Egregio Avvocato
Pubblicato il 16 dic. 2020 · tempo di lettura 4 minuti
L’ordinamento penale italiano si trova costantemente a dover rispondere a nuove esigenze di tutela e a dover prevedere nuove fattispecie di reato: riesce a stare al passo con i tempi e affrontare le questioni riguardanti la rivoluzione digitale in atto da anni?
1. Cosa è il profilo fake?
2. Come reagisce l’ordinamento penale italiano?
3. Nel concreto come si comportano i giudici?
4. Cosa può fare il cittadino vittima di un furto di identità e di immagini?
Accade ormai quotidianamente di conoscere una persona e di rimanervi in contatto grazie ai social network o, ancora più spesso, di conoscerla direttamente sul web. Al di là dello scambio di numeri telefonici, oggi, il cd. “nickname” del profilo social rientra tra le prime informazioni di cui si viene a conoscenza, così da poter reciprocamente aggiungersi e seguirsi sui vari social network.
Da più di un decennio, infatti, social network come Facebook, Instagram, Twitter, LinkedIn (solo per citare i più comuni) hanno avuto una diffusione tale da rendere reale e concreta la famosa, e anche famigerata, “rivoluzione digitale”: tutti connessi, tutti collegati, a prescindere dal luogo in cui ci si trova, dalla lingua che si parla, e dall’età che si ha.
Se da un lato questa profonda digitalizzazione ha sicuramente diversi lati positivi, permettendo una connessione costante tra persone distanti e una maggiore facilità di contatto, dall’altro lato ha comportato anche una maggiore facilità nella commissione di reati, primo fra tutti il furto di identità e il furto di immagini.
1 - Cosa è il profilo fake?
Non solo ai soggetti famosi, ma anche e soprattutto alle persone comuni, può succedere di essere vittima di furto di identità e di immagini, mediante le quali viene creato un cd. “profilo fake” (lett. profilo falso).
Il profilo fake, infatti, si può manifestare in due modi: è sia quel profilo social che associa un nome (spesso di fantasia) a delle immagini, le quali appartengono, invece, ad una persona reale rimasta vittima di furto di immagini; sia quel profilo che, pur avendo il nome reale associato alle immagini reali di una persona, viene gestito – ad insaputa di quest’ultima – da soggetti terzi in modo illegittimo.
2 - Come reagisce l’ordinamento penale italiano?
Nonostante sia un fenomeno ormai molto diffuso, il codice penale non ha ancora previsto una disposizione ad hoc, considerando la creazione del profilo fake punibile solo se ricondotta in altre fattispecie tradizionali, tra cui l’art. 494 c.p. sulla “sostituzione di persona” e l’art. 640-ter c.p. sulla “frode informatica”.
Nella sostituzione di persona (art. 494 c.p.) un soggetto si sostituisce ad un altro illegittimamente e di nascosto, con il fine di indurre i terzi in errore e ricavarne un vantaggio personale, non necessariamente economico. Per questa condotta la pena è la reclusione in carcere fino ad un anno.
Nella frode informatica (art. 640-ter co. 3 c.p.), invece, il furto o l’indebito utilizzo dell’identità digitale altrui è un’aggravante del reato base di frode informatica, secondo il quale chiunque altera il funzionamento di un sistema informatico o interviene senza diritto su dati e informazioni per procurare a sé un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da due a sei anni e la multa da 600 a 3.000 euro.
3 - E nel concreto come si comportano i giudici?
Non essendo prevista una disposizione penale ad hoc, non sono chiari i termini e i confini della fattispecie di reato, sulla quale è intervenuta, anche recentemente, la Corte di Cassazione.
Con una prima sentenza nel 2014 la Corte aveva stabilito che il reato si configura anche solo mediante la creazione di un account su un social network con un nickname di fantasia, associandolo però all’immagine di un’altra persona. Non è dunque necessario utilizzare anche il nome proprio del soggetto ritratto in foto.
Con una seconda sentenza all’inizio del 2020, la Cassazione ha peraltro stabilito che il furto di identità attraverso i social, qualora si tratti di un “episodio isolato”, non è punibile per particolare tenuità (e quindi per applicazione dell’art. 131-bis c.p.)
Sebbene la giurisprudenza cerchi, quindi, di rimediare alle lacune legislative, un intervento riformatore e di attuazione del codice penale alle nuove esigenze di tutela appare auspicabile.
4 - Cosa può fare il cittadino vittima di un furto di identità e di immagini?
La prima cosa che può fare la vittima è quella di segnalare allo stesso social network il furto di identità e di immagini mediante l’apposita sezione “segnala profilo”. In questo modo il social network viene immediatamente avvisato che è stata posta in essere una condotta illecita da uno degli utenti. Tuttavia, la sola tutela fornita dai vari social network con le mere “segnalazioni” non sembra affatto sufficiente.
Il cittadino, poi, può ricorrere all’autorità giudiziaria, in particolare la Polizia Postale, ove può sporgere denuncia non appena scopre il fatto, stampando e/o “screenshottando” gli elementi ritenuti utili per provare il reato. L’inquadramento del fatto nel reato di sostituzione di persona o in quello di frode informatica è rimesso al giudice.
