Egregio Avvocato
Pubblicato il 11 gen. 2021 · tempo di lettura 6 minuti
Il reato di diffamazione “a mezzo social” è un’ipotesi aggravata del reato di diffamazione, previsto all’art. 595 c.p.; tale reato si configura quando sussistano alcuni requisiti, quali:
La diffamazione realizzata tramite i social è da ricondursi all’ipotesi più grave prevista al comma 3 dell’art. 595 c.p., che fa riferimento all’offesa arrecata con «qualsiasi altra forma di pubblicità».
La maggiore gravità di questa fattispecie deriva dal fatto che, in tali casi, si accentua l’offesa dell’onore e della reputazione della vittima perché il messaggio diffamatorio può essere comunicato a un numero di persone più elevato e ha maggiori possibilità di diffondersi.
Infatti, la semplice “visita” del social o del sito implica la possibilità di conoscere il contenuto diffamatorio da parte di un numero indeterminato di persone; ma, ancor più pericolosamente, gli stessi contenuti possono essere anche condivisi “in proprio” dagli utenti, attraverso le varie funzioni di cui i social sono provvisti, senza effettive possibilità di controllo da parte degli autori dei contenuti stessi. Basti pensare che, attraverso la ricerca per tag o parola chiave, i “like”, gli screenshot e i salvataggi dei post, qualsiasi utente che sia venuto a contatto col contenuto può riportarlo all’attenzione generale in qualsiasi momento.
Per tale ragione, la giurisprudenza ha ritenuto, ad esempio, irrilevante la circostanza che il “post” fosse pubblicato in un gruppo chiuso o sul profilo personale dell’utente, anche privato, nonché la grandezza del gruppo o il numero di destinatari originario – elementi, questi, che non eludono la possibile diffusione.
È comunque necessario che la persona offesa sia individuabile, anche per esclusione o in via deduttiva, attraverso il riferimento a caratteristiche personali di cui i destinatari del messaggio siano a conoscenza, non essendo invece necessario che sia indicata espressamente attraverso le sue generalità.
Nel caso di reato di diffamazione a mezzo social, si applicano le sanzioni previste all’art. 595 comma 3 c.p., cioè la reclusione da sei mesi a tre anni o la multa, non inferiore a 516 euro.
La pena potrebbe aumentare, inoltre, nel caso in cui, come spesso accade in tali casi, l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato. In tal caso si applica anche la circostanza aggravante prevista al comma 2 del 595 c.p., e il giudice dovrà tenerne conto nel calcolo complessivo della pena.
Ulteriore aggravante e conseguente aumento di pena può aversi nel caso di offesa arrecata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario o ad una sua rappresentanza, nonché ad una Autorità costituita in collegio.
L’esigenza di tutela dell’altrui onore e reputazione, diritti fondamentali della persona, deve essere contemperata con il diritto, di pari rango primario e costituzionale, di manifestare liberamente il proprio pensiero.
Il reato di diffamazione non è pertanto configurabile quando la condotta sia considerabile lecita perché, ai sensi dell’art. 51 c.p., costituisce esercizio di un diritto, come quello di critica.
Ciò tuttavia vale purché il diritto sia esercitato nei limiti riconosciuti dalla legge e dalla giurisprudenza, quali: 1) la verità oggettiva dei fatti dichiarati (sui quali si fonda la valutazione del soggetto); 2) l’interesse pubblico alla conoscenza del fatto (la critica non può consistere in offese “gratuite”); 3) la c.d. continenza espressiva (cioè l’uso di un linguaggio adeguato, che pur se “colorito” deve comunque essere strumentale alla comunicazione e non alla mera offesa); 4) una congrua motivazione del giudizio di disvalore espresso. Essi vanno in ogni caso parametrati nel contesto di riferimento.
A tal proposito, può notarsi come la giurisprudenza abbia ritenuto che l’ironica recensione pubblicata da un utente insoddisfatto su portali di recensione come Tripadvisor o Airbnb non sia diffamatoria perché il gestore di un esercizio pubblico, quando entra nel mercato, accetta il rischio di offrire servizi non graditi e criticabili.
