Il patto di non concorrenza: di cosa si tratta?

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Pubblicato il 17 mag. 2021 · tempo di lettura 5 minuti

Il patto di non concorrenza: di cosa si tratta? | Egregio Avvocato
Il patto di non concorrenza previsto dall’art. 2125 c.c. accompagna spesso contratti di lavoro subordinato. Vediamo di cosa si tratta e quali sono i requisiti previsti ai fini della sua validità


  1. Il patto di non concorrenza: di cosa si tratta? Ricostruzione dell’istituto
  2. Il corrispettivo: l’ultima pronuncia della Cassazione 


1 - Il patto di non concorrenza: di che si tratta? Ricostruzione dell’istituto


L’art. 2125 c.c. definisce patto di non concorrenza il patto “con il quale si limita lo svolgimento dell'attività del prestatore di lavoro, per il tempo successivo alla cessazione del contratto”. 


Ai fini della sua validità, la disposizione in questione prevede che il predetto patto – accessorio al contratto di lavoro subordinato – sia redatto in forma scritta e contenga un corrispettivo a favore del prestatore di lavoro. Per quanto riguarda, invece, il vincolo previsto nel patto di non svolgere attività concorrenziale una volta cessato il rapporto di lavoro, è necessario che esso sia contenuto entro specificati i limiti di oggetto, di luogo e di tempo. Si tratta, dunque, di un contratto a titolo oneroso ed a prestazioni corrispettive, giacché, come anticipato, il prestatore di lavoro si impegna dopo la cessazione del rapporto di lavoro, a fronte di un corrispettivo, a non prestare attività concorrenziale in favore di altri soggetti. 


Sul piano degli interessi meritevoli di tutela regolati dal patto, secondo consolidata giurisprudenza, le clausole di non concorrenza sono finalizzate da un lato, a salvaguardare l’imprenditore da qualsiasi esportazione presso imprese concorrenti del patrimonio immateriale dell’azienda, trattandosi di un bene che assicura la sua resistenza sul mercato ed il suo successo rispetto alle aziende concorrenti, e dall’altro, a tutelare il lavoratore subordinato, affinché le dette clausole non comprimano eccessivamente le possibilità di poter indirizzare la propria attività lavorativa verso altre occupazioni, ritenute più convenienti (da ultimo, Cass. Sez. lav. n. 9790/2020).


Il patto può essere inserito direttamente nel contratto di lavoro o, in alternativa, essere contenuto in una lettera separata, ciò non rileva ai fini della validità del patto medesimo, essendo richiesto unicamente che la sua redazione avvenga in forma scritta, con la conseguenza che qualsivoglia intesa orale diretta a limitare la futura collocazione del lavoratore sul mercato, è radicalmente nulla per difetto di forma. 


Altro elemento imprescindibile ai fini della validità del patto è il suo oggetto: infatti, nonostante la generale formulazione della norma civilistica, si ritiene pacificamente che il patto di non concorrenza, seppur possa comprendere anche attività non propriamente rientranti nelle mansioni svolte dal dipendente, non debba comunque essere di “ampiezza tale da comprimere la esplicazione concreta della professionalità del lavoratore in limiti che compromettano ogni potenzialità reddituale” (Cass. Sez. lav., sent. 13282/2003). 


L’oggetto, pertanto, può anche essere esteso al di là delle mansioni espletate dal dipendente che ha sottoscritto il patto, ma il sacrificio richiesto a quest’ultimo non può essere tale da impedirgli di immettersi nuovamente sul mercato del lavoro una volta cessato il rapporto lavorativo con il precedente datore. 