Infine, la vittima può formulare una richiesta al Garante della Privacy, grazie alla tutela riconosciuta dal cd. GDPR: Regolamento Europeo della Privacy, entrato in vigore nel maggio 2018. Invero, se il social network non risponde alla richiesta dell’utente vittima di furto o non cancella i dati, sarà possibile presentare un ricorso al Garante per la protezione dei dati personali, il quale potrà ordinare allo stesso social network di non effettuare alcun ulteriore trattamento dei dati riferiti all'interessato e oggetto del profilo fake.
Editor: dott.ssa Claudia Cunsolo
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Egregio Avvocato
20 mag. 2021 • tempo di lettura 6 minuti
La legge delega n. 67/2014 ha inserito nel nostro ordinamento una nuova causa estintiva del reato, denominata sospensione del procedimento con messa alla prova: in presenza di determinati requisiti, l’imputato chiede la sospensione del processo penale in corso e si sottopone volontariamente ad un periodo di “messa alla prova” che, ove abbia esito positivo, comporta l’estinzione del reato. Nozione e finalitàAmbito applicativoDisciplina processualeEsito della messa alla prova1 - Nozione e finalitàLa sospensione del procedimento con messa alla prova (m.a.p.), disciplinata dagli artt. 168-bis ss. c.p., è un istituto che attribuisce al soggetto che sia imputato di determinati reati la facoltà di chiedere di essere sottoposto ad un periodo di “prova”, con contestuale sospensione del procedimento. Detta “prova” comporta la prestazione di condotte volte all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato nonché, ove possibile, il risarcimento del danno dallo stesso cagionato. Comporta, inoltre, l’affidamento dell’imputato al servizio sociale per lo svolgimento di un programma che può implicare, fra l’altro, attività di volontariato di rilievo sociale o l’osservanza di prescrizioni relative ai rapporti con il servizio sociale o con una struttura sanitaria, alla dimora, alla libertà di movimento, al divieto di frequentare determinati locali.Infine, la concessione della messa alla prova è subordinata alla prestazione di lavoro di pubblica utilità, per un periodo non inferiore a dieci giorni, anche non continuativi e per al massimo otto ore al giorno: si tratta di una prestazione non retribuita in favore della collettività, da svolgere presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni, le aziende sanitarie o presso enti o organizzazioni di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato, compatibilmente con le esigenze lavorative, familiari, di studio o di salute dell’imputato.Qualora disposta, la sospensione del procedimento provoca un duplice effetto: durante il periodo di sospensione, il corso della prescrizione è sospeso e, nel caso di esito positivo della prova, il reato si estingue, ai sensi dell’art. 168-ter c.p.Giova ricordare che l’introduzione di questo istituto nell’ordinamento italiano è il frutto congiunto dell’esigenza di perseguire il reinserimento sociale “anticipato” degli imputati dei reati di minore gravità e di deflazionare il carico giudiziario. 2 - Ambito applicativoL’imputato, ai sensi dell’art. 168-bis co. 1 c.p., può chiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova in tre casi:1) per reati puniti con la sola pena pecuniaria;2) per reati puniti con pena detentiva fino a quattro anni nel massimo, sola o congiunta o alternativa alla pena pecuniaria: quella che rileva è la pena in astratto, a nulla rilevando che in concreto siano presenti circostanze aggravanti comuni, speciali o ad effetto speciale (Cass. Sez. Un., 31 marzo 2016, Sorcinelli);3) per i reati per i quali è prevista la citazione diretta a giudizio nel rito monocratico ex art. 550 co. 2 c.p.p.: fra questi si ricordano, a mero titolo esemplificativo, i delitti di lesioni personali stradali, di furto aggravato, di ricettazione.Non è mai concedibile ai delinquenti abituali, professionali o per tendenza, ai sensi dell’art. 168-bis co. 5 c.p. e, in ogni caso, la sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato non può essere concessa più di una volta.3 - Disciplina processualeSecondo quanto previsto dall’art. 464-bis co. 2 c.p.p., la richiesta di sospensione del procedimento può essere presentata al giudice, a pena di inammissibilità, dall’imputato o dal suo procuratore speciale, oralmente o per iscritto, fino a che non siano formulate le conclusioni in udienza preliminare o fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado nel giudizio direttissimo e nel procedimento di citazione diretta a giudizio. La richiesta può essere formulata, inoltre, nel corso delle indagini preliminari ma è necessario, ai sensi dell’art. 464-ter c.p.p., il consenso del pubblico ministero, espresso per iscritto e sinteticamente motivato.Ai sensi dell’art. 464-bis co. 4 c.p.p., alla richiesta di sospensione presentata dall’imputato deve essere allegato un programma di trattamento, elaborato d’intesa con l’ufficio di esecuzione penale esterna (u.e.p.e.); tuttavia, qualora la previa elaborazione del programma non sia possibile, è sufficiente allegare la semplice richiesta di elaborazione di detto programma.L’u.e.p.e., ricevuta la richiesta di presa in carico da parte dell’imputato, svolge un’indagine socio-familiare, all’esito della quale redige un programma di trattamento che tenga conto delle possibilità economiche, delle capacità e delle possibilità di compiere attività riparatorie