affidamento in prova, sia rilevante valutare la storia “carceraria” del soggetto che richiede la misura ex 47 dell’Ordinamento penitenziario. Sul punto, infatti, orientamento ormai consolidato ritiene che ai fini del giudizio prognostico in ordine alla realizzazione delle prospettive cui è finalizzato l’istituto, e, quindi, dell’accoglimento o del rigetto dell’istanza, non possono, di per sé, da soli, assumere decisivo rilievo, in senso negativo, elementi quali la gravità del reato per cui è intervenuta condanna, i precedenti penali o la mancata ammissione di colpevolezza, né può richiedersi, in positivo, la prova che il soggetto abbia compiuto una completa revisione critica del proprio passato, essendo sufficiente che, dai risultati dell’osservazione della personalità, emerga che un siffatto processo critico sia stato almeno avviato. Avv. Francesco Bellocchio
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