Rispetto alle modalità di pagamento l’art. 2125 c.c. non prevede una apposita disciplina, ed infatti, parte della giurisprudenza ritiene che il corrispettivo possa essere corrisposto sia al termine del rapporto di lavoro ma anche in costanza di rapporto. In relazione a tale ultima modalità di pagamento, è stato ritenuto che la stessa non inficia la validità del patto e che il corrispettivo possa anche essere solo determinabile, poiché l’art. 2125 c.c. lascia alle parti ampia autonomia nella determinazione delle modalità di pagamento del corrispettivo, cosicché l’erogazione del corrispettivo potrà essere validamente pattuita sotto forma di percentuale sulla retribuzione o di somma da corrispondersi in costanza di rapporto (Trib. Milano, sent. 21 luglio 2005, in tal senso si è espresso anche il Tribunale di Pescara con la recente sentenza 10 luglio 2020, n. 267). In relazione a tale aspetto, si è tuttavia registrato anche un orientamento contrario secondo cui il pagamento del corrispettivo del patto in costanza di rapporto violerebbe l’art. 2125 c.c., introducendo una “variabile legata alla durata del rapporto stesso”, con conseguente aleatorietà del patto stesso. 


2 - Il corrispettivo: l’ultima pronuncia della Cassazione 


Avuto proprio riguardo al corrispettivo, si è pronunciata di recente la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con la sentenza n. 5540 del 1° marzo 2021. Con tale pronuncia, la Cassazione ha stabilito che la nullità per indeterminatezza o indeterminabilità del corrispettivo (quale vizio del requisito di cui all’art. 1346 c.c.) e la nullità per violazione dell’art. 2125 c.c., laddove il corrispettivo “non è pattuito(ovvero sia simbolico, manifestamente iniquo o sproporzionato), operano su piani giuridicamente distinti ed ognuno di essi richiede una specifica motivazione. 


Pertanto – stabilisce l’ordinanza – “al fine di valutare la validità del patto di non concorrenza, in riferimento al corrispettivo dovuto, si richiede, innanzitutto, che, in quanto elemento distinto dalla retribuzione, lo stesso possieda i requisiti previsti in generale per l'oggetto della prestazione dall'art. 1346 c.c.; se determinato o determinabile, va verificato, ai sensi dell'art. 2125 c.c., che il compenso pattuito non sia meramente simbolico o manifestamente iniquo o sproporzionato, in rapporto al sacrificio richiesto al lavoratore e alla riduzione delle sue capacità di guadagno, indipendentemente dall'utilità che il comportamento richiesto rappresenta per il datore di lavoro e dal suo ipotetico valore di mercato, conseguendo comunque la nullità dell'intero patto alla eventuale sproporzione economica del regolamento negoziale”. In altri termini, la Cassazione ha chiarito che la valutazione circa la congruità del corrispettivo deve essere ricondotta unicamente all’alveolo dell’art. 2125 c.c. non dovendosi, quindi, confondere tale giudizio con la previsione di cui all’art. 1346 c.c. relativa alla determinatezza ovvero determinabilità riferibile al corrispettivo, giacché altrimenti si rischierebbe di dar vita ad una “sovrapposizione indebita che genera incertezza nell’iter logico seguito per il convincimento del giudicante, precludendo un effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento”.


Editor: avv. Francesca Retus

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Riders: lavoratori autonomi o subordinati?