del richiedente nonché della possibilità di svolgimento di attività di mediazione.Sulla richiesta decide il giudice competente, sentite le parti e la persona offesa, che esprimono un parere non vincolante.Il giudice dispone la sospensione del procedimento con messa alla prova quando, in base ai parametri di cui all’art. 133 c.p., reputa idoneo il programma di trattamento presentato e ritiene che l’imputato si asterrà dalla commissione di ulteriori reati. In caso di rigetto in udienza preliminare, la richiesta può essere riproposta nel giudizio prima della dichiarazione di apertura del dibattimentoQuando ammette la messa alla prova, il giudice deve indicare il termine entro il quale devono essere adempiuti gli obblighi relativi alle condotte riparatorie o risarcitorie nonché l’ulteriore termine, autonomo ed indipendente, di durata della prova nel suo complesso. Quanto alla durata della sospensione, l’464-quater co. 5 c.p.p. fissa dei termini massimi, nel rispetto dei quali il giudice individua il periodo di sospensione ritenuto opportuno nel singolo caso concreto: si tratta del termine di due anni – se si procede per reati per i quali è prevista una pena detentiva, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria – e di un anno – se si procede per reati per i quali è prevista la sola pena pecuniaria.Tali termini decorrono dalla sottoscrizione del verbale di messa alla prova da parte dell’imputato.4 - Esito della messa alla provaLa prova può avere esito positivo o negativo. Per decidere in un senso o nell’altro, il giudice acquisisce la relazione conclusiva dell’u.e.p.e. che aveva preso in carico l’imputato e fissa l’udienza per la decisione, dandone avviso alle parti e alla persona offesa.Esito positivo. Decorso il periodo di sospensione del procedimento con messa alla prova, il giudice dichiara con sentenza estinto il reato se, considerato il comportamento dell’imputato e il rispetto delle prescrizioni stabilite, ritiene, anche sulla base della relazione conclusiva dell’u.e.p.e., che la prova abbia avuto esito positivo. La sentenza che dichiara l’estinzione del reato non deve essere riportata nel certificato generale e nel certificato penale del casellario giudiziale richiesti dall’interessato. A ben vedere, nonostante l’esito positivo della prova possono essere applicate le sanzioni amministrative accessorie previste dalla legge.Esito negativo. Il giudice può ritenere, tenuto conto della relazione conclusiva dell’ufficio di esecuzione penale esterna, del comportamento dell’imputato e del mancato rispetto delle prescrizioni stabilite, che la prova abbia avuto esito negativo. In questo caso, dispone con ordinanza che il processo riprenda il suo corso. Qualora, tuttavia, all’esito del giudizio, si pervenga a sentenza di condanna, tuttavia, nel determinare la pena da eseguire in concreto, il pubblico ministero deve “defalcare” un periodo corrispondente a quello della prova positivamente esperita, conteggiando tre giorni di prova come equivalenti ad un giorno di reclusione o di arresto.Editor: dott.ssa Elena Pullano
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Egregio Avvocato
2 lug. 2021 • tempo di lettura 6 minuti
Il decreto liquidità (d.l. n. 23/2020) tra le misure adottate per far fronte all'emergenza da COVID-19 ha previsto anche la possibilità per le imprese di chiedere un finanziamento garantito da SACE. Quest’ultima è una società per azioni avente quale unico socio Cassa Depositi e Prestiti, e concede garanzia su finanziamenti sotto qualsiasi forma erogati alle imprese, colpite dall’emergenza Covid-19, che hanno sede legale in Italia. La legge prevede, inoltre, un vincolo di scopo per il finanziamento coperto da questa garanzia. L’impresa che non rispetti tale vincolo di destinazione è perseguibile per il reato di malversazione a danno dello Stato ex art. 316 bis c.p.?Il finanziamento garantito da SACE e le sue caratteristichePresupposti del reato di malversazione a danno dello Stato (art. 316 bis c.p.)Decisione della Corte di Cassazione n. 22119 del 2021 1 - Il finanziamento garantito da SACE e le sue caratteristicheLa cd. Garanzia Italia di SACE è uno strumento di supporto previsto dal decreto liquidità (d.l. n. 23/2020) a favore delle imprese, alle quali possono essere rilasciate garanzie a condizioni agevolate, controgarantite dallo Stato, sui finanziamenti per liquidità, ristrutturazioni e investimenti erogati dagli istituti di credito.Le imprese che vogliano richiedere tale agevolazione non devono avere una specifica forma giuridica né operare in un particolare settore, ma devono avere i seguenti requisiti:sede in Italia;che si siano trovate in una situazione di difficoltà in un momento successivo al 31 dicembre 2019, a seguito dell’epidemia di Covid-19;che abbiano fino a 249 dipendenti che hanno già utilizzato il Fondo Centrale di Garanzia fino a completa capienza.Per ottenere la garanzia SACE l’impresa deve richiedere alla banca (o altro soggetto abilitato all'esercizio del credito) un finanziamento con garanzia dello Stato. Il soggetto finanziatore verifica i criteri di eleggibilità, effettua istruttoria creditizia e, in caso di esito positivo del processo di delibera, inserisce la richiesta di garanzia nel portale online di SACE. Quest’ultima processa la richiesta e, in caso di esito positivo del processo di delibera, assegna un Codice Unico Identificativo (CUI) ed emette la garanzia, controgarantita dallo Stato. A