Egregio Avvocato
Pubblicato il 7 gen. 2021 · tempo di lettura 5 minuti
L’art. 572 cp non descrive compiutamente cosa si intende per “maltrattamenti” e si limita ad indicare una sanzione per “chiunque maltratta”.
Nonostante la poca chiarezza normativa, è pacifico che i maltrattamenti possono consistere:
L’evento tipico del reato di maltrattamenti, infatti, è dato dallo stato di situazione continuativa di sofferenza fisica o morale per il soggetto passivo, come conseguenza degli atti di maltrattamento.
Sebbene la norma in esame utilizzi il termine chiunque, si evidenzia che il reato può configurarsi solo se il soggetto agente è legato alla vittima da rapporti familiari o, in ogni caso, si trovi in una delle situazioni di affidamento previste dalla norma (cd. reato proprio).
Il reato di maltrattamenti, infatti, può aversi solo se la vittima è:
Solo nel 2012 (con la legge n. 172 del 2012), le persone comunque conviventi sono state inserite tra le possibili vittime del reato in esame, in quanto originariamente si richiedeva la sussistenza del vincolo matrimoniale. Si è voluto, infatti, estendere l’area della punibilità, cercando di tutelare ogni consorzio di persone tra le quali – per le consuetudini di vita – siano sorti rapporti di assistenza e solidarietà per un apprezzabile periodo di tempo, potendosi consumare il delitto anche tra persone legate soltanto da un rapporto di fatto.
A conferma di tale estensione di tutela, recentemente, è stato ammesso il reato di maltrattamenti anche tra coniugi separati o tra genitori non più conviventi, restando integri, anche in tal caso, i doveri di rispetto reciproco, di assistenza morale e materiale e di solidarietà che nascono dal rapporto coniugale o dal rapporto di filiazione.
La condotta, per essere ritenuta penalmente rilevante, deve essere connotata da abitualità, ovvero da comportamenti che acquistano rilevanza penale solo perché ripetuti nel tempo; i singoli fatti non costituiscono il reato di maltrattamenti e potrebbero essere o penalmente irrilevanti o costituire un reato diverso e a sé stante (es. lesioni).
Nel 2019, il legislatore ha innalzato le sanzioni previste dalla fattispecie di reato, prevedendo un minimo di pena detentiva di 3 anni e un massimo di 7 anni (prima della riforma, invece, la sanzione irrogabile dal giudice spaziava dai 2 ai 6 anni).
Sono previste anche delle circostanze che portano ad un inasprimento della pena:
Nel caso in cui un soggetto ritenga di essere vittima di maltrattamenti, la prima cosa da fare è quella di darne immediatamente avviso alle Forze dell’Ordine, così che le stesse possano intervenire ed evitare che si reiterino ulteriori condotte di maltrattamenti.
Si evidenzia, tuttavia, che il reato in esame è procedibile d’ufficio, consentendo quindi l’avvio del processo penale a prescindere dalla querela della persona offesa. Invero, se le Forze dell’Ordine o l’Autorità Giudiziaria vengono a conoscenza della sussistenza del reato di maltrattamenti in altro modo e non mediante la denuncia della vittima, comunque il soggetto agente potrà e dovrà essere punito.
Peraltro, al fine di garantire una tutela ancor più efficace, è stata prevista un’accelerazione dei tempi processuali: la persona offesa vittima di maltrattamenti deve essere sentita dal Pubblico Ministero entro 3 giorni dalla comunicazione della notizia di reato.
Ad esito dei 3 giorni, il Pubblico Ministero può decidere di applicare una misura di prevenzione nei confronti dell’indiziato.
Il numero verde esiste, ed è il 1522, istituito presso il Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri al fine di prestare assistenza alle vittime di violenza.
È attivo 24h su 24h, anche in forma online (www.1522.eu), e consente di mettersi immediatamente in contatto con operatori specializzati, in grado di indicare alla persona in cerca di aiuto o sostegno il modo migliore di agire.
