Avv. Prof. Domenico Lamanna Di Salvo
In materia di affidamento dei figli è importante sottolineare come il Giudice sia tenuto a valutare e garantire il supremo interesse del minore, sia dal punto di vista morale che giuridico. Ciò può comportare l'adozione di provvedimenti contenitivi o restrittivi quali l'affido superesclusivo all'altro genitore.Nel caso di specie, la Cassazione ha confermato tale orientamento,rilevando "tanto un'importante compromissione delle funzioni genitoriali" della madre relativamente alla capacità di garantire l'accesso all'altro genitore, quanto l'esistenza di un fattore di rischio evolutivo per i bambini derivante dal dualismo tra l'immagine del padre che hanno interiorizzato, a seguito della demolizione della sua figura messa in atto dalla madre, e l'esperienza concreta che del medesimo genitore fanno nella quotidianità. Giusto, pertanto, l'affido superesclusivo all'altro genitore, ma solo ed esclusivamente nel supremo interesse del minore.
Condiviamo la sentenza in oggetto, che seppur con un provvedimento "estremo" tutela il best interest of the child, in questo caso leso dalla demolizione della figura genitoriale paterna.
Prof. Avv. Domenico Lamanna Di Salvo
Matrimonialista - Divorzista - Curatore Speciale del Minore
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4 gen. 2021 • tempo di lettura 7 minuti
Le palestre (purtroppo) rimangono ancora chiuse ma i mesi di abbonamento continuano a decorrere: posso ottenere il rimborso per i mesi non goduti? Mi è stato offerto, in alternativa al rimborso, un voucher; a quali condizioni tale modalità di rimborso è valida? Posso recedere dal contratto? Proviamo a chiarire quali possano essere le soluzioni a disposizione dei consumatori e le misure emergenziali in materia di rimborsi messe in campo per andare incontro anche alle palestre. Le chiusure delle palestre a causa del COVID.Le soluzioni previste per le chiusure derivanti dal primo lockdown.Le soluzioni secondo il codice civile.Come procedere per chiedere il rimborso e/o per recedere dal contratto?1 - Le chiusure delle palestre a causa del COVID.Sono diversi i mesi nel corso dei quali vi è stata l’impossibilità di usufruire dell’abbonamento in palestra; inizialmente a causa del primo lockdown, successivamente nel periodo autunnale per via delle ulteriori chiusure disposte dal governo per la seconda ondata dell’epidemia (25 ottobre – 24 novembre). Il DPCM del 3 dicembre ha infine prorogato al 15 gennaio 2021 la scadenza dell’ultimo provvedimento di chiusura. Fonti del governo e indiscrezioni sottolineano, altresì, che non è mai stata in discussione un’eventuale riapertura delle attività di palestre, piscine, cinema e teatri, i quali quindi continueranno, con molta probabilità, a rimanere chiusi anche dopo tale ultima data.È dunque particolarmente sentita, ormai da mesi, la necessità di fare chiarezza su alcuni aspetti cruciali. Posso ottenere il rimborso per i mesi non goduti? Mi è stato offerto, in alternativa al rimborso, un voucher; a quali condizioni tale modalità di rimborso è valida? Posso recedere dal contratto? Queste domande richiedono una risposta (parzialmente) differente in relazione all’eventualità che il mancato godimento dei servizi previsti dal contratto con la palestra sia intervenuto nel corso del primo lockdown oppure nelle ulteriori chiusure imposte da ottobre in poi. 2 - Le soluzioni previste per le chiusure derivanti dal primo lockdown.I decreti “Cura Italia” e “Rilancio” (convertiti con la Legge 77/2020) hanno previsto una legislazione emergenziale relativa al mancato godimento dei servizi offerti dalle palestre a causa delle chiusure.Più precisamente, l’art. 216, quarto comma, del Decreto Rilancio aveva stabilito che:a seguito della sospensione delle attività sportive ricorresse la sopravvenuta impossibilità della prestazione dovuta “in relazione ai contratti di abbonamento per l’accesso ai servizi offerti da palestre, piscine e impianti sportivi di ogni tipo”, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 1463 del Codice Civile. Il soggetto acquirente potesse presentare istanza di rimborso del corrispettivo già versato per tali periodi di sospensione dell’attività sportiva, allegando il relativo titolo di acquisto o la prova del versamento effettuato.Il gestore dell’impianto sportivo, entro trenta giorni dalla presentazione della predetta istanza potesse rilasciare, in alternativa al rimborso del corrispettivo, un voucher