Una vexata quaestio su cui da tempo si interrogano i Giudici di merito e di legittimità attiene al valore probatorio delle foto postate sui social media.

In passato, non pochi tribunali avevano considerato tali foto come un'evidente prova di un legame affettivo, facendo da esso derivare anche la implicita convivenza delle parti, senza necessità di alcun ulteriore elemento probatorio. Certo, va sottolineato come una decisione assunta in un Tribunale è sempre frutto di una valutazione complessiva di tanti fattori diversi, ma non possiamo sottacere come - a nostro modesto parere - se si postano delle foto sui social che ritraggono una persona in atteggiamenti "amorevoli" con un'altro, è lecito supporre e dedurre che tra i due ci sia una relazione, che ben potrebbe essere corroborata anche da una convivenza more uxorio.

La vicenda, tutt'altro che pacifica, appare adesso ricevere uno scossone proprio dalla Suprema Corte (Cassazione civile, sez. I, ordinanza 30 marzo 2023, n. 8988). Ed invero, nella sentenza su richiamata gli Ermellini hanno escluso la rilevanza delle foto su Facebook ai fini della prova della convivenza more uxorio, dichiarando in tal modo legittima la decisione dei Giudici di merito, i quali, secondo il principio del libero convincimento ex artt. 115 e 116 cpc, avevano in precedenza in tal senso deciso. Osservano i Giudici di legittimità come, in effetti gli estratti dai profili social e le foto su Facebook possano essere idonei a dimostrare il legame sentimentale fra l'ex coniuge e il nuovo fidanzato, ma non la convivenza ai fini della revoca dell’assegno divorzile. Tale convincimento può derivare solo tramite ulteriori elementi probatori, ad esempio tramite testimoni, che devono avere i classici carismi di oggettività ed assenza di vincoli nei confronti delle parti in causa, La sentenza appare condivisibile da un punto di vista strettamente giuridico, ma solleva, d'altro canto, interrogativi inquietanti su come, alla fine, diventi sempre più facile nascondere ai Giudici la verità, camuffando "convivenze more uxorio" in innoque amicizie, magari caratterizzate anche da un legame affettivo.

Pertanto, pur condividendo l'iter logico che ha portato gli Ermellini a tale decisione, non possiamo che rimarcare le ripetutamente esposte perplessità, sottolineando come la materia delle separazioni e dei divorzi diventi ogni giorno più complessa e particolare.


Prof. Avv. Domenico Lamanna Di Salvo

Matrimonialista - Divorzista - Curatore Speciale del Minore

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Nullità del matrimonio per vizio psichico (Cass. civ., sez. I, 4 gennaio 2023, n. 149)

31 gen. 2023 tempo di lettura 2 minuti

Apprendiamo con soddisfazione il cambio di rotta della Suprema Corte, che - in extremis - muta orientamento e riconosce implicitamente la superiorità del diritto canonico rispetto a quello nazionale. Come risaputo, in precedenza la delibazione della sentenza canonica di nullità del matrimonio era riconosciuta solo in base al limite temporale dei tre anni (Sezioni unite, sentenza 16379/2014). Era un patetico, ridicolo tentativo di limitare l'ingerenza della Chiesa negli affari civili di una repubblica sempre più laica ed anti - cristiana. Tale tentativo, comunque, ledeva gli stessi principi del diritto nazionale, in quanto de facto impediva il riconoscimento di vizi tra l'altro sottolineati dall'art. 120 c.c. Il diritto canonico (articolo 1095 numero 2) riconosce l'incapacità consensuale «anche quando il nubente (uno degli sposi) manchi gravemente di discrezione di giudizio circa i diritti e i doveri matrimoniali reciproci ... . Il soggetto, pur essendo cosciente del proprio stato e consapevole dell’atto del matrimonio, manca della capacità di valutare praticamente e concretamente gli effetti del matrimonio che sta per celebrare: capacità di ponderare la scelta del matrimonio, di quel matrimonio e di quel partner. Questa incapacità si verifica in caso di gravi forme di nevrosi e psicopatie, a causa di alcolismo e tossicodipendenza. La discrezione di giudizio è una maturità psicologica che ha interferenze con la maturità affettiva». Sempre l’articolo 1095 del Codice ecclesiastico, al n.3, definisce l’incapacità ad adempiere: «l’invalidità del consenso può derivare anche da cause di natura psichica che compromettono la possibilità di assumere ed adempiere agli obblighi essenziali, e quindi vanificano la volontà di contrarre matrimonio». Deve, ovviamente, trattarsi di «di un’incapacità particolarmente rilevante, che si esprime in una grave forma di anomalia. Cause di natura psichica gravi, che possono compromettere un valido consenso sono, ad esempio: l'omosessualità, il transessualismo, il sadismo, il masochismo». Con la decisione in esame, la Cassazione asserisce che è possibile derogare al tetto dei tre anni di convivenza, fissati dalle Sezioni unite. Ed invero, osservano adesso gli Ermellini, l’incapacità a prestare consenso di uno degli sposi al momento del matrimonio, quale causa di invalidità, è prevista anche dall’articolo 120 del Codice civile, secondo il quale «il matrimonio può essere impugnato da quello dei coniugi che, quantunque non interdetto, provi di essere stato incapace di intendere o di volere, per qualunque causa, anche transitoria, al momento della celebrazione del matrimonio». La decisione appare pienamente condivisibile, soprattutto in quanto - così facendo - si evita una dicotomia basata solo su un elemento temporale e dettata da una sempre più marcata laicità di uno stato che ha perso il senso delle proprie origini e che corre a grandi passi verso il baratro.