Si evidenzia, inoltre, che alla luce dell’allarmante aumento di casi di violenza verificatisi durante la convivenza forzata a causa della pandemia da Covid-19, il Ministero dell’Interno ha previsto un ulteriore modo di contattare il numero verde e chiedere aiuto, mediante un messaggio criptato di segnalazione di possibili maltrattamenti in corso, così da rendere più agevole ed immediato il sostegno per le vittime: è sufficiente, infatti, che queste si rechino in farmacia e chiedano una “mascherina di tipo 1522”; in tal modo verrà attivato il servizio di segnalazione e sostegno.
Editor: dott.ssa Claudia Cunsolo
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Egregio Avvocato
27 set. 2023 • tempo di lettura 4 minuti
Il termine "Wokefisher" è un neologismo che combina due parole: "woke" e "catfisher". Per comprenderlo meglio, è utile comprendere il significato di entrambi questi termini:Woke: "Woke" è un termine slang che deriva dall'inglese afroamericano e che è stato adottato in modo più ampio per descrivere una persona che è socialmente consapevole e attenta alle questioni di giustizia sociale, in particolare legate a questioni come il razzismo, il sessismo, l'omofobia e altre forme di discriminazione. Una persona "woke" è generalmente vista come qualcuno che è impegnato nell'attivismo e nella promozione dell'uguaglianza e della diversità.Catfisher: "Catfish" è un termine usato per descrivere una persona che crea un falso profilo online, spesso con foto e informazioni inventate, per ingannare o trarre in inganno gli altri. Questo termine deriva da un documentario e da una serie televisiva chiamati "Catfish" che esplorano le storie di persone che si sono fatte ingannare da individui che hanno creato identità fittizie online.Quando si parla di "Wokefisher", si fa riferimento a una persona che finge di essere "woke" o socialmente consapevole, ma lo fa in modo disonesto o ipocrita.In altre parole, un "Wokefisher" è qualcuno che adotta una posizione apparentemente progressista o attivista per attirare o manipolare gli altri, ma in realtà non è autentico o impegnato nelle questioni di giustizia sociale.Il termine "Wokefisher" è stato coniato per mettere in evidenza l'ipocrisia di coloro che cercano di apparire socialmente consapevoli o progressisti per guadagnare l'approvazione o l'attenzione degli altri, senza avere un vero impegno verso le questioni di giustizia sociale. Questo termine è spesso utilizzato per criticare le persone che sembrano abbracciare le idee progressiste solo superficialmente o per vantarsi delle loro convinzioni senza un reale coinvolgimento attivo in cause sociali.Il suo comportamento e' sicuramente moralmente discutibile e assolutamente manipolatorio.Di seguito solo alcune delle azioni che un "Wokefisher" potrebbe compiere:Fingere convinzioni sociali per attirare qualcuno: Un "Wokefisher" potrebbe mentire sulle sue convinzioni sociali o politiche per attirare qualcuno in una relazione o amicizia. Ad esempio, potrebbe sostenere di condividere le stesse opinioni politiche o di essere attivamente coinvolto in cause di giustizia sociale solo per guadagnare l'interesse o la simpatia degli altri.Strumentalizzare cause sociali: Un "Wokefisher" potrebbe strumentalizzare cause di giustizia sociale o lotte per i diritti come parte di una strategia per ottenere benefici personali, come guadagnare popolarità, ottenere vantaggi professionali o finanziari, o evitare la critica.Ipercritica o fingerpointing: Potrebbe essere incline a criticare o giudicare gli altri per non essere abbastanza "woke" o consapevoli, mentre lui stesso non vive secondo i valori che proclama. Questo comportamento può essere considerato ipocrita e divisivo.Diffondere disinformazione: Un "Wokefisher" potrebbe diffondere disinformazione o informazioni distorte su questioni di giustizia sociale per promuovere una narrativa che gli conviene, anche se queste informazioni non sono accurate.Tuttavia, il comportamento di un "Wokefisher" può avere conseguenze sociali, come la perdita di fiducia e il danneggiamento delle relazioni personali o professionali e puo' commettere reati o violazioni legali a seconda delle azioni specifiche che compie per fingere o manipolare gli altri.Ecco alcune possibili azioni che un "Wokefisher" potrebbe intraprendere e che potrebbero comportare conseguenze