quel punto, il soggetto finanziatore eroga al richiedente il finanziamento richiesto con la garanzia di SACE controgarantita dallo Stato.La legge prevede, inoltre, un vincolo di scopo per il finanziamento coperto dalla garanzia: il finanziamento deve essere destinato a sostenere costi del personale, dei canoni di locazione o di affitto di rami di azienda, investimenti o capitale circolante impiegati in stabilimenti produttivi e attività imprenditoriali che siano localizzati in Italia. Tale requisito deve essere “documentato e attestato” dal rappresentante legale dell’impresa beneficiaria (art. 1, co. 2, lett. n.).2 - Presupposti del reato di malversazione a danno dello Stato (art. 316 bis c.p.)Il reato previsto dal legislatore all’art. 316 bis c.p. è un reato inserito nel Titolo II tra i reati contro la Pubblica Amministrazione, e punisce con la pena della reclusione da sei mesi a quattro anni il privato che, avendo ricevuto particolari contributi, sovvenzioni e finanziamenti caratterizzati da uno specifico vincolo di destinazione, li utilizzi invece per finalità differenti da quelle prestabilite.Questa fattispecie, dunque, non si occupa affatto della fase genetica (cioè di come il privato abbia ottenuto quelle somme), ma si occupa della fase successiva, e cioè della fase dell’utilizzo e dell’impiego delle somme di denaro che il privato abbia ricevuto dalla PA. È quindi una fattispecie profondamente diversa da quelle previste dagli artt. 640, 640bis e 316 ter c.p. (rispettivamente, truffa, truffa aggravata per il perseguimento di erogazioni pubbliche e indebita percezione a danno dello Stato). Queste norme si riferiscono alle condotte dirette ad ottenere questi finanziamenti, e puniscono il privato che abbia ricevuto le somme dallo Stato mediante raggiri o dichiarazioni false. L’art. 316 bis c.p., invece, presuppone che il soggetto abbia già questo denaro, e guarda a come lo stesso venga impiegato. Secondo la tesi prevalente, infatti, la fattispecie di cui all’art. 316 bis c.p. concorre con le altre appena esaminate: il soggetto dovrà eventualmente rispondere di entrambi i reati; non può esserci un concorso apparente di norme, trattandosi di due fasi totalmente diverse, ma ci sarà invece concorso di reati.Ai sensi dell’art. 316 bis c.p. il finanziamento deve essere caratterizzato da un vincolo di destinazione. Il privato deve avere l’obbligo di impiegare le somme ricevute per una certa finalità; non può configurarsi il reato di malversazione a danno dello Stato nel caso in cui si tratti di un ordinario finanziamento senza vincoli. Si evidenzia, peraltro, che viene punito non solo chi impiega il denaro per una finalità del tutto privatistica, ma anche chi lo impiega sempre per una finalità pubblica ma diversa da quella prestabilita. Anche se il denaro è stato impiegato per un’attività di interesse pubblico, ma diversa rispetto a quella per il quale il denaro è stato erogato, allora si ricadrà nella malversazione. Lo stesso vale per il non impiego. 3 - Decisione della Corte di Cassazione n. 22119 del 2021 Alla luce di quanto finora esposto, si potrebbe ritenere che possa configurarsi il reato di malversazione a danno dello Stato (art. 316 bis c.p.) in capo all’impresa che, una volta ricevuto il finanziamento vincolato garantito da SACE, lo utilizzi per finalità diverse da quelle indicate dalla legge. Apparentemente, infatti, sussistono tutti i requisiti: ottenimento di un finanziamento, sussistenza di un vincolo di destinazione, utilizzo per una finalità diversa da quella prestabilita.Tuttavia, di recente la Corte di Cassazione (sent. n. 22119 del 2021) ha escluso la configurabilità del reato in esame nel caso di finanziamento garantito da SACE. In primo luogo, la Corte ha ricordato come la fattispecie prevista dall’art. 316 bis c.p. sia posta a tutela della corretta gestione e utilizzazione delle risorse pubbliche destinate a fini di incentivazione economica. Di seguito, ha poi evidenziato che invece il finanziamento erogato ai sensi del cd. decreto liquidità, come convertito dalla Legge n. 40/2020, non è idoneo ad integrare il presupposto della condotta esaminata: la condotta di sviamento del finanziamento ricevuto dall’istituto di credito, e quindi l’utilizzo dello stesso per un fine differente da quello prestabilito, non può essere ricondotto nell'ambito del reato di malversazione ai danni dello Stato.Nella fattispecie in esame, infatti, il finanziamento, anche se connotato da una particolare agevolazione (e quindi da onerosità attenuata) e nonostante sia destinato alla realizzazione delle finalità di interesse pubblico, non viene erogato direttamente dallo Stato o da un ente pubblico, bensì da un soggetto privato (nella specie, un istituto bancario).Mancherebbe, quindi, un elemento fondamentale per la sussistenza del reato contro la Pubblica Amministrazione ex art. 316 bis c.p., e cioè l’utilizzo indebito di risorse pubbliche. Dunque, nel caso in cui l’impresa abbia ottenuto il finanziamento garantito da SACE e destini le somme ricevute ad una finalità differente da quella prestabilita dal d. l. n. 23/2020 non potrà essere chiamato a rispondere del reato di malversazione a danno dello Stato. Solo l'inadempimento dell’obbligazione restitutoria renderà operativa la garanzia pubblica e, in assenza di tale presupposto, ogni onere connesso all'erogazione del finanziamento rientra esclusivamente nel rapporto principale tra l'impresa ed il soggetto finanziatore, che è un rapporto privatistico.Editor: dott.ssa Claudia Cunsolo