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Il reato di atti persecutori ex art. 612-bis c.p.: il c.d. stalking

23 dic. 2020 tempo di lettura 4 minuti

Lo stalking è un fenomeno delittuoso che di sovente, in ragione del contesto in cui si manifesta e dei rapporti personali intercorrenti tra autore e vittima, non è oggetto di denuncia alle autorità. Cosa fare per riconoscere questo tipo di reato? E come bisogna comportarsi se si crede di essere vittima di atti persecutori?Cosa prevede il reato di stalking?Quali sono le sanzioni previste dal codice penale?Cosa fare se si è vittima di stalking?Esiste un numero verde al quale potersi rivolgere?1 - Cosa prevede il reato di stalking?Ai sensi dell’art. 612-bis c.p. è punita la persona che ponga in essere, in maniera reiterata, delle condotte di minaccia o molestia tali da provocare in altri, alternativamente: un perdurante o grave stato di ansia o di paura;un timore fondato – quindi non immaginario – per la propria incolumità, per quella di un prossimo congiunto o di una persona a cui si è legati da relazione affettiva;un cambiamento delle proprie abitudini di vita.Può quindi parlarsi di stalking laddove nella situazione concreta si rinvengano degli elementi tali da dimostrare un’apprezzabile destabilizzazione della serenità e dell’equilibrio psicologico della vittima, senza che ciò, però, si traduca in un vero e proprio stato patologico. I comportamenti, per essere ritenuti penalmente rilevanti, devono essere commessi in un arco di tempo tale da consentire la realizzazione di uno dei suddetti eventi del reato. In questo senso, anche soltanto due condotte, idonee a ingenerare nella vittima un grave stato di ansia, potrebbero integrare il reato in questione. Il delitto è procedibile a querela di parte. Ciò significa che per perseguire lo stalker è necessaria, entro 6 mesi dalla conoscenza dei fatti, la querela della persona offesa. Attraverso l’atto di querela, la vittima, rappresentando i fatti alle autorità, manifesta la propria volontà di procedere in sede penale nei confronti del molestatore. La querela non è tuttavia richiesta se il fatto è commesso in danno di minore, di persona disabile o laddove sia connesso ad altro fatto di reato per il quale deve procedersi d’ufficio: in questi casi, l’autorità giudiziaria, una volta appresa la notizia di reato, potrà avviare il procedimento penale pur nell’inerzia della vittima. 2 - Quali sono le sanzioni previste dal codice penale?Nel 2019, il legislatore ha innalzato le sanzioni previste dalla fattispecie di reato, prevedendo un minimo di pena detentiva di 1 anno e un massimo di 6 anni e 6 mesi (prima della riforma, invece, la sanzione irrogabile dal giudice spaziava dai 6 mesi ai 5 anni). 3 - Cosa fare se si è vittima di stalking?Qualora una persona ritenga di essere vittima di stalking, è opportuno che si rivolga immediatamente alle Forze dell’Ordine, così da intervenire nel più breve tempo possibile per porre fine ai comportamenti persecutori. In prima istanza, la vittima può richiedere che l’autore venga ammonito dal Questore. Quest’ultimo, se ritiene di accogliere l’istanza, ammonisce oralmente il soggetto, invitandolo a non reiterare oltre le molestie. La procedura di ammonimento ha natura amministrativa e non penale; la richiesta avanzata dalla vittima, dunque, non determina l’instaurazione di un procedimento penale. In alternativa, la persona offesa può depositare, personalmente o per mezzo di un avvocato, una querela presso le Forze dell’Ordine o la Procura della Repubblica. In tale atto, oltre a manifestare la volontà di perseguire penalmente un’altra persona, la vittima deve fornire quanti più elementi possibili per la ricostruzione dell’intera vicenda. Nel corso del procedimento penale, poi, la persona offesa – al fine di richiedere al giudice il risarcimento del danno derivante da reato – è legittimata ad esercitare l’azione civile attraverso il deposito di un’apposita dichiarazione. All’esito del processo, se il giudice ritiene provato il fatto di reato potrà direttamente liquidare, a titolo risarcitorio, una somma di denaro in favore della vittima o, laddove ritenga che non sia stata raggiunta la prova del danno, rimetterà le parti dinanzi al giudice civile, il quale provvederà alla quantificazione del danno.4 - Esiste un numero verde al quale potersi rivolgere?Si, è il numero 1522, istituito presso il Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri per aiutare le vittime di violenza e stalking. Il servizio – disponibile direttamente anche tramite la chat del sito web (www.1522.eu) – è attivo 24h su 24h e fornisce sostegno a chiunque ritenga di essere vittima di atti persecutori. Chiamando questo numero, la vittima può chiedere aiuto – o anche soltanto un consiglio – a operatori specializzati, che sapranno suggerire alla persona la strada più opportuna da intraprendere per denunciare i fatti.