legali:Frode: Se il "Wokefisher" utilizza il suo finto impegno sociale o politico per ottenere denaro, benefici o vantaggi in modo fraudolento, potrebbe essere accusato di frode.Diffamazione: Se diffonde informazioni false o diffamatorie sulle persone o sulle organizzazioni nelle sue simulazioni o manipolazioni, potrebbe essere soggetto a denunce di diffamazione o calunnia, a seconda delle leggi locali.Violazione dei diritti d'autore: Se utilizza materiale protetto da copyright senza autorizzazione per promuovere una falsa immagine di attivismo, potrebbe essere accusato di violazione dei diritti d'autore.Violazione della privacy: Se il "Wokefisher" invade la privacy degli altri raccogliendo informazioni personali o diffondendo informazioni sensibili in modo non autorizzato, potrebbe violare le leggi sulla privacy.Incitamento all'odio: Se il comportamento del "Wokefisher" include la promozione dell'odio, della discriminazione o della violenza nei confronti di determinati gruppi o individui, potrebbe violare leggi antidiscriminazione o essere accusato di incitamento all'odio.È importante notare che le conseguenze legali dipenderanno dalle leggi specifiche del paese o dello stato in cui si verificano le azioni del "Wokefisher" e dalle circostanze specifiche di ciascun caso. In ogni caso, è responsabilità delle autorità legali determinare se un comportamento costituisce un reato e intraprendere le azioni legali appropriate.Prof. Dr. Giovanni MoscagiuroStudio delle Professioni e Scienze forensi e Criminologia dell'Intelligence ed Investigativa Editori e Giornalisti europei in ambito investigativo Diritto Penale , Amministrativo , Tributario , Civile Pubblica Amministrazione , Esperto in Cybercrime , Social Cyber Security , Stalking e Cyberstalking, Bullismo e Cyberbullismo, Cybercrime, Social Crime, Donne vittime di violenza, Criminologia Forense, dell'Intelligence e dell'Investigazione, Diritto Militare, Docente di Diritto Penale e Scienze Forensi, Patrocinatore Stragiudiziale, Mediatore delle liti, Giudice delle Conciliazioni iscritto all'albo del Ministero di Grazia e Giustizia, Editori e Giornalisti European news Agencyemail: studiopenaleassociatovittimein@gmail.com
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3 mag. 2021 • tempo di lettura 7 minuti
Un istituto che trova ampia applicazione nell’ordinamento italiano e che pone conseguenti problemi applicativi è quello della recidiva. L’art. 99 del codice penale prevede la disciplina di tale istituto, sul quale – anche di recente – si è espressa più volte la Corte di Cassazione a Sezioni Unite. Vediamo insieme gli aspetti più importanti.Campo di applicazione e natura giuridica della recidivaI diversi tipi di recidivaI cd. effetti secondari della recidiva1 - Campo di applicazione e natura giuridica della recidivaL’art. 99 c.p. dispone che chi, dopo essere stato condannato per un delitto non colposo, ne commette un altro, può essere sottoposto ad un aumento di un terzo della pena da infliggere per il nuovo delitto non colposo. Da ciò si desume che al fine di poter applicare la recidiva devono sussistere almeno due presupposti:a. il soggetto deve avere commesso un delitto non colposo, per il quale sia stato già condannato con sentenza passata in giudicato; e questo delitto si chiamerà reato fondante;b. dopo il passaggio in giudicato della prima condanna, il soggetto deve aver commesso un nuovo delitto non colposo, che si chiamerà reato espressivo. È a questo secondo reato che verrà applicata la recidiva. Tuttavia, è ormai pacifico in giurisprudenza che non sono sufficienti questi due soli presupposti, e che mai vi potrà essere un automatismo nell’applicazione della recidiva – non può essere conseguenza automatica della mera sussistenza di questi due presupposti. Il giudice, invero, dovrà sempre condurre una valutazione in concreto sul fatto di applicare o meno la recidiva, tale per cui si ritiene che debba sussistere un terzo presupposto:c. il reato espressivo deve palesare una maggiore consapevolezza e una maggiore pericolosità sociale dell’autore del reato.Se non vi è questa valutazione, o se comunque il reato espressivo non ha nulla a che vedere con il reato fondante, allora il giudice non potrà applicare la recidiva: in quanto la ricaduta non è sintomatica di una maggiore colpevolezza e non denota il soggetto autore