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Ormai è chiaro a tutti chi siano i c.d. riders, quei ciclofattorini con un grande zaino cubico pieno di vivande che scorrazzano in bici per effettuare consegne a domicilio. Ciò che probabilmente è meno chiaro, e su cui si ritiene utile cercare di fare chiarezza in questa sede, è il tipo rapporto di lavoro che di fatto si instaura tra la piattaforma che gestisce il servizio di delivery (e.g. Foodora, Glovo, Uber Eats, per citarne alcune) e i riders che si registrano alla stessa per accedere alle richieste di consegna degli utenti.  Rapporto di lavoro autonomo o subordinato: esiste una risposta?Come si è evoluta la giurisprudenza sul tema?La recente sentenza del Tribunale di PalermoLe tutele: obiettivo raggiunto?1 - Rapporto di lavoro autonomo o subordinato: esiste una risposta?Dal momento che molto dipende da come si atteggia concretamente il rapporto tra piattaforma e riders nei singoli casi di specie, non è possibile identificare una risposta univoca e valida per tutte le circostanze. Tuttavia, dando un’occhiata al quadro giurisprudenziale e normativo che si sta formando in Italia sul tema, è sicuramente riscontrabile una crescente attenzione nei confronti delle esigenze di tutela dei riders. 2 - Come si è evoluta la giurisprudenza sul tema?In un primo momento la giurisprudenza si è mossa nel senso di non ritenere applicabile ai riders la disciplina tipica del rapporto di lavoro subordinato. Secondo il Tribunali di Torino e Milano, il rapporto di lavoro dei riders non solo non può essere riconosciuto come rapporto di lavoro subordinato in senso classico (ex art. 2094 c.c.), ma nemmeno come rapporto di collaborazione prevalentemente personale e continuativa (tipologia di rapporto per il quale il Jobs Act prevede che si applichi la medesima disciplina del rapporto di lavoro subordinato). In concreto tali pronunce hanno ritenuto che la libertà dei riders di decidere se e quando lavorare comprometta a monte il potere organizzativo e direttivo della piattaforma nei loro confronti, rappresentando così un elemento decisivo a favore dell’autonomia del rapporto. Successivamente, tale approccio è stato parzialmente sconfessato, dal momento che alcune pronunce sono arrivate ad affermare che la libertà dei riders di decidere se e quando lavorare sia effettivamente riscontrabile solo nella fase genetica del rapporto mentre, nella fase esecutiva, i riders sarebbero pienamente inseriti nell’organizzazione della piattaforma, che stabilisce in maniera più o meno penetrante le modalità della prestazione. Ciò ha portato i giudici a concludere che, sebbene i riders siano da considerarsi tecnicamente autonomi, date le peculiarità che caratterizzano il concreto atteggiarsi del loro rapporto di lavoro, debbano rientrare nell’ambito applicativo del Jobs Act (in particolare art. 2 del d.lgs. 81/2015), con la conseguente applicabilità della disciplina del rapporto di lavoro subordinato.Quest’ultimo orientamento risultava del resto coerente con l’intervento normativo del 2019 il quale, da un lato, ha espressamente previsto che anche le prestazioni di lavoro organizzate mediante piattaforme digitali rientrano nell’ambito dell’art. 2 del d.lgs. 81/2015 e, dall’altro, ha introdotto specifiche disposizioni volte a regolare e tutelare specificamente la figura dei riders (e.g. in tema di compenso, copertura assicurativa ecc.). 3 - La recente sentenza del Tribunale di PalermoSe il punto di arrivo di cui sopra, di fatto condiviso sia dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione che dal legislatore, sembrava poter chiudere la questione, una recentissima sentenza del Tribunale di Palermo è andata addirittura oltre e, tenuto conto di tutte le circostanze del caso concreto, è arrivata a riconoscere il rider ricorrente non come collaboratore continuativo della piattaforma che presta la propria opera in maniera prevalentemente personale, ma addirittura come lavoratore subordinato ai sensi dell’art. 2094 c.c. 4 - Le tutele: obiettivo raggiunto?Pare quindi potersi affermare che i riders siano riusciti ad ottenere quelle tutele che inizialmente erano loro negate. Infatti, o per il tramite delle modifiche al Jobs Act o per il tramite di un accertamento in concreto che porti a qualificarli in tutto e per tutto come lavoratori dipendenti, agli stessi è stato riconosciuto il diritto a vedersi applicata la disciplina del rapporto di lavoro subordinato.   Editor: dott. Giovanni Fabris 

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L’infortunio in itinere tra tutele e limiti