Innanzitutto, vi sono quelli più immediati, ma di portata limitata, relativi al social network stesso. Di norma è infatti possibile segnalare il contenuto offensivo di un messaggio, chiedendone la cancellazione immediata o perfino il “ban” dell’utente dalla piattaforma.
È poi possibile intraprendere la via giudiziale, sia in sede penale, sia – alternativamente o contestualmente – in sede civile.
La vittima del reato può decidere di sporgere formale querela, entro 90 giorni dalla verificazione dei fatti e in seguito può costituirsi parte civile per chiedere il risarcimento dei danni subiti, oppure instaurare un’autonoma azione in sede civile per ottenere il risarcimento stesso. A tal fine, è possibile anche promuovere la sola azione civile, senza intraprendere il procedimento penale.
La persona offesa dalla diffamazione potrà chiedere il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale, quali la riduzione dei redditi conseguente alla condotta diffamatoria (rileva anche la perdita di occasioni lavorative importanti), ma anche le conseguenze derivate dalla lesione dei suoi diritti inviolabili.
Al fine di garantire una tutela immediata della vittima, in sede penale, il giudice potrà disporre in sede cautelare il sequestro preventivo delle pagine web in cui il messaggio diffamatorio è contenuto, ad esempio dei gruppi Facebook, con l’oscuramento dei profili sulla pagina web qualora ritenga sussistente il pericolo di aggravamento o protrazione delle conseguenze o l’agevolazione del reato stesso. Non si applicano, infatti, le tutele previste per la stampa e i giornali telematici, che limitano le possibilità dei rimedi cautelari.
Editor: dott.ssa Anna Maria Calvino
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Egregio Avvocato
16 lug. 2023 • tempo di lettura 4 minuti
Lo stalking, o molestia psicologica, si manifesta in diverse forme, tra cui:Pedinamento: seguire o monitorare la vittima in modo costante.Contatti continui: inviare messaggi, chiamate, e-mail o effettuare visite indesiderate alla vittima.Minacce: minacciare la vittima o le persone a lei care.Diffamazione: diffondere informazioni false o dannose sulla vittima.Interferenza nella vita privata: invadere la privacy della vittima, ad esempio tramite il controllo dei suoi account social o l'installazione di software di sorveglianza.In Italia, lo stalking è punito dal codice penale, con pene che variano a seconda della gravità del reato.L'art. 612-bis del codice penale, introdotto dalla legge n. 69 del 19 luglio 2019 (Codice Rosso) punisce con la reclusione da 6 mesi a 4 anni, la condotta di molestie, minacce, ingiurie, lesioni e danneggiamenti, qualora tali condotte siano reiterate e commesse ai danni della medesima persona, ovvero nei confronti di familiari o persone legate alla stessa da relazione affettiva ovvero nei confronti di persone che la stessa persona ha conosciuto a causa della sua attività lavorativa o professionale.Inoltre, la legge prevede l'adozione di provvedimenti di urgenza quali allontanamento dalla casa familiare, divieto di avvicinamento e di comunicazione con la vittima e sospensione dell'esercizio di attività lavorative o professionali.Esistono diverse tipologie di stalking, tra cui:Stalking amoroso: si verifica quando una persona inizia a molestare un'altra persona con cui ha avuto una relazione romantica o che desidera avere una relazione romantica.Stalking professionale: si verifica quando un individuo molesta un collega o un superiore sul posto di lavoro.Stalking online: si verifica quando un individuo utilizza i mezzi digitali per molestare un'altra persona, ad esempio inviando messaggi di testo o postando commenti offensivi sui social media.Stalking a scopo sessuale: si verifica quando un individuo molesta un'altra persona con l'intento di ottenere sesso o soddisfazione sessuale.Stalking per vendetta: si verifica quando un individuo molesta un'altra persona per vendicarsi di una percepita offesa o ingiustizia.Stalking a scopo criminale: si verifica quando un individuo utilizza la molestia psicologica come mezzo per commettere altri reati, come il furto o il sequestro di persona.Tutte queste tipologie di stalking sono illegali