del reato come maggiormente pericoloso.In merito alla natura giuridica della recidiva, si evidenzia che ad oggi è stata del tutto superata la tesi tradizionale secondo cui veniva classificata quale status. Tale tesi poneva l’accento sul fatto che la legge sembrava riferirsi sempre al recidivo quale soggetto, parlando sempre del “recidivo”.Oggi la tesi prevalente ritiene che si tratti di una circostanza aggravante del reato, e ciò si desume non solo dall’art. 99 c.p., ma anche da altre disposizioni come l’art. 69 c.p., che disciplina il bilanciamento tra circostanze, e l’art. 70 c.p., che distingue tra circostanze oggettive e soggettive, ed entrambe le disposizioni citano la recidiva.Da tale classificazione come circostanza aggravante derivano importanti conseguenze, tra le più importanti vi è quella per la quale anche la recidiva deve soggiacere alle normali regole in materia di concorso di circostanze (artt. 63 e ss. c.p.), come sottolineato anche dalle pronunce della Corte di Cassazione a Sezioni Unite. Una prima sentenza del 2011 ha evidenziato che l’art. 63 co. 4 c.p. sul concorso tra circostanze ad effetto speciale si applica anche alla recidiva; e una seconda sentenza del 2021 ha ribadito che la recidiva è una circostanza, ed è circostanza ad effetto speciale (tranne che nel comma 1), quindi deve trovare applicazione anche la disciplina ex art. 649 bis c.p. sul regime di procedibilità d’ufficio.2 - I diversi tipi di recidivaL’art. 99 c.p. prevede diversi tipi di recidiva.Il primo comma prevede la recidiva semplice, che sussiste nel momento in cui un soggetto commette un qualsiasi delitto non colposo dopo essere stato giudicato con sentenza passata in giudicato per un precedente delitto non colposo. In questo caso è previsto l’aumento di un terzo della pena.Il secondo comma prevede la recidiva monoaggravata, che ricorre o quando il reato espressivo (quindi il secondo delitto) è della stessa indole del primo; o è stato commesso entro 5 anni dalla precedente condanna; o, ancora, è stato commesso nel corso dell’esecuzione della pena. A fronte di tale circostanza aggravante il legislatore prevede un aumento della pena fino alla metà.Il terzo comma disciplina la recidiva pluriaggravata, la quale prevede che ricorrano due o più circostanze del secondo comma; quindi ad es. il reato espressivo sia contemporaneamente della stessa indole del primo e sia stato commesso nei cinque anni dalla precedente condanna. L’aumento di pena in questo caso è della metà.Il quarto comma prevede la recidiva reiterata, che sussiste nel momento in cui un soggetto già dichiarato recidivo commetta un altro delitto non colposo. In questo caso l’aumento di pena è della metà nel caso di cui al primo comma, e di due terzi negli altri casi.Infine, il comma 5 prevedeva originariamente una forma di recidiva obbligatoria. Oggi tale ipotesi di obbligatorietà è stata espunta dall’ordinamento, perché considerata incostituzionale dalla Corte in quanto del tutto irragionevole: si applicava a prescindere dal reato fondante, e teneva conto del solo reato espressivo, il quale doveva rientrare in un catalogo del tutto eterogeneo ex art. 407 c.p.p. Nella disciplina attuale l’unica obbligatorietà concerne il quantum di pena, e non anche la valutazione sull’an, quindi la valutazione in merito alla sussistenza o meno della recidiva.3 - Gli effetti secondari della recidivaLa legge penale ricollega delle conseguenze pregiudizievoli ulteriori al soggetto che è stato dichiarato recidivo. Infatti, non si ha il solo effetto diretto dell’incremento di pena, ma si hanno anche ulteriori effetti, tra cui, una maggiore difficoltà nel riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche (art. 62 bis co. 2 bis c.p.); un limite minimo di aumento della pena nel caso di reato continuato commesso dal recidivo reiterato (art. 81 co. 4 c.p.); un allungamento del termine di prescrizione (art. 157 c.p.); una maggiore limitazione in caso di amnistia e indulto (artt. 151 co. 5 e 171 co. 3 c.p.).La Corte di Cassazione a Sezioni Unite si è occupata più volte del campo di applicazione di tali effetti pregiudizievoli ulteriori. È pacifico che se il giudice non ha proprio applicato la recidiva, perché ha ritenuto che tra reato fondante e reato espressivo non vi era alcun collegamento, allora non si verificherà né l’effetto principale