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Egregio Avvocato

Vaccino anti – covid e contrasto genitoriale sulla somministrazione al figlio minore

28 ott. 2021 tempo di lettura 4 minuti

La vaccinazione anti – Covid è stata estesa anche ai minori di 18 anni, in iva non obbligatoria. La scelta di vaccinare il minorenne viene presa da entrambi i genitori, poiché trattandosi di una questione inerente la salute del minore, non può essere presa autonomamente da quest'ultimo, né da un genitore solo. Tale principio vale per i genitori coniugati, conviventi, separati e divorziati. Nel caso i genitori non ci siano, invece, la scelta ricadrà sul tutore del minore.Si è assistito in questo periodo di emergenza pandemica, a situazioni di contrasto tra genitori e figli per la somministrazione del vaccino a quest’ultimi.La figura del minore viene necessariamente coinvolta nella dinamica familiare in quanto la somministrazione del vaccino incide sulla salute e vita sociale dello stesso.Eventuali contrasti tra i genitori, in merito alla somministrazione dei vaccini (obbligatori e non) ai figli minori, devono essere risolti dal Tribunale, in un'ottica di tutela dell’interesse del minore e della collettività.1 – Il contrasto tra i genitori sulla somministrazione del vaccino al figlio minore2 – Il minore dev’essere ascoltato dal Giudice nel procedimento che lo coinvolge?3 – Qual è il procedimento da istaurare per ottenere il consenso alla vaccinazione anti – covid?1 – Il contrasto tra i genitori sulla somministrazione del vaccino al figlio minoreLa questione della somministrazione del vaccino anti – covid ai minori di 18 anni agita i pensieri di tanti genitori.L’argomento è delicato in quanto alle ragioni scientifiche si aggiungono quelle etiche, in un clima caratterizzato da sospetti, paure, informazioni spesso incontrollate e contraddittorie, dove orientarsi e fidarsi diventa un esercizio abbastanza complesso.I Tribunali di tutta Italia, in questo contesto di emergenza pandemica, sono chiamati a dirimere i contrasti nati tra i genitori sulla somministrazione del vaccino anti–covid ai figli minori. Infatti, si sono registrati numerosi casi in cui uno dei due genitori è contrario alla somministrazione del vaccino e di conseguenza ha negato il necessario consenso.Tale ipotesi si è verificata sia tra genitori separati o divorziati con affido condiviso del figlio minore ma anche tra genitori non separati o divorziati dove è stato necessario l’intervento del Tribunale al fine di autorizzare la somministrazione del vaccino al minore di anni 18. La tesi prevalente, accolta dai Tribunali investiti della questione, ritiene che i programmi vaccinali siano posti a tutela dell’incolumità sanitaria non solo individuale ma anche comunitaria e, per questo, devono essere autorizzati.In particolare, il Tribunale di Milano, a seguito di ricorso ex art. 709 - ter c.p.c, con decreto del 2 settembre 2021, ha autorizzato il padre del minore alla somministrazione del vaccino anti – covid, in autonomia e senza il necessario consenso