9 dic. 2021 tempo di lettura 6 minuti

Con la Legge n. 80 del 1898 fu introdotta, per la prima volta, l’assicurazione sociale per gli infortuni sul lavoro, cui fece seguito l’assicurazione per le malattie professionali e il Testo Unico delle disposizioni in materia di assicurazione obbligatoria.Questa complessa disciplina è intervenuta a regolare il c.d. rischio professionale, vale a dire il rischio correlato all’attività lavorativa.  Con l’avvento dell’assicurazione sociale si è, sostanzialmente, trasferita la titolarità di questo rischio – prevista dall’art. 2087 c.c. in capo al datore di lavoro – da quest’ultimo all’istituto previdenziale che, in caso di lesioni incorse al lavoratore, lo indennizza.Nel corso del tempo, tuttavia, la tutela al lavoratore si è sempre più estesa, non limitandosi solamente agli infortuni occorsi sul luogo di lavoro, ma prendendo in esame anche i c.d. infortuni in itinere.L’infortunio sul lavoro: cosa s’intende per infortunio in itinere?Il “normale percorso” e le sue variazioni. Le condizioni di operatività della tutelaInfortunio in itinere e le differenti modalità di percorrenzaGli adempimenti da compiere I limiti alla tutela1 - L’infortunio sul lavoro: cosa s’intende per infortunio in itinere?L’infortunio sul lavoro può essere definito come il danneggiamento all’integrità psico – fisica di un individuo che si verifica a causa di un fattore esterno durante il normale svolgimento dell’attività lavorativa. Pertanto, almeno inizialmente, la tutela previdenziale veniva riconosciuta solamente a coloro i quali, considerate mansioni svolte e posizioni ricoperte, fossero esposti a rischio durante il proprio orario lavorativo. Con le modifiche intervenute al Testo Unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, tuttavia, ha assunto rilevanza anche il c.d. infortunio in itinere.Ma cosa s’intende per infortunio in itinere? In base alla lettera dell’art. 12 del Decreto Legislativo n. 38/2000 è possibile definirlo una tipologia di infortunio che si verifica lungo il normale percorso che il lavoratore compie spostandosi: a) dal luogo di abitazione a quello di lavoro e viceversa; b) da un primo luogo di lavoro ad un altro laddove il lavoratore sia impegnato in differenti rapporti lavorativi; oppure c) dal luogo di lavoro a quello di consumazione abituale dei pasti e viceversa.2 - Il “normale percorso” e le sue variazioni. Le condizioni di operatività della tutelaSi parla, quindi, di “normale percorso” che il lavoratore compie. Ma cosa si deve intendere con questa “formula”?Sul punto la dottrina ha interpretato la norma considerando “normale percorso” quello più breve e diretto, vale a dire quello che normalmente o, quanto meno, abitualmente il lavoratore compie ma, anche, quello non abituale ma che sia giustificato da concrete situazioni che impongano di percorrerlo in una data occasione.Ne consegue che, almeno teoricamente, tutte le eventuali variazioni effettuate nei tragitti abituali, se non sono la diretta conseguenza di necessità improrogabili, non farebbero rientrare un eventuale infortunio tra quelle da annoverare come avvenuto in itinere.Le variazioni per far permanere la tutela al lavoratore in caso di infortunio devono essere effettuate per adempiere a un ordine impartito dal datore di lavoro oppure scaturire da cause di forza maggiore o esigenze improrogabili o per adempiere a obblighi penalmente rilevanti.Le condizioni per l’operatività della tutela sono essenzialmente tre. Difatti, affinché operi la tutela assicurativa, lo spostamento, oltre che esser compiuto lungo il “normale percorso” deve avere fini lavorativi e deve sussistere un nesso causale tra il tragitto e l’attività lavorativa.3 - Infortunio in itinere e le differenti modalità di percorrenzaSe è vero che le condizioni per l’operatività della tutela sono tre, è altrettanto vero che, ai fini dell’indennizzabilità dell’infortunio in itinere, si debba prendere in considerazione anche la modalità di spostamento impiegata dal lavoratore per coprire il normale percorso.Innanzitutto, basandosi sui chiarimenti forniti dalla stessa INAIL in vari circolari si può tranquillamente affermare che, in presenza delle tre