dell’aumento di pena, né gli effetti secondari.Se, invece, ha applicato la recidiva perché sussiste un collegamento tra i due reati, allora si produrranno anche gli effetti secondari, oltre all’aumento di pena. Il caso problematico è quello del concorso eterogeneo di circostanze, cioè il caso in cui il fatto di reato è connotato sia da circostanze attenuanti sia da circostanze aggravanti, quali la recidiva. Il giudice dovrà operare il giudizio di bilanciamento previsto dall’art. 69 c.p. alla luce del quale la circostanza aggravante della recidiva potrà essere considerata prevalente, equivalente o subvalente rispetto alle attenuanti.Nel caso in cui risulti prevalente la recidiva, è pacifico che si produrranno gli effetti secondari oltre all’effetto principale dell’aumento di pena.Se, invece, la recidiva risulta equivalente rispetto alle attenuanti, una prima tesi ha sostenuto che vi sia stata una elisione della stessa, a fronte della quale è scomparsa, e non essendoci stato un aumento di pena non possono esservi neanche gli effetti secondari. Le Sezioni Unite nel 2010, diversamente, hanno sostenuto che, anche se apparentemente scomparsa, in realtà il giudice ha ritenuto esistente la recidiva, perché altrimenti non avrebbe potuto fare il giudizio di bilanciamento. Quindi anche in caso di equivalenza la recidiva è da ritenersi applicata, e quindi trovano applicazione anche le norme sugli effetti secondari.Infine, nel caso in cui la recidiva venga ritenuta subvalente rispetto alle attenuanti, sono state sostenute due tesi. Una prima tesi, accolta dalle Sezioni Unite nel 2021, ritiene che anche in questo caso la recidiva è da ritenersi applicata e di conseguenza anche tutti gli effetti secondari troveranno applicazione. Una seconda tesi, accolta da altre Sezioni Unite nel 2018, ritiene invece che solo nel caso in cui sia espressamente previsto dalla legge anche in caso di subvalenza dovranno applicarsi gli effetti secondari, come avviene per la disciplina della prescrizione (artt. 157 e 161 c.p. che ritengono comunque esistente la recidiva, anche se subvalente), e non invece negli altri casi in cui non esiste una norma specifica.Editor: dott.ssa Claudia Cunsolo
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8 dic. 2022 • tempo di lettura 1 minuti
Con la L. 23.3.2016, n. 41 sono state introdotte nel codice penale le autonome fattispecie di omicidio stradale e di lesioni personali stradali.È utile rammentare che, in tema di omicidio causato dalla circolazione di veicoli a motore, la novella legislativa ha elevato a fattispecie autonoma di reato una condotta che prima rientrava nel novero dell’omicidio colposo, punita solo come circostanza aggravante ad effetto speciale.Il legislatore, con l’intervento riformatore poc’anzi citato, ha inteso inasprire il trattamento sanzionatorio dell’omicidio (e delle lesioni personali) causate in violazione delle norme in materia di circolazione stradale.Concentrando l’attenzione sul delitto di omicidio stradale, l’art. 589-bis del codice penale espressamente dispone che “chiunque cagioni per colpa la morte di una persona con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale è punito con la reclusione da due a sette anni”.Quindi, per configurare il delitto in argomento, è sufficiente violare la c.d. regola cautelare dell’obbligo di attenzione, gravante sul conducente in base al disposto normativo di cui all’art. 191 del codice della strada.Chiariti, seppur in maniera sommaria, i tratti somatici dell’omicidio stradale, è opportuno risolvere il seguente interrogativo: il conducente che investe e uccide il pedone, percorrendo una strada poco illuminata, commette il delitto di omicidio stradale? La risposta è certamente affermativa.Come poc’anzi anticipato, la regola cautelare dell’obbligo di attenzione impone al conducente di veicolo deve porre in essere tutti gli opportuni accorgimenti, atti a prevenire un rischio d’investimento.Infatti, il conducente che si mette alla guida di un veicolo deve ispezionare la strada percorsa e, altresì, di prevedere tutte le situazioni di pericolo, comprese anche quelle relative ad atti imprudenti e le trasgressioni di tutti gli altri utenti della strada.Applicando questo principio, all’automobilista che investe e uccide, in strada poco illuminata un pedone, risponderà comunque di omicidio stradale.