della madre che invece si era opposta alla vaccinazione della figlia minore.Nel caso in esame, il Tribunale ha stabilito che l’interesse del minore, nelle questioni inerenti la salute, deve essere perseguito anche contro la posizione dei genitori. Per questo motivo, nel procedimento in esame, è stato emesso un provvedimento limitativo della responsabilità genitoriale, nei confronti della madre, ammonendola, ex art. 709 c.p.c, a non ostacolare il percorso vaccinale della figlia.Ed ancora, il Tribunale di Vercelli, con una recentissima decisione, ha autorizzato la somministrazione del vaccino ad una ragazza quasi diciassettenne, prendendo atto del consenso da quest'ultima manifestato a fronte del rifiuto opposto dalla madre. 2 – Il minore dev’essere ascoltato dal Giudice nel procedimento che lo coinvolge?L’audizione del minore rappresenta un adempimento obbligatorio in tutti quei procedimenti in cui il giudice deve decidere in ordine a situazioni di diretto interesse del figlio.In una controversia abbastanza delicata come quella della somministrazione del vaccino anti – covid la volontà del minore dev’essere presa in considerazione dapprima dai genitori in contrasto tra loro e poi dal giudice nell’eventuale giudizio che lo coinvolge.Nel caso sopra citato che ha coinvolto il Tribunale di Vercelli si è proceduto con l’ascolto della minore (quasi diciassettenne), la quale ha espresso la volontà di essere vaccinata per poter partecipare liberamente alle attività scolastiche ed extra scolastiche.Anche il Tribunale di Monza, con decreto del 22 luglio 2021, ha proceduto all’ascolto di un minore di quindici anni, il quale ha espresso la volontà di essere vaccinato per poter partecipare, in modo più spensierato, alle attività scolastiche e sportive stante il diniego del padre al consenso necessario.In entrambi i casi citati, i giudici di merito hanno valorizzato la manifestazione di volontà dei minori, espressa in modo chiaro e sorretta da forti motivazioni di ritorno alla normalità della vita sociale, scolastica e sportiva.  3 – Qual è il procedimento da istaurare per ottenere il consenso alla vaccinazione anti – covid?Nel caso di genitori separati, qualora questi non riescano a risolvere il conflitto in famiglia, la via obbligata è quella del ricorso ex art. 709 ter c.p.c. e sarà competente il giudice della separazione.Nel caso di genitori non separati, invece, la competenza è attribuita al Tribunale per i minorenni che verrà adito mediante ricorso ex articolo 336 c.c.Il giudice, qualora lo ritenga opportuno, può decidere di avvalersi della competenza tecnica di un medico pediatra o di un esperto in materia vaccinale (ad esempio un virologo o un immunologo). In particolare, al consulente sarà chiesto di pronunciarsi sulla opportunità, nel caso specifico, ad effettuare il vaccino.In caso di conflitto tra genitori, separati o meno, sarà comunque necessario quindi che sia l’Autorità Giudiziaria a dirimere la controversia e a sostituirsi nell’esercizio della responsabilità genitoriale.Editor: Avv. Elisa Calviello