condizioni già citate, laddove il tragitto sia percorso con le “ordinarie modalità” di spostamento, opera senza dubbio la copertura assicurativa.In altri termini, saranno indennizzati tutti quegli infortuni avvenuti spostandosi a piedi o a bordo di mezzi pubblici. Sembrerebbe, quindi, che non ci sia invece spazio per indennizzare gli infortuni occorsi a bordo di mezzi propri. Tuttavia, la normativa stabilisce che l’assicurazione infortuni sul lavoro opera anche nel caso si utilizzi un mezzo di trasporto privato, purché necessitato. Stando all’interpretazione giurisprudenziale, il requisito della necessità va valutato attraverso differenti fattori e, in via ragionevole, si considera giustificato l’uso del mezzo privato quando: a) il mezzo è fornito dal datore di lavoro per esigenze lavorative, b) non esistono mezzi pubblici di trasporto che collegano il luogo di abitazione con il luogo di lavoro o non vi è coincidenza di orari, c) il risparmio di tempo, utilizzando il mezzo privato, sia pari o superiore a un’ora per tragitto.Cosa accade, però, se il mezzo utilizzato non è a motore? Considerata la sempre maggior diffusione nell’utilizzo della bicicletta, l’INAIL aveva inizialmente interpretato estensivamente l’art. 12 del Decreto Legislativo 38/2000, stabilendo che l’infortunio occorso a bordo di un velocipede, percorrendo una strada aperta al traffico di veicoli a motore, dovesse essere indennizzato solo in presenza delle condizioni necessarie per rendere necessitato l’uso della bicicletta, mentre si potesse prescindere dalle condizioni di necessità qualora l’infortunio si fosse verificato in un tratto di percorso protetto come ad esempio una pista ciclabile.Sul punto sono intervenuti anche il legislatore e la giurisprudenza, espressamente stabilendo che l’utilizzo della bicicletta come mezzo privato per il raggiungimento del posto di lavoro debba sempre considerarsi “necessitato”.4 - Gli adempimenti da compiere Una volta occorso il sinistro, il lavoratore ha l’obbligo per legge di avvisare o far avvisare il proprio datore di lavoro. Comunicazione che deve essere immediata poiché non ottemperando a tale obbligo si perde il diritto alle prestazioni INAIL per i giorni antecedenti a quello in cui il datore di lavoro ha avuto notizia dell’infortunio.Una volta appresa la notizia, il datore di lavoro deve inviare, a seconda dei casi, la comunicazione o la denuncia dell’infortunio stesso all’INAIL.In particolare, la comunicazione di infortunio va presentata nell’ipotesi di prognosi e assenza del lavoratore per almeno un giorno successivo a quello dell’evento oppure per assenza prolungata sino a tre giorni. Essa va presentata telematicamente entro 48 ore da quando è stato inviato il certificato medico ed è meramente fini informativi.La denuncia di infortunio, invece, va presentata nel caso in cui vi sia una prognosi che vada oltre i 3 giorni successivi all’evento. In queste ipotesi, il datore di lavoro dovrà inoltrare la denuncia all’INAIL entro 48 ore dal momento della conoscenza dell’infortunio o entro 24 ore per i casi più gravi.5 - I limiti alla tutelaIn linea teorica, in caso di infortunio in itinere accaduto per colpa del lavoratore, gli aspetti soggettivi della condotta – negligenza, imprudenza, imperizia, violazione di norme – non assumono rilevanza ai fini della indennizzabilità, poiché si ritiene che la colpa del lavoratore non interrompa il nesso causale tra il rischio lavorativo e l’infortunio, a meno che non si configurino comportamenti talmente eccessivi da rientrare nel c.d. rischio elettivo.Il rischio elettivo, secondo la Corte di Cassazione, è definibile come una deviazione arbitraria dalle normali modalità lavorative per finalità personali, che comporta rischi diversi da quelli inerenti alle normali modalità di esecuzione della prestazione (Cass. n. 19081/2013).Ne deriva che la tutela assicurativa dell’infortunio in itinere non copre quegli infortuni avvenuti a causa: di deviazioni o soste effettuate per esigenze personali, di deviazioni effettuate per scelta del lavoratore, dell’abuso di sostanze alcoliche, stupefacenti, psicotrope, della violazione del Codice della Strada.Editor: avv. Marco Mezzi