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21 giu. 2021 • tempo di lettura 6 minuti
La rapida diffusione della tendenza di condurre le pratiche commerciali sul web ha portato la giurisprudenza di legittimità a interrogarsi sulla configurabilità della circostanza aggravante della c.d. minorata difesa in relazione alle ipotesi delittuose di truffa perpetrate online. Cerchiamo dunque di fornire la definizione di ‘minorata difesa’ e di analizzare i presupposti che ad avviso della Corte di cassazione devono sussistere ai fini del riconoscimento dell’aggravante in caso di truffa online.Quali sono gli elementi costitutivi del reato di truffa?Cosa si intende per ‘minorata difesa’?Truffa online e minorata difesa: qual è la posizione della giurisprudenza?Quali sono le conseguenze derivanti dalla sussistenza della circostanza aggravante?1 - Quali sono gli elementi costitutivi del reato di truffa?Abbiamo già avuto l’occasione di affrontare l’argomento del reato di truffa perpetrato attraverso l’utilizzo di mezzi telematici (se sei interessato clicca qui per saperne di più). Per quanto qui di interesse – vale a dire l’applicabilità della circostanza aggravante della c.d. minorata difesa – sarà dunque sufficiente menzionare concisamente gli elementi costitutivi della disposizione incriminatrice.Nel codice penale, la c.d. truffa online – nella quale una persona potrebbe incorrere navigando in internet – non trova collocazione in una fattispecie delittuosa ad hoc, ma può essere sussunta nel ‘tradizionale’ reato di truffa di cui all’art. 640 c.p. La peculiarità della truffa online risiede semplicemente nel luogo di verificazione della condotta illecita e, quindi, delle relative modalità di manifestazione del reato: gli artifizi e i raggiri, difatti, si concretizzano attraverso l’utilizzo del web.La regolamentazione predisposta dal legislatore penale, tuttavia, è sempre la medesima. L’art. 640 c.p., infatti, prevede in ogni caso la pena detentiva da sei mesi a tre anni e una multa compresa tra 51 e 1.032 euro per colui il quale, attraverso artifizi o raggiri, induca taluno in errore provocando per sé o per altri un profitto ingiusto e, specularmente, arrecando un danno all’altra persona. Affinché il reato possa dirsi consumato, quindi, è necessario che la condotta truffaldina (gli artifizi o i raggiri) induca dapprima in errore la vittima, la quale è così portata ad avere un comportamento che altrimenti non avrebbe tenuto; da ciò deve derivarne, da un lato, un danno, che secondo l’opinione prevalente deve essere di natura patrimoniale, e dall’altro un profitto ingiusto, che invece può essere inteso anche in un senso non strettamente economico.2 - La circostanza aggravante della c.d. minorata difesaCon l’appellativo ‘minorata difesa’ si fa riferimento a una circostanza aggravante comune e ad efficacia comune – ossia che determina un aumento sino a un terzo della pena che dovrebbe essere inflitta per il reato ‘semplice’ – prevista dall’art. 61, co. 1 n. 5 c.p., che più specificatamente prescrive l’aggravamento di pena per “aver approfittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all’età, tali da ostacolare la pubblica o la privata difesa”. La circostanza aggravante, in altre parole, concerne una serie di situazioni legate a fattori ambientali o personali di cui il soggetto attivo del reato approfitta consapevolmente al fine di trarre in inganno la vittima. Così, ad esempio, il caso in cui si compia una truffa a danno di una persona che versi in uno stato fisico o psichico di particolare debolezza o, come vedremo nel paragrafo successivo, qualora il reato venga commesso approfittando delle peculiari condizioni di operatività del web. Come previsto espressamente dalla disposizione, inoltre, non è necessario che la difesa della persona offesa sia completamente impedita, ma è sufficiente che venga soltanto ostacolata.3 - Truffa online e minorata difesa: la posizione della giurisprudenza di legittimitàLa configurabilità della circostanza aggravante della minorata