e punibili per legge, ma le punizioni variano a seconda della gravità del reato.Il GaslightingIl gaslighting è una forma di abuso psicologico in cui una persona manipola deliberatamente un'altra persona, facendole mettere in dubbio la propria percezione della realtà. Il termine deriva dalla trama di un film del 1938 intitolato "Gas Light", in cui il personaggio principale manipola la sua moglie facendole credere di essere pazza.Il gaslighting consiste nel negare l'evidenza, nel distorcere la verità e nel manipolare le informazioni per far apparire la vittima come instabile o insicura. La persona che compie questi atti può anche cercare di convincere la vittima che i suoi ricordi o le sue percezioni sono sbagliati, che le sue emozioni sono ingiustificate o che le sue paure sono immaginarie.Per dimostrare di essere vittime di gaslighting, è importante raccogliere prove concrete del comportamento della persona che compie gli atti, ad esempio registrazioni audio o messaggi di testo. Inoltre, è importante rivolgersi a un professionista della salute mentale o a un avvocato specializzato in diritti umani per ottenere supporto e aiuto legale.È importante notare che il gaslighting è una forma di abuso e può avere conseguenze negative sulla salute mentale e sulla vita personale della vittima. Se si sospetta di essere vittime di gaslighting, è importante cercare aiuto e supporto il prima possibile.Il gaslighting in sé non è considerato un reato specifico in molti paesi, ma può essere considerato una forma di abuso psicologico o emotivo. Ciò significa che, se le azioni del gaslighter costituiscono un'infrazione ad altre leggi, come la legge sulle molestie o la legge sulla privacy, allora potrebbero essere punite come tali.Ad esempio, il gaslighting può integrare i reati di stalking se la persona che compie gli atti di manipolazione persiste nel suo comportamento e molesta la vittima. Inoltre, se il gaslighter utilizza mezzi digitali per manipolare la vittima, potrebbe essere punito per cyberstalking o per l'invasione della privacy attraverso l'utilizzo di tecnologie informatiche.In ogni caso, la punibilità dei reati commessi nel contesto del gaslighting dipende dalle leggi specifiche del paese in cui questi reati vengono commessi. Se si sospetta di essere vittime di gaslighting o di altre forme di abuso, è importante cercare l'aiuto di un avvocato o di un'organizzazione specializzata per aiutare a determinare se i comportamenti costituiscono un reato e come denunciare i responsabili.
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25 gen. 2021 • tempo di lettura 7 minuti
Il fenomeno delittuoso del Revenge Porn costituisce una preoccupante problematica sia giuridica che culturale: si pensi che al giorno si verificano due episodi di “vendetta-porno” e secondo uno degli ultimi dossier del Servizio analisi della Direzione centrale della Polizia Criminale a novembre 2020, a più di un anno dall’entrata in vigore dell’apposita disciplina, le indagini in corso erano ben 1083. Cosa si intende per Revenge Porn?Cosa prevede l’art. 612-ter c.p.?Le circostanze aggravanti e la procedibilitàLa questione del consensoA chi posso rivolgermi se scopro di essere vittima di Revenge Porn?1 - Cosa si intende per Revenge Porn?Il neologismo Revenge Porn, letteralmente “vendetta porno”, indica la divulgazione non consensuale dettata da finalità vendicative di immagini sessualmente esplicite raffiguranti l’ex partner. Così come è avvenuto nei paesi anglosassoni, anche nel linguaggio mediatico italiano l’espressione ha assunto un significato più ampio divenendo una sorta di catch all phrase indicante tutte le diverse forme di diffusione di tali contenuti, a prescindere dalla finalità. Si tratta di una condotta particolarmente pregiudizievole per chi la subisce, in quanto le immagini o i video più intimi della vittima diventano virali diffondendosi in maniera incontrollabile su internet, per rimanere alla mercé di milioni di persone, senza che vi sia un’effettiva possibilità di rimuoverle. Infatti, quando un contenuto finisce in rete è tecnicamente impossibile cancellarlo, potendo soltanto rendere più difficile agli occhi dei meno esperti trovarlo