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Permessi per familiari portatori di handicap e congedo straordinario

17 gen. 2022 tempo di lettura 4 minuti

I lavoratori dipendenti possono usufruire di speciali permessi retribuiti o congedi per la cura e l’assistenza dei loro familiari portatori di handicap in presenza di determinate condizioni.La tutela riguarda i familiari di coloro i quali presentano una minorazione fisica, psichica o sensoriale stabilizzata o progressiva grave, in grado da ridurre l’autonomia personale e rendendo necessaria un’assistenza permanente continuativa e globale.L’accertamento dello stato di gravità della minorazione viene effettuato da un’apposita commissione Asl.Chi può beneficiare e quali sono le condizioni per beneficiare dei permessi retribuiti?È possibile il cumulo dei permessi?Da chi viene riconosciuta l’indennità per le persone beneficiarie dei permessi?Cos’è il congedo straordinario?1 – Chi può beneficiare dei permessi retribuiti?Ai sensi dell’articolo 33 della L. 104/92, i genitori naturali, adottivi ed affidatari e determinati familiari (partenti ed affini entro il 2° grado) di portatori di handicap, nel momento in cui sono lavoratori dipendenti, possono beneficiare dei c.d. permessi retribuiti. Generalmente, tali permessi vengono riconosciuti a condizione che la persona da assistere non sia ricoverata a tempo pieno presso strutture ospedaliere o simili pubbliche o private che assicurino assistenza sanitaria continuativa.Tuttavia, però, i permessi vengono concessi anche in caso di ricovero a tempo pieno: a) del disabile quando sono i sanitari stessi a certificare il bisogno di assistenza da parte di un genitore o di un familiare; b) del disabile in stato vegetativo persistente.I permessi vengono concessi quando il disabile deve recarsi al di fuori della struttura che lo ospita per effettuare visite specialistiche e/o terapie certificate. In questo caso si interrompe il tempo pieno del ricovero e c’è l’affidamento del disabile all’assistenza del familiare.Sarà onere del lavoratore, per ogni mese in cui fruisce dei permessi, di produrre sia la documentazione che dimostri l’avvenuto accesso presso la struttura esterna specializzata, sia la dichiarazione della struttura ospitante che attesti che la persona disabile è stata affidata al familiare per tutta la durata della sua assenza dal lavoro. 2 - È possibile il cumulo dei permessi?Generalmente il permesso può essere utilizzato per l’assistenza di una sola persona disabile, tuttavia il lavoratore ha diritto ad assistere più persone disabili e quindi di cumulare i relativi permessi a condizione che si tratti del coniuge o affine entro il primo grado.Il cumolo è consentito quando la presenza del lavoratore è disgiuntamente necessaria per l’assistenza di ciascun disabile; è pertanto escluso quando altre persone possono fornire l’assistenza o quando lo stesso lavoratore può, per la durata della disabilità, sopperire congiuntamente alle necessità assistenziali nel corso dello stesso periodo. L’assistenza si considera disgiunta quando la prestazione nei confronti di due o più soggetti disabili può essere assicurata solo con modalità e in tempi diversi.Il richiedente deve presentare tante domande quanti sono i soggetti per i quali chiede i permessi a cui vanno allegate le idonee certificazioni relative alla particolare natura della disabilità.  