difesa con riferimento all’ipotesi delittuosa della truffa perpetrata online è stata più volte oggetto di attenzione da parte della giurisprudenza di legittimità. Specialmente negli ultimi anni – in ragione della repentina diffusione delle pratiche commerciali sul web – la Corte di cassazione ha affrontato la questione in svariate occasioni. I giudici di legittimità, nel riconoscere la potenziale sussistenza della circostanza aggravante in caso di truffa online, hanno identificato quale elemento dirimente ai fini dell’integrazione della minorata difesa la costante distanza intercorrente tra venditore e acquirente, i quali, operando tramite internet, si trovano in luoghi fisici diversi e, con ogni probabilità, molto distanti tra loro [così Cass. pen., sez. II, ud. 14 ottobre 2020 (dep. 13 gennaio 2021), n. 1085, nonché più di recente Cass. pen., sez. II, 14 gennaio 2021 (dep. 31 marzo 2021), n. 12427]. La distanza nella contrattazione, a ben vedere, pone il venditore in una posizione di vantaggio rispetto al soggetto acquirente, il quale, non avendo la possibilità di visionare personalmente il prodotto, per concludere la trattativa deve fidarsi delle immagini che gli vengono messe a disposizione. Inoltre, il venditore, utilizzando gli strumenti informatici e telematici, può schermare la propria identità, nonché sottrarsi con facilità alle conseguenze della propria condotta truffaldina. È di tutta evidenza, dunque, come le peculiarità della contrattazione telematica – determinando un ostacolo nella privata difesa – consentono il riconoscimento della circostanza aggravante di cui all’art. 61, co. 1 n. 5 c.p.Con riferimento alla condizione di ricorrenza dell’aggravante in questione – vale a dire la distanza nella contrattazione condotta tra acquirente e venditore – è tuttavia necessaria una specificazione. La distanza, come detto, deve essere costante, ossia deve permanere per tutta la durata delle trattative. Qualora ciò non avvenga – come sostenuto dalla Corte di cassazione – non potrebbe dirsi integrata l’aggravante della minorata difesa [ancora Cass. pen., sent. n. 1085/2020, che non ha riconosciuto la sussistenza dell’aggravante]. È l’ipotesi, ad esempio, della contrattazione iniziata su piattaforme telematiche e poi proseguita anche attraverso incontri di persona. In un caso del genere, evidentemente, verrebbe meno la posizione di svantaggio in cui versa il potenziale acquirente all’inizio della trattativa condotta online. 4 - Quali sono le conseguenze derivanti dalla sussistenza della circostanza aggravante?Dal riconoscimento della circostanza aggravante di cui si discute discendono una serie di conseguenze particolarmente significative in punto di contestazione del reato di truffa. Quella più evidente, anzitutto, riguarda il trattamento sanzionatorio del reato, la cui cornice edittale, ai sensi dell’art. 640, co. 2 c.p. si innalza nella pena detentiva sino a un massimo di cinque anni e nella multa sino a 1.549 euro. In virtù dell’art. 131-bis, co. 2 c.p., che menziona espressamente la circostanza della minorata difesa, il fatto di reato non può essere considerato di particolare tenuità e, pertanto, non è incluso nell’ambito applicativo della causa di esclusione della punibilità.Da un punto di vista processuale, poi, il reato diviene procedibile d’ufficio e non più in funzione della querela presentata dalla persona offesa. Ai sensi dell’art. 278 c.p.p., inoltre, differentemente dalla regola generale si tiene conto della minorata difesa nella determinazione della pena ai fini dell’applicazione delle misure cautelari. Da ciò ne discende, sempre con riferimento alla truffa, che innalzandosi la pena detentiva massima sino a cinque anni potrà essere disposta, laddove ricorrano i gravi indizi di colpevolezza e le esigenze cautelari, la custodia cautelare in carcere [questione peraltro oggetto della citata sentenza della Corte di cassazione, si veda supra Cass. pen., sent. n. 1085/2020].Editor: Avv. Davide Attanasio
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