online tramite i classici motori di ricerca. La diffusione di immagini pornografiche non consensuale si colloca nella più ampia categoria dei c.d. hate crimes e denota una certa contiguità a livello criminologico con il cyberstalking, tanto che la Corte di Cassazione, nel 2010, (Cass. Pen., Sez. VI, Sent. numero 32404, 16.07.2010) ha sostenuto che la condotta consistente nella diffusione di immagini è astrattamente idonea ad integrare il delitto di stalking. Ed infatti, sino allo scorso anno, a causa del vuoto normativo presente nell’ordinamento, tale forma di violenza veniva inquadrata, seppur con difficoltà, all’interno della fattispecie prevista dall’art. 612-bis c.p.Il legislatore italiano, prestando attenzione alle nuove e frequenti forme di criminalità, ha sentito l’esigenza nel 2019 - seppur in ritardo rispetto ad altri legislatori europei - di rafforzare la tutela penale dei fenomeni di violenza domestica e di genere, approvando la legge 19 Luglio 2019 n. 69, più semplicemente nota come Codice Rosso. La ratio della legge, consistente nella modifica del codice penale e di procedura penale, è quella di tutelare in modo severo, ma soprattutto in tempi rapidi, le vittime (da qui l’espressione “codice rosso” nota nell’ambito dei trattamenti sanitari e indicante l’estrema urgenza con cui trattare un paziente arrivato in pronto soccorso in condizioni estremamente gravi). È proprio con il Codice Rosso che si è avuta l’introduzione della nuova fattispecie prevista dall’art. 612-ter c.p., rubricata “Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti”.2 - Cosa prevede l’art. 612-ter c.p.?La norma in questione punisce, precisamente con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 5.000 a euro 15.000, chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito destinati a rimanere privati (ovvero senza il consenso delle persone rappresentate). Tale fattispecie presenta una disciplina complessa, articolata in due differenti ipotesi, accomunate dal medesimo trattamento sanzionatorio e disciplinate rispettivamente al comma 1 e al comma 2. Il discrimen fra le due ipotesi delittuose è costituito dalle modalità con cui il soggetto agente è entrato in possesso delle immagini, poi dallo stesso divulgate: al primo comma è prescritto il comportamento di chi ha contribuito alla realizzazione o ha comunque sottratto alla vittima il materiale sessualmente esplicito (il c.d. distributore originario); al secondo comma, invece, è descritta la condotta di chi ha ricevuto o acquisito il materiale in altro modo, ad esempio dalla vittima stessa o da persona vicina a quest’ultima, in occasione di un rapporto confidenziale o sentimentale. Con riferimento al secondo comma – id est il comportamento del c.d. distributore secondario – ai fini dell’integrazione dell’elemento soggettivo del reato - a differenza dell’ipotesi prevista dal primo comma, integrata con il solo dolo generico - è necessaria la sussistenza del dolo specifico, vale a dire la volontà di arrecare un danno alla persona rappresentata. La previsione del dolo specifico, tuttavia, ha fatto sorgere qualche dubbio in ragione della difficoltà probatoria di dimostrare la volontà di recare nocumento. Infatti, il disposto normativo del secondo comma, non sembrerebbe in linea con la volontà del legislatore di tutelare in maniera efficace la vittima, dal momento che la carenza dell’elemento soggettivo richiesto escluderebbe la punibilità della condotta.3 - Le circostanze aggravanti e la procedibilitàIl comma 3 dell’art. 612-ter c.p. prevede un aggravamento di pena nei casi in cui ad agire sia un soggetto c.d. qualificato, cioè il coniuge (anche separato o divorziato) o una persona che è, o è stata, legata da relazione affettiva alla persona offesa, ovvero, nel caso in cui i fatti siano commessi mediante l’utilizzo di strumenti informatici o telematici (c.d. aggravante social). Secondo il comma 4, invece, la pena è aumentata da un terzo alla metà se vittima della condotta è una persona in condizione di inferiorità fisica o psichica o una donna in stato di gravidanza (stato che deve esistere al momento della diffusione dei contenuti e non al momento della loro realizzazione).Ai