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Egregio Avvocato

Il diritto all’assegnazione della casa familiare

29 giu. 2021 tempo di lettura 4 minuti

Uno dei provvedimenti più importanti che deve assumere il Tribunale è quello relativo a quale dei genitori deve essere assegnata l’ex casa familiare nei procedimenti di separazione e divorzio oltre che nei procedimenti in camera di consiglio a tutela dei figli nati fuori del matrimonio.L’assegnazione della casa familiare a uno dei coniugi risponde all’esigenza di far conservare ai figli l’habitat domestico, inteso come il centro degli effetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare, al fine di non far gravare sui figli stessi l’ulteriore trauma dello sradicamento dal luogo in cui si svolgeva la loro esistenza.L’articolo 337 sexies c.c. stabilisce che la casa familiare deve essere assegnata tenendo conto prioritariamente conto dell’interesse dei figli indipendentemente dalle condizioni economiche dei genitori.Oggetto di assegnazione è solo quell’immobile che sia stato centro di aggregazione durante la convivenza comprendente anche i beni mobili, gli arredi, le suppellettili e dell’attrezzatura tesi ad assicurare le esigenze della famiglia.Quali sono i presupposti per l’assegnazione della casa coniugale?Il diritto del coniuge assegnatario è opponibile ai terzi?Se la casa coniugale è in locazione il coniuge assegnatario subentra ex lege nel contratto?Quanto avviene l’estinzione del diritto di godimento della casa coniugale?1 – Quali sono i presupposti per l’assegnazione della casa coniugale?Secondo quanto statuito dal codice civile e dalla legge divorzile il godimento della casa familiare è attribuito tenendo conto esclusivamente dell’interesse dei figli.Il Tribunale prima di provvedere all’assegnazione della casa familiare deve verificare che, da un lato sussistano figli minori o maggiorenni non autonomi, in secondo luogo che il collocamento dei figli avvenga in favore di uno dei genitori al quale andrà assegnata la casa ed infine che la casa di cui si chiede l’assegnazione sia quella familiare cioè quella occupata dai genitori prima del provvedimento giudiziale.L’assegnazione della casa familiare comporterà l’assegnazione del mobilio compreso ed il genitore tenuto ad allontanarsi potrà asportare solo i propri effetti personali. In presenza di figli minori, ciascuno dei genitori è obbligato a comunicare all’altro, entro il termine perentorio di trenta giorni o quello indicato all’interno dell’accordo di separazione/divorzio, l’avvenuto cambio di residenza o di domicilio. L’assegnazione della casa per provvedimento del giudice comporterà che il genitore beneficiario subentri in tutti i diritti e dovere correlati come il pagamento degli oneri condominiali e simili.In sostanza il genitore assegnatario dovrà corrispondere al condominio le spese di gestione ordinaria, nonché dovrà far fronte a tutte le utenze.  Per quanto riguarda gli oneri condominiali straordinari, questi secondo la normativa generale, restano a carico del proprietario. 2 - Il diritto del coniuge assegnatario è opponibile ai terzi?A tutela dell’assegnatario la legge prevede espressamente che il provvedimento di assegnazione è suscettibile di trascrizione nell’apposito registro immobiliare della Conservatoria per renderlo opponibile a eventuali terzi che abbiano acquistato la casa dopo la trascrizione.È possibile opporre l’assegnazione anche a chi intende costituire altri diritti reali sulla casa.Ciò significa che i terzi a cui è nota l’esistenza dell’assegnazione, in quanto trascritta, devono attendere la revoca o la cessazione di tale provvedimento per poter entrare in possesso dell’immobile acquistato.È necessario precisare che se l’assegnazione è disposta sulla base della concorde richiesta dei coniugi in sede di giudizio di separazione, in assenza di figli minori o maggiorenni non autosufficienti, non è opponibile né ai terzi e né al coniuge non assegnatario che vuole proporre domanda di divisione del bene di cui è proprietario.L’opponibilità è infatti collegata al presupposto che il coniuge assegnatario sia anche affidatario dei figli. 3 - Se la casa coniugale è in locazione il coniuge assegnatario subentra ex lege nel contratto?Nel momento in cui la casa coniugale è in locazione e il contratto è intestato al genitore estromesso oppure ad entrambi i coniugi, in caso di separazione giudiziale (e nel caso di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio) subentra solo il coniuge a cui è assegnata la casa familiare. Per legge il coniuge assegnatario subentra nel contratto di locazione e diventa naturalmente obbligato al pagamento dei canoni e delle relative spese di conduzione.Tale effetto legale si produce anche in capo al convivente di fatto affidatario della prole.4 - Quanto avviene l’estinzione del diritto di godimento della casa coniugale?Le legge indica determinati presupposti, in presenza dei quali, le parti possono chiedere al giudice di revocare l’assegnazione della casa familiare: a) nel momento in cui i figli non convivono più o diventano economicamente indipendenti; b) il coniuge assegnatario non abita più nella casa familiare o cessa di abitarvi stabilmente; c) il coniuge assegnatario inizia una convivenza more uxorio nella casa assegnata o contrae nuovo matrimonio; c) uno dei coniugi cambio la propria residenza o domicilio. Nel momento in cui si verificano uno dei predetti fatti l’assegnazione non viene meno di diritto ma sarà il coniuge interessato chiedere la revoca al Tribunale, il quale dovrà decidere in base alla valutazione nell’interesse primario dei figli minori.Il coniuge interessato alla revoca dell’assegnazione della casa coniugale dovrà presentare ricorso per la modifica delle condizioni di separazione o di divorzio ed avrà l’onore di provare il fatto posto alla base della richiesta di revoca. La prova sarà abbastanza rigorosa nel momento in cui c’è la presenza di figli affidati o conviventi con l’assegnatario, in ogni caso il giudice deve verificare se la revoca contrasti con i preminenti interessi della prole.Editor: Avv. Elisa Calviello

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