3 - Da chi viene riconosciuta l’indennità per le persone beneficiarie dei permessi?Il trattamento economico a favore delle persone beneficiarie è riconosciuto dall’Inps mediante il meccanismo dell’anticipazione del datore di lavoro, che provvede poi al recupero mediante il flusso UniEmens.Solo nei confronti di alcune particolari categorie di lavoratori, come ad esempio gli operatori agricoli, lavoratori stagionali, domestici, ed in particolari ipotesi di mancata anticipazione da parte del datore di lavoro l’Inps provvede al pagamento diretto. Per poter usufruire dei permessi è necessario presentare domanda all’Inps in modalità esclusivamente telematica allegando i documenti che provano la disabilità.I familiari decadono dal diritto di fruire dei permessi se il datore di lavoro o l’Inps accertano l’insussistenza o il venir meno delle condizioni richieste per il godimento degli stessi.4 - Cos’è il congedo straordinario?L’articolo 42 del D. Lgs 151/2001 prevede il diritto per i lavoratori dipendenti familiari di persona gravemente disabile di usufruire del c.d. congedo straordinario.Il congedo spetta a condizione che la persona assistita non sia ricoverata a tempo pieno presso istituti specializzati secondo il seguente ordine di priorità: 1) coniuge o parte dell’unione civile; 2) genitori (naturali, adottivi o affidatari); 3) figli; 4) fratelli o sorelle, 5) parenti o affini entro il 3° grado.Se i due genitori sono lavoratori dipendenti il congedo spetta in via alternativa alla madre o al padre, se fruito alternativamente da entrambi i genitori, essi non possono contemporaneamente fruire di altri benefici previsti dalla legge per i genitori dei soggetti disabili.Il congedo ha la durata massima complessiva di due anni nell’arco dell’intera vita lavorativa del richiedente per ciascuna persona portatrice di handicap.I periodi di congedo straordinario rientrano nel limite massimo globale spettante a ciascun lavoratore per gravi e documentati motivi familiari.Per i genitori affidatari il congedo non può durare oltre la fine del periodo di affidamento.Durante il periodo di congedo il richiedente ha diritto a un’indennità economica a carico dell’Inps che viene anticipata dal datore di lavoro e recuperata mediante il flusso UniEmens, fatti salvi i casi di pagamento diretto da parte dell’Inps.L’indennità è pari alla retribuzione percepita nell’ultimo mese di lavoro che precede il congedo e durante il congedo il lavoratore ha diritto a richiedere l’accredito della contribuzione figurativa.