sensi del quinto comma, il delitto è punito a querela della persona offesa. Sulla falsariga di quanto disposto dall’art. 612-bis c.p. , il termine per la proposizione della querela è di sei mesi e la remissione della querela può essere soltanto processuale. Si procede invece d'ufficio in due circostanze: nei casi di cui al quarto comma (le due aggravanti speciali in cui la vittima è “persona in condizione di inferiorità fisica o psichica” o “donna in stato di gravidanza”). La ratio è quella di prestare maggiore tutela alla persona offesa particolarmente debole;quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d'ufficio.4 - La questione del consensoI contenuti diffusi, oggetto della condotta punita ex art. 612-ter c.p., possono essere ottenuti senza il consenso della vittima o con il consenso della stessa, nell’ambito di un rapporto confidenziale, sentimentale o comunque privato. In questo secondo caso, in particolare, il Revenge Porn può costituire una delle potenziali conseguenze negative di una forma più ampia di comunicazione nota come Sexting.Il Sexting è un neologismo utilizzato per indicare l’invio di messaggi, immagini o video sessualmente espliciti attraverso mezzi informatici. La non consensualità costituisce il nodo cruciale del problema, in quanto, l’intervento penale si giustifica proprio in virtù dell’esposizione non autorizzata di un corpo in circostanze di massima intimità. Spesso, infatti, sorge l’equivoco per il quale concedersi a una ripresa o uno scatto intimo, per la fruizione limitata alla coppia, possa poi giustificarne la successiva pubblicazione o, quantomeno, accettarne in modo tacito l’eventualità, cadendo nel c.d. victim blaming, ovvero quando la vittima viene colpevolizzata per le azioni del reo.Lo sforzo profuso dal legislatore nel prevedere questa nuova fattispecie di reato è sicuramente apprezzabile, tuttavia, la strada da percorrere è ancora lunga. Per quanto qui di interesse, nei primi mesi del 2020 ha destato particolare attenzione la piattaforma di messaggistica istantanea Telegram. Sulla piattaforma, infatti, si celano numerosi gruppi all’interno dei quali viene scambiato materiale di pornografia non consensuale e pedopornografia. Le numerose segnalazioni, provenienti anche da personaggi del mondo dello spettacolo e della politica, hanno dato vita ad un enorme indagine, ma la situazione continua ad essere complessa. Infatti, quando Telegram provvede alla chiusura di un gruppo, perché usato per diffondere contenuti pornografici, ne nasce immediatamente uno nuovo, di riserva. Se a febbraio 2020 i gruppi dediti alla condivisione in Italia di materiale di pornografia non consensuale erano “appena” 17, con poco più di un milione di utenti, soltanto tre mesi dopo, a maggio, quei numeri erano addirittura quasi raddoppiati (29 gruppi). Alla fine del 2020 i gruppi erano circa 90, per un totale di 6 milioni di utenti attivi.5 - A chi posso rivolgermi se scopro di essere vittima di Revenge Porn?La prima cosa da fare è denunciare immediatamente il fatto alle autorità competenti al fine di intervenire prontamente, così da frenare la diffusione del contenuto in maniera tempestiva. A tal fine, è possibile segnalare l’accaduto direttamente al Garante della privacy, rivolgersi ai Carabinieri per sporgere querela, o, ancor meglio, alla Polizia Postale e delle Telecomunicazioni. Vi è inoltre la possibilità di rivolgersi ad associazioni senza scopo di lucro, come Permesso Negato (https://www.permessonegato.it/) o Odiare ti costa (https://www.odiareticosta.it/), nate proprio per supportare chi subisce violenze ed odio sul web. Il servizio è disponibile 24h su 24h e offre alla vittima il supporto di personale specializzato, in grado di indicare la migliore strada da intraprendere per denunciare l’accaduto.Editor: dott.ssa Silvia Biondi
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Egregio Avvocato
1 apr. 2021 • tempo di lettura 5 minuti