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Egregio Avvocato
3 mag. 2021 • tempo di lettura 7 minuti
Un istituto che trova ampia applicazione nell’ordinamento italiano e che pone conseguenti problemi applicativi è quello della recidiva. L’art. 99 del codice penale prevede la disciplina di tale istituto, sul quale – anche di recente – si è espressa più volte la Corte di Cassazione a Sezioni Unite. Vediamo insieme gli aspetti più importanti.Campo di applicazione e natura giuridica della recidivaI diversi tipi di recidivaI cd. effetti secondari della recidiva1 - Campo di applicazione e natura giuridica della recidivaL’art. 99 c.p. dispone che chi, dopo essere stato condannato per un delitto non colposo, ne commette un altro, può essere sottoposto ad un aumento di un terzo della pena da infliggere per il nuovo delitto non colposo. Da ciò si desume che al fine di poter applicare la recidiva devono sussistere almeno due presupposti:a. il soggetto deve avere commesso un delitto non colposo, per il quale sia stato già condannato con sentenza passata in giudicato; e questo delitto si chiamerà reato fondante;b. dopo il passaggio in giudicato della prima condanna, il soggetto deve aver commesso un nuovo delitto non colposo, che si chiamerà reato espressivo. È a questo secondo reato che verrà applicata la recidiva. Tuttavia, è ormai pacifico in giurisprudenza che non sono sufficienti questi due soli presupposti, e che mai vi potrà essere un automatismo nell’applicazione della recidiva – non può essere conseguenza automatica della mera sussistenza di questi due presupposti. Il giudice, invero, dovrà sempre condurre una valutazione in concreto sul fatto di applicare o meno la recidiva, tale per cui si ritiene che debba sussistere un terzo presupposto:c. il reato espressivo deve palesare una maggiore consapevolezza e una maggiore pericolosità sociale dell’autore del reato.Se non vi è questa valutazione, o se comunque il reato espressivo non ha nulla a che vedere con il reato fondante, allora il giudice non potrà applicare la recidiva: in quanto la ricaduta non è sintomatica di una maggiore colpevolezza e non denota il soggetto autore del reato come maggiormente pericoloso.In merito alla natura giuridica della recidiva, si evidenzia che ad oggi è stata del tutto superata la tesi tradizionale secondo cui veniva classificata quale status. Tale tesi poneva l’accento sul fatto che la legge sembrava riferirsi sempre al recidivo quale soggetto, parlando sempre del “recidivo”.Oggi la tesi prevalente ritiene che si tratti di una circostanza aggravante del reato, e ciò si desume non solo dall’art. 99 c.p., ma anche da altre disposizioni come l’art. 69 c.p., che disciplina il bilanciamento tra circostanze, e l’art. 70 c.p., che distingue tra circostanze oggettive e soggettive, ed entrambe le disposizioni citano la recidiva.Da tale classificazione come circostanza aggravante derivano importanti conseguenze, tra le più importanti vi è quella per la quale anche la recidiva deve soggiacere alle normali regole in materia di concorso di circostanze (artt. 63 e ss. c.p.), come sottolineato anche dalle pronunce della Corte di Cassazione a Sezioni Unite. Una prima sentenza del 2011 ha evidenziato che l’art. 63 co. 4 c.p. sul concorso tra circostanze ad effetto speciale si applica anche alla recidiva; e una seconda sentenza del 2021 ha ribadito che la recidiva è una circostanza, ed è circostanza ad effetto speciale (tranne che nel comma 1), quindi deve trovare applicazione anche la disciplina ex art. 649 bis c.p. sul regime di procedibilità d’ufficio.2 - I diversi tipi di recidivaL’art. 99 c.p. prevede diversi tipi di recidiva.Il primo comma prevede la recidiva semplice, che sussiste nel momento in cui un soggetto commette un qualsiasi delitto non colposo dopo essere stato giudicato con sentenza passata in giudicato per un precedente delitto non colposo. In questo caso è previsto l’aumento di un terzo della pena.Il secondo comma prevede la recidiva monoaggravata, che ricorre o quando il reato espressivo (quindi il secondo delitto) è della stessa indole del primo; o è stato commesso entro 5 anni dalla precedente condanna; o, ancora, è stato commesso nel corso dell’esecuzione della pena. A fronte di tale circostanza aggravante il legislatore prevede un aumento della pena fino alla metà.Il terzo comma disciplina la recidiva pluriaggravata, la quale prevede che ricorrano due o più circostanze del secondo comma; quindi ad es. il reato espressivo sia contemporaneamente della stessa indole del primo e sia stato commesso nei cinque anni dalla precedente condanna. L’aumento di pena in questo caso è della metà.Il quarto comma prevede la recidiva reiterata, che sussiste nel momento in cui un soggetto già dichiarato recidivo commetta un altro delitto non colposo. In questo caso l’aumento di pena è della metà nel caso di cui al primo comma, e di due terzi negli altri casi.Infine, il comma 5 prevedeva originariamente una forma di recidiva obbligatoria. Oggi tale ipotesi di obbligatorietà è stata espunta dall’ordinamento, perché considerata incostituzionale dalla Corte in quanto del tutto irragionevole: si applicava a prescindere dal reato fondante, e teneva conto del solo reato espressivo, il quale doveva rientrare in un catalogo del tutto eterogeneo ex art. 407 c.p.p. Nella disciplina attuale l’unica obbligatorietà