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Pensioni e indennità ai familiari superstiti

27 set. 2021 tempo di lettura 4 minuti

In caso di morte del pensionato o del lavoratore in possesso dei requisiti di legge per il diritto alla pensione di vecchiaia o di invalidità, i familiari superstiti hanno diritto ad un trattamento pensionistico erogato dall’Inps.È necessario distinguere tra la pensione di reversibilità, che viene liquidata in seguito alla morte del pensionato, e la pensione indiretta, che viene liquidata in seguito alla morte dell’assicurato non titolare di pensione. La domanda di pensione ai superstiti può essere inoltrata all’Inps esclusivamente in via telematica attraverso il sito web, il telefono (tramite il contact center integrato) e i patronati. In presenza di quali presupposti ed a chi spetta la pensione? ed in quale misura?Chi sono i beneficiari della pensione?In che misura spetta la pensione?Da quando decorre il diritto alla pensione?Quando cessa il diritto alla pensione?1 – Chi sono i beneficiari della pensione?Presupposto per ottenere il trattamento pensionistico è la vivenza a carico del lavoratore al momento del decesso di determinati soggetti.Hanno diritto alla pensione i seguenti soggetti individuati dall’art. 13 RDL 636/39: a) coniuge o parte di un’unione civile; b) figli di età non superiore a 18 anni o di qualunque età se inabili al lavoro e a carico del genitore deceduto; c) in manca dei soggetti individuati al punto a), i genitori; d) in mancanza anche dei genitori, fratelli celibi e sorelle nubili. Quanto al coniuge superstite del pensionato o del lavoratore assicurato deceduto ha diritto automaticamente alla reversibilità del trattamento pensionistico.Tale diritto è riconosciuto anche al componente superstite dell’unione civile.Di regola, il coniuge separato, anche con addebito, ha diritto alla pensione di reversibilità. Secondo un primo orientamento occorre che il coniuge superstite sia beneficiario dell’assegno di mantenimento o dell’assegno alimentare a carico del coniuge deceduto; secondo un’altra tesi il diritto alla pensione sussiste a prescindere della previsione in sede di separazione dell’obbligo di versare l’assegno di mantenimento o alimentare.La pensione ai superstiti spetta al coniuge divorziato in presenza di tutte le seguenti condizioni:a) perfezionamento in capo al coniuge deceduto dei requisiti di assicurazione e contribuzione stabiliti dalla legge; b) inizio del rapporto assicurativo dell’assicurato o del pensionato precedente alla data della sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio; c) titolarità dell’assegno di divorzio in forza di una sentenza del Tribunale; d) assenza di un successivo rapporto di coniugio.Se l’ex coniuge deceduto si è rispostato, la pensione spetta sia al coniuge divorziato sia al coniuge superstite, a condizione che entrambi ne abbiano i requisiti. La ripartizione in quote dell’unico trattamento viene effettuata dal Tribunale, tenendo conto della durata dei rispettivi matrimoni. Con riferimento ai figli, anche adottivi e minori affidati, hanno diritto alla pensione se al momento della morte del genitore sono in possesso di uno dei seguenti requisiti: a) età fino ai 18 anni; b) età fino ai 21 anni, se studenti di scuola media o professionale, oppure fino a 26, se frequentanti corsi universitari, purchè siano a carico del genitore al momento del decesso e non prestino attività lavorativa retribuita; c) inabilità al lavoro e vivenza a carico del genitore al momento della morte.2 – In che misura spetta la pensione?La misura della pensione ai superstiti è stabilita in base alle aliquote indicate in una determinata tabella individuata dalla legge. La pensione ai superstiti non può, in ogni caso, essere complessivamente inferiore al trattamento minimo o superiore all’intero ammontare della pensione della quale era – o sarebbe stato – titolare il deceduto.La misura della pensione varia se il coniuge divorziato concorre con i seguenti soggetti: a) figli superstiti; b) genitori, fratelli o sorelle del pensionato o dell’assicurato: il coniuge divorziato esclude sia gli uni sia gli altri dal diritto alla pensione.3 - Da quando decorre il diritto alla pensione?La pensione decorre dal primo giorno del mese successivo a quello del decesso del pensionato o dell’assicurato, indipendentemente dalla data di presentazione della relativa domanda.La decorrenza è stabilita dal primo giorno del mese successivo a quello del decesso del dante causa.Alla presentazione della domanda si applica la prescrizione ordinaria prevista dall’art. 2946 c.c., ciò vuol dire che trascorsi 10 anni dal decesso i ratei di pensione non riscossi cadono in prescrizione e non possono essere più domandati.4 - Quando cessa il diritto alla pensione?Il diritto alla pensione cessa: a) per il coniuge se contrae nuovo matrimonio; b) per i figli al compimento del 18° anno di età, se studenti in casa di interruzione o conclusione del corso di studi oppure inizio di un’attività lavorativa, se inabili al venir meno dello stato di inabilità; c) per i genitori, se prendono un’altra pensione; d) per i fratelli celibi e le sorelle nubili, qualora contraggono matrimonio. Editor: avv. Elisa Calviello

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