Ogni reato che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale obbliga il suo autore a risarcire il danno in favore della vittima. Ciò significa che un’unica condotta costituente reato presenta una duplice illiceità, penale e civile, che, può essere valutata unitariamente dal giudice penale: a questo scopo la persona danneggiata dal reato può costituirsi parte civile nel processo penale e ivi ottenere il risarcimento del danno, senza instaurare un separato giudizio civile.Che cos’è la costituzione di parte civile?Chi può costituirsi parte civile? Distinzione fra persona offesa e danneggiato Oggetto della richiesta: danno patrimoniale e danno non patrimonialeAlternative alla costituzione di parte civile1 - Che cos’è la costituzione di parte civile?La persona che abbia subito un danno patrimoniale o non patrimoniale in conseguenza di un reato ha diritto al risarcimento, ai sensi dell’art. 185 c.p. In particolare, il c.d. “danneggiato dal reato” è titolare di un’azione civilistica volta a conseguire, oltre all’accertamento della responsabilità penale dell’imputato per il fatto commesso, la condanna di costui al risarcimento del danno. Questa azione può essere fatta valere, alternativamente, davanti al giudice civile in un autonomo procedimento, oppure, dopo che l’azione penale sia stata esercitata dal pubblico ministero, davanti al giudice penale. In questo secondo caso, il danneggiato esercita l’azione civile costituendosi parte civile nel processo penale. L’azione risarcitoria viene esercitata mediante l’atto di costituzione di parte civile, ai sensi dell’art. 76 c.p.p. Tale atto consiste in una dichiarazione scritta che deve contenere le generalità del soggetto che si costituisce, le generalità dell’imputato nei cui confronti l’azione viene esercitata, le ragioni che giustificano la domanda (la causa petendi) nonché l’indicazione del difensore, che dovrà sottoscrivere l’atto e al quale dovrà essere conferita la procura ad litem (cioè la procura finalizzata alla rappresentanza processuale). La parte civile, infatti, sta in giudizio non personalmente, ma a mezzo del difensore, al quale, oltre alla procura ad litem può essere conferita la procura speciale, che comporta la piena rappresentanza del danneggiato nella titolarità del diritto. Solo se il danneggiato rilascia la procura speciale al suo difensore lo autorizza ad esercitare o disporre del diritto, anche in sua assenza.La costituzione di parte civile può essere presentata prima dell’udienza nella cancelleria del giudice procedente e, in questo caso, deve essere notificata alle altre parti; oppure può essere presentata durante l’udienza all’ausiliario del giudice, entro il momento in cui il giudice accerta la regolare costituzione delle parti, prima dell’apertura del dibattimento (artt. 79 e 484 c.p.p.). Dopo tale termine, la dichiarazione di costituzione di parte civile è inammissibile.Una volta ricevuta la dichiarazione di costituzione di parte civile, il giudice procedente ne valuta i presupposti sostanziali e i requisiti formali e, se ne ravvisa la mancanza, dispone, anche d’ufficio, l’esclusione della parte civile.2 - Chi può costituirsi parte civile? Distinzione fra “persona offesa” e “danneggiato” Il soggetto cui spetta il diritto di costituirsi parte civile è il “danneggiato dal reato”. Nella maggior parte dei casi la medesima persona riveste sia la qualifica di persona danneggiata dal reato sia la qualifica di “persona offesa dal reato”: con la prima espressione ci si riferisce al titolare del diritto al risarcimento del danno, mentre con la seconda locuzione si definisce il titolare dell’interesse giuridico protetto.La distinzione è particolarmente rilevante perché la persona offesa, in quanto tale, non può avanzare pretese risarcitorie che sono, invece, di esclusiva spettanza del danneggiato. A ben vedere, sono rari i casi nei quali un individuo ha solo una delle due qualifiche. Si pensi ad una rapina, nel corso della quale venga danneggiata un’auto parcheggiata nelle vicinanze: il proprietario dell’auto è il danneggiato, mentre la persona aggredita è insieme offesa e danneggiata. Se la persona danneggiata è un minore degli anni 18, la costituzione di parte civile è ammessa ma viene esercitata a mezzo dell'esercente la responsabilità genitoriale; non è mai ammissibile, invece, quando il minore sia l’imputato.Inoltre, è consolidato l’orientamento della Corte di Cassazione secondo cui può