concerne il quantum di pena, e non anche la valutazione sull’an, quindi la valutazione in merito alla sussistenza o meno della recidiva.3 - Gli effetti secondari della recidivaLa legge penale ricollega delle conseguenze pregiudizievoli ulteriori al soggetto che è stato dichiarato recidivo. Infatti, non si ha il solo effetto diretto dell’incremento di pena, ma si hanno anche ulteriori effetti, tra cui, una maggiore difficoltà nel riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche (art. 62 bis co. 2 bis c.p.); un limite minimo di aumento della pena nel caso di reato continuato commesso dal recidivo reiterato (art. 81 co. 4 c.p.); un allungamento del termine di prescrizione (art. 157 c.p.); una maggiore limitazione in caso di amnistia e indulto (artt. 151 co. 5 e 171 co. 3 c.p.).La Corte di Cassazione a Sezioni Unite si è occupata più volte del campo di applicazione di tali effetti pregiudizievoli ulteriori. È pacifico che se il giudice non ha proprio applicato la recidiva, perché ha ritenuto che tra reato fondante e reato espressivo non vi era alcun collegamento, allora non si verificherà né l’effetto principale dell’aumento di pena, né gli effetti secondari.Se, invece, ha applicato la recidiva perché sussiste un collegamento tra i due reati, allora si produrranno anche gli effetti secondari, oltre all’aumento di pena. Il caso problematico è quello del concorso eterogeneo di circostanze, cioè il caso in cui il fatto di reato è connotato sia da circostanze attenuanti sia da circostanze aggravanti, quali la recidiva. Il giudice dovrà operare il giudizio di bilanciamento previsto dall’art. 69 c.p. alla luce del quale la circostanza aggravante della recidiva potrà essere considerata prevalente, equivalente o subvalente rispetto alle attenuanti.Nel caso in cui risulti prevalente la recidiva, è pacifico che si produrranno gli effetti secondari oltre all’effetto principale dell’aumento di pena.Se, invece, la recidiva risulta equivalente rispetto alle attenuanti, una prima tesi ha sostenuto che vi sia stata una elisione della stessa, a fronte della quale è scomparsa, e non essendoci stato un aumento di pena non possono esservi neanche gli effetti secondari. Le Sezioni Unite nel 2010, diversamente, hanno sostenuto che, anche se apparentemente scomparsa, in realtà il giudice ha ritenuto esistente la recidiva, perché altrimenti non avrebbe potuto fare il giudizio di bilanciamento. Quindi anche in caso di equivalenza la recidiva è da ritenersi applicata, e quindi trovano applicazione anche le norme sugli effetti secondari.Infine, nel caso in cui la recidiva venga ritenuta subvalente rispetto alle attenuanti, sono state sostenute due tesi. Una prima tesi, accolta dalle Sezioni Unite nel 2021, ritiene che anche in questo caso la recidiva è da ritenersi applicata e di conseguenza anche tutti gli effetti secondari troveranno applicazione. Una seconda tesi, accolta da altre Sezioni Unite nel 2018, ritiene invece che solo nel caso in cui sia espressamente previsto dalla legge anche in caso di subvalenza dovranno applicarsi gli effetti secondari, come avviene per la disciplina della prescrizione (artt. 157 e 161 c.p. che ritengono comunque esistente la recidiva, anche se subvalente), e non invece negli altri casi in cui non esiste una norma specifica.Editor: dott.ssa Claudia Cunsolo
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Egregio Avvocato
18 feb. 2024 • tempo di lettura 9 minuti
La revisione, nel processo penale italiano, è un mezzo di impugnazione straordinario esperibile avverso ai provvedimenti di condanna passati in giudicato.la revisione è prevista dall'art.629 e seguenti:«1. È ammessa in ogni tempo a favore dei condannati, nei casi determinati dalla legge, la revisione delle sentenze di condanna o delle sentenze emesse ai sensi dell'articolo 444, comma 2, o dei decreti penali di condanna, divenuti irrevocabili, anche se la pena è già stata eseguita o è estinta.»(Art. 629 - Condanne soggette a revisione.)Tra le motivazioni che possono portare ad una revisione vi sono i motivi elencati dall'art.630, L'organo competente è la Corte d'Appello.Che si voglia considerare la revisione un'impugnazione o meno, è di fatto uno strumento offerto dall'ordinamento al condannato per poter far fronte a sentenze ingiuste passate in giudicato. L'unico che può proporre una domanda di revisione è il condannato o chi agisce nel suo interesse, come i congiunti o il Procuratore Generale. L'unica domanda che si può chiedere è il proscioglimento, non anche diminuzioni di pena o sconti, giacché questo istituto mira essenzialmente a correggere decisioni vistosamente errate.Organo competente per la revisione è la Corte d'Appello, ex art.633 c.p.p. se considerata impugnazione, non è né devolutiva in quanto non rimette il giudizio dinanzi ad un organo superiore, bensì ad uno ben individuato, la Corte d'Appello a prescindere, né tantomeno sospensiva, in quanto il giudicante non è tenuto a disporre la sospensione dell'esecuzione della pena, potendolo fare a propria discrezione in qualsiasi momento se ritiene opportuno.La revisione può essere richiesta soltanto per motivi tassativamente previsti dalla legge e in virtù di elementi concreti ed evidenti che abbiano la capacità di far prosciogliere chi ne fa richiesta.Questo aspetto distacca nettamente la revisione dalla possibilità che la si possa considerare una sorta di bis in idem , vietato dallo stesso ordinamento: in