costituirsi parte civile, ai sensi dell’art. 74 c.p.p., qualsiasi soggetto al quale il reato abbia cagionato un danno: in conseguenza di ciò, “i prossimi congiunti possono legittimamente agire per il risarcimento dei danni anche solo non patrimoniali sofferti per la morte del loro familiare, indipendentemente dalla pregressa esistenza o meno di un rapporto di convivenza” (Cass. Pen., Sez. V, sent. n. 50497/2018). Sulla base del disposto di cui all’art. 307 co. 4 c.p., nella nozione di “prossimi congiunti” sono ricompresi gli ascendenti, discendenti, coniuge, parte di un’unione civile fra persone dello stesso sesso, fratelli, sorelle, affini nello stesso grado, zii e nipoti. Secondo gli orientamenti più recenti, inoltre, anche il convivente more uxorio ha diritto al risarcimento del danno morale e patrimoniale in seguito all'uccisione del proprio partner, anche in presenza di un rapporto di breve durata ma caratterizzato da serietà e stabilità (Cass. Pen., sez. III, n. 13654/2014).3 - Oggetto della richiesta: danno patrimoniale e danno non patrimonialeAi sensi dell’art. 185 c.p., il danno risarcibile a favore del danneggiato dal reato può manifestarsi nelle forme del danno patrimoniale e del danno non patrimoniale.Il danno patrimoniale consiste, ai sensi dell’art. 2056 c.c., nella privazione o diminuzione del patrimonio, nelle forme del “danno emergente” e del “lucro cessante”. Si tratta, rispettivamente, della perdita economica (es. le spese sostenute per curare le ferite) e del mancato guadagno (es. la procurata incapacità di lavorare, e quindi di guadagnare, a causa delle lesioni). Questo tipo di danno viene quantificato “per equivalente pecuniario”: l’obiettivo è ripristinare la situazione economica e patrimoniale che era preesistente e che il danneggiato avrebbe potuto proseguire, se non fosse stato commesso il reato.Il danno non patrimoniale consiste, ai sensi dell’art. 2059 c.c., nelle sofferenze fisiche e psichiche patite a causa del reato. Non può essere quantificato “per equivalente”, poiché non è possibile ripristinare la situazione anteriore al reato ma viene calcolato con modalità di tipo “satisfattivo”: il giudice, in via equitativa, determina una cifra di denaro che possa dare una soddisfazione tale da compensare le sofferenze patite.4 - Alternative alla costituzione di parte civileNel processo penale, ai sensi dell’art. 538 c.p.p., l’accoglimento della domanda risarcitoria è subordinata alla condanna dell’imputato: se quest’ultimo viene assolto, la costituita parte civile non ha diritto al risarcimento.In alternativa, il danneggiato può esercitare l’azione di danno davanti al giudice civile. In questo caso, se l’azione è esercitata in modo tempestivo, l’azione civile può svilupparsi senza subire sospensioni, parallelamente allo svolgersi del processo penale. Inoltre, una eventuale assoluzione dell’imputato nel processo penale non vincola il giudice civile né gli impedisce, qualora lo ritenga opportuno, di condannare l’imputato-convenuto al risarcimento del danno, ove siano raccolte le prove della responsabilità civile di quest’ultimo. Editor: dott.ssa Elena Pullano
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Egregio Avvocato
1 set. 2023 • tempo di lettura 4 minuti
I termini "classic mass murderer" e "family mass murderer" fanno riferimento a due categorie distinte di omicidi di massa, ognuna delle quali ha caratteristiche specifiche:Classic Mass Murderer (Classico Assassino di Massa): Questo termine si riferisce a individui che compiono omicidi di massa in modo relativamente simile a come sono stati perpetrati in passato da altri autori di omicidi di massa noti. Questi assassini di massa seguono spesso schemi o modelli riconoscibili di comportamento, come l'attacco deliberato a un gruppo di persone in un luogo pubblico o in un contesto specifico, l'uso di armi letali e la volontà di causare un alto numero di vittime. Gli esempi di assassini di massa classici includono spesso attacchi a scuole, luoghi di lavoro o luoghi pubblici affollati.Family Mass Murderer (Assassino di Massa in Famiglia): Questo termine si riferisce a individui che compiono omicidi di massa all'interno del contesto familiare. In genere, questi assassini uccidono più membri della loro stessa famiglia in un singolo evento omicida. Questi casi possono includere omicidi di coniugi, figli, genitori o altri parenti stretti. Le motivazioni dietro gli omicidi di massa in famiglia possono variare, ma spesso coinvolgono dispute familiari, conflitti interpersonali o problemi psicologici.Entrambe queste categorie rappresentano forme gravi di violenza criminale, ma sono distinte in base al contesto e alle circostanze in cui gli omicidi di massa si verificano. È importante sottolineare che queste terminologie non sono necessariamente riconosciute ufficialmente o utilizzate nei sistemi giuridici, ma sono spesso usate per descrivere specifici modelli di comportamento criminale nell'ambito della ricerca criminologica o dell'analisi di casi di omicidi di massa.Le motivazioni che spingono "classic mass murderers" (assassini di massa classici) e "family mass murderers" (assassini di massa in famiglia) a compiere omicidi di massa possono variare ampiamente da caso a caso e spesso sono complesse. Tuttavia, alcune motivazioni comuni possono includere:Classic Mass Murderers (Assassini di Massa Classici):Vendetta o rabbia estrema: Alcuni assassini di massa sono motivati da un forte senso di rabbia o vendetta nei confronti di un gruppo di persone, spesso a seguito di reali o presunti torti subiti.Problemi mentali o psicologici: Molti assassini di massa soffrono di disturbi mentali o psicologici gravi che possono influenzare il loro comportamento. Questi disturbi possono includere la schizofrenia, la depressione grave o altri disturbi del pensiero e dell'umore.Desiderio di notorietà o fama: Alcuni assassini di massa cercano di ottenere notorietà o fama attraverso gli omicidi di massa, spesso attraverso la copertura mediatica che segue tali eventi.Disperazione o senso di impotenza: Alcuni individui possono essere spinti a commettere omicidi di massa a causa di un senso di disperazione o di impotenza nella loro vita, con l'omicidio che rappresenta una forma estrema di sfogo.Family Mass Murderers (Assassini di Massa in Famiglia):Dispute familiari: Molte volte, gli assassini di massa in famiglia compiono omicidi a seguito di dispute interne alla famiglia, come problemi finanziari, divorzi, conflitti ereditari o problemi relazionali.Problemi psicologici o emotivi: Alcuni assassini di massa in famiglia possono soffrire di problemi mentali o emotivi che influenzano le loro azioni, portandoli a compiere omicidi all'interno della famiglia.Vendetta o gelosia: In alcuni casi, gli assassini di massa in famiglia possono essere spinti da un desiderio di vendetta o gelosia nei confronti dei membri della famiglia.Sconvolgimento delle dinamiche familiari: Cambiamenti significativi all'interno della famiglia, come divorzi o separazioni, possono portare a tensioni e conflitti che sfociano in omicidi di massa.Va notato che ciascun caso è unico e può avere una combinazione di motivazioni complesse. Inoltre, molte volte queste persone non condividono le loro motivazioni o sono difficili da comprendere, il che rende il compito di prevenire gli omicidi di massa particolarmente complesso. La prevenzione richiede un attento monitoraggio e intervento da parte delle autorità e dei professionisti della salute mentale, oltre a una maggiore sensibilizzazione e prevenzione nella società.Prof. Dr. Giovanni Moscagiuro Studio delle Professioni e Scienze forensi e Criminologia dell'Intelligence ed Investigativa Editori e Giornalisti europei in ambito investigativo Diritto Penale , Amministrativo , Tributario , Civile Pubblica Amministrazione , Esperto in Cybercrime , Social Cyber Security , Stalking e Cyberstalking, Bullismo e Cyberbullismo, Cybercrime, Social Crime, Donne vittime di violenza, Criminologia Forense, dell'Intelligence e dell'Investigazione, Diritto Militare, Docente di Diritto Penale e Scienze Forensi, Patrocinatore Stragiudiziale, Mediatore delle liti, Giudice delle Conciliazioni iscritto all'albo del Ministero di Grazia e Giustizia, Editori e Giornalisti European news Agencyemail: studiopenaleassociatovittimein@gmail.com
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