realtà il bis in idem è vietato per evitare la reiterata persecuzione penale di un soggetto già giudicato, specialmente se assolto.In questo caso la situazione è completamente ribaltata in quanto è lo stesso soggetto a chiedere - non un nuovo giudizio (sarebbe impossibile) o tantomeno una reiterata persecuzione, ma - lo stravolgimento della sentenza di condanna compromessa da un errore nei precedenti giudizi.A dire il vero un peggioramento è previsto, ma per una causa del tutto eccezionale: quando cioè, ai sensi della legge 15 marzo 1991 n.82, un soggetto abbia ottenuto attenuanti o agevolazioni per collaborazioni con la Giustizia per questioni di terrorismo o criminalità organizzata, mentendo o rendendo dichiarazioni reticenti, nonché quando sia stato ritenuto autore di un reato entro i 10 anni successivi per i quali è previsto l'arresto in flagranza obbligatorio.MotiviI motivi per richiedere la revisione sono elencati dall'art.630 c.p.p.:«1. La revisione può essere richiesta:a) se i fatti stabiliti a fondamento della sentenza o del decreto penale di condanna non possono conciliarsi con quelli stabiliti in un'altra sentenza penale irrevocabile del giudice ordinario o di un giudice speciale;b) se la sentenza o il decreto penale di condanna hanno ritenuto la sussistenza del reato a carico del condannato in conseguenza di una sentenza del giudice civile o amministrativo, successivamente revocata, che abbia deciso una delle questioni pregiudiziali previste dall'articolo 3 ovvero una delle questioni previste dall'articolo 479;c) se dopo la condanna sono sopravvenute o si scoprono nuove prove che, sole o unite a quelle già valutate, dimostrano che il condannato deve essere prosciolto a norma dell'articolo 631;d) se è dimostrato che la condanna venne pronunciata in conseguenza di falsità in atti o in giudizio o di un altro fatto previsto dalla legge come reato.»Diversi sono stati in questi ultimi anni i casi di gravissimi Errori Giudiziari, non da ultimo il caso di Beniamino Zuncheddu, difeso dall'avv. Mauro Trogu, che prima di essere dichiarato innocente ha trascorso ben 33 anni in carcere.Il caso piu' grave resta quello di Gulotta, trattato e difeso dall'Avv. Baldassarre Lauria, il quale detiene, purtroppo, il record di detenzione, ben 36 anni in carcere per un delitto che non ha mai commesso.Il caso Gulotta, fu trattato anche nella trasmissione "IO SONO INNOCENTE" di Matano nel 2017, assieme ad altri casi di gravi Errori Giudiziari.Gulotta, assieme all'avv. Baldassarre Lauria, fondarono "PROGETTO INNOCENTI", che tratta gli errori giudiziari e di conseguenza le revisioni penali.E', difatti, una nobile organizzazione non governativa per la correzione degli errori giudiziari, cui fanno parte notevoli e preparatissimi professionisti, esperti in materia.DI SEGUITO VENGONO RIPORTATI I RELATIVI ARTICOLI DEL C.P.P. CIRCA LA REVISONE DEL PROCESSO PENALE:Articolo 629 –Condanne soggette a revisione.1. È ammessa in ogni tempo a favore dei condannati, nei casi determinati dalla legge, la revisione delle sentenze di condanna o delle sentenze emesse ai sensi dell'articolo 444, comma 2, o dei decreti penali di condanna, divenuti irrevocabili, anche se la pena è già stata eseguita o è estinta. Articolo 630 - Casi di revisione.1. La revisione può essere richiesta:a) se i fatti stabiliti a fondamento della sentenza o del decreto penale di condanna non possono conciliarsi con quelli stabiliti in un'altra sentenza penale irrevocabile del giudice ordinario o di un giudice speciale;b) se la sentenza o il decreto penale di condanna hanno ritenuto la sussistenza del reato a carico del condannato in conseguenza di una sentenza del giudice civile o amministrativo, successivamente revocata, che abbia deciso una delle questioni pregiudiziali previste dall'articolo 3 ovvero una delle questioni previste dall'articolo 479;c) se dopo la condanna sono sopravvenute o si scoprono nuove prove che, sole o unite a quelle già valutate, dimostrano che il condannato deve essere prosciolto a norma dell'articolo 631;d) se è dimostrato che la condanna venne pronunciata in conseguenza di falsità in atti o in giudizio o di un altro fatto previsto dalla legge come reato. Articolo 631 -Limiti della revisione.1. Gli elementi in base ai quali si chiede la revisione devono, a pena d'inammissibilità della domanda, essere tali da dimostrare, se accertati, che il condannato deve essere prosciolto a norma degli articoli 529, 530 o 531. Articolo 632 -Soggetti legittimati alla richiesta.1. Possono chiedere la revisione:a) il condannato o un suo prossimo congiunto ovvero la persona che ha sul condannato l'autorità tutoria e, se il condannato è morto, l'erede o un prossimo congiunto;b) il procuratore generale presso la corte di appello nel cui distretto fu pronunciata la sentenza di condanna. Le persone indicate nella lettera a) possono unire la propria richiesta a quella del procuratore generale. Articolo 633 -Forma della richiesta.1. La richiesta di revisione è proposta personalmente o per mezzo di un procuratore speciale. Essa deve contenere l'indicazione specifica delle ragioni e delle prove che la giustificano e deve essere presentata, unitamente a eventuali atti e documenti, nella cancelleria della corte di appello individuata secondo i criteri di cui all'articolo 11.2. Nei casi previsti dall'articolo 630, comma 1, lettere a) e b), alla richiesta devono essere unite le copie autentiche delle sentenze o dei decreti penali di condanna ivi indicati.3. Nel caso previsto dall'articolo 630, comma 1, lettera d), alla richiesta deve essere unita copia autentica della sentenza irrevocabile di condanna per il reato ivi indicato. Articolo 634 -Declaratoria d'inammissibilità.1. Quando la richiesta è proposta fuori delle ipotesi previste dagli articoli 629 e 630 o senza l'osservanza delle disposizioni previste dagli articoli 631, 632, 633, 641 ovvero risulta manifestamente infondata, la corte di appello anche di ufficio dichiara con ordinanza l'inammissibilità e può condannare il privato che ha proposto la richiesta al pagamento a favore della cassa delle ammende di una somma da 258 euro a 2.065 euro.2. L'ordinanza è notificata al condannato e a colui che ha proposto la richiesta, i quali possono ricorrere per cassazione. In caso di accoglimento del ricorso, la corte di cassazione rinvia il giudizio di revisione ad altra corte di appello individuata secondo i criteri di cui all'articolo 11. Articolo 635 -Sospensione dell'esecuzione.1. La corte di appello può in qualunque momento disporre, con ordinanza, la sospensione dell'esecuzione della pena o della misura di sicurezza, applicando, se del caso, una delle misure coercitive previste dagli articoli 281, 282, 283 e 284. In ogni caso di inosservanza della misura, la corte di appello revoca l'ordinanza e dispone che riprenda l'esecuzione della pena o della misura di sicurezza.2. Contro l'ordinanza che decide sulla sospensione dell'esecuzione, sull'applicazione delle misure coercitive e sulla revoca, possono ricorrere per cassazione il pubblico ministero e il condannato. Articolo 636 -Giudizio di revisione.1. Il presidente della corte di appello emette il decreto di citazione a norma dell'articolo 601.2. Si osservano le disposizioni del titolo I e del titolo II del libro VII in quanto siano applicabili e nei limiti delle ragioni indicate nella richiesta di revisione. Articolo 637 -Sentenza.1. La sentenza è deliberata secondo le disposizioni degli articoli 525, 526, 527 e 528.2. In caso di accoglimento della richiesta di revisione, il giudice revoca la sentenza di condanna o il decreto penale di condanna e pronuncia il proscioglimento indicandone la causa nel dispositivo.3. Il giudice non può pronunciare il proscioglimento esclusivamente sulla base di una diversa valutazione delle prove assunte nel precedente giudizio.4. In caso di rigetto della richiesta, il giudice condanna la parte privata che l'ha proposta al pagamento delle spese processuali e, se è stata disposta la sospensione, dispone che riprenda l'esecuzione della pena o della misura di sicurezza. Articolo 638 -Revisione a favore del condannato defunto.1. In caso di morte del condannato dopo la presentazione della richiesta di revisione, il presidente della corte di appello nomina un curatore, il quale esercita i diritti che nel processo di revisione sarebbero spettati al condannato. Articolo 639 -Provvedimenti in accoglimento della richiesta.1. La corte di appello, quando pronuncia sentenza di proscioglimento a seguito di accoglimento della richiesta di revisione, anche nel caso previsto dall'articolo 638, ordina la restituzione delle somme pagate in esecuzione della condanna per le pene pecuniarie, per le misure di sicurezza patrimoniali, per le spese processuali e di mantenimento in carcere e per il risarcimento dei danni a favore della parte civile citata per il giudizio di revisione. Ordina altresì la restituzione delle cose che sono state confiscate, a eccezione di quelle previste nell'articolo 240, comma 2, n. 2, del codice penale. Articolo 640 -Impugnabilità della sentenza.1. La sentenza pronunciata nel giudizio di revisione è soggetta al ricorso per cassazione. Articolo 641 -Effetti dell'inammissibilità o del rigetto.1. L'ordinanza che dichiara inammissibile la richiesta o la sentenza che la rigetta non pregiudica il diritto di presentare una nuova richiesta fondata su elementi diversi. Articolo 642 -Pubblicazione della sentenza di accoglimento della richiesta.1. La sentenza di accoglimento, a richiesta dell'interessato, è affissa per estratto, a cura della cancelleria, nel comune in cui la sentenza di condanna era stata pronunciata e in quello dell'ultima residenza del condannato. L'ufficiale giudiziario deposita in cancelleria il certificato delle eseguite affissioni.2. Su richiesta dell'interessato, il presidente della corte di appello dispone con ordinanza che l'estratto della sentenza sia pubblicato a cura della cancelleria in un giornale, indicato nella richiesta; le spese della pubblicazione sono a carico della cassa delle ammende. Prof. Dr. Giovanni MoscagiuroStudio delle Professioni e Scienze forensi e Criminologia dell'Intelligence ed Investigativa Editori e Giornalisti europei in ambito investigativoEsperto e docente in Diritto Penale , procedura penale, Amministrativo , Tributario , Civile Pubblica Amministrazione , Esperto in Cybercrime , Social Cyber Security , Stalking e Gang Stalking, Cyberstalking, Bullismo e Cyberbullismo, Cybercrime, Social Crime, Donne vittime di violenza, Criminologia Forense, dell'Intelligence e dell'Investigazione, Diritto Militare, Docente di Diritto Penale e Scienze Forensi, Patrocinatore Stragiudiziale, Mediatore delle liti, Giudice delle Conciliazioni iscritto all'albo del Ministero di Grazia e Giustizia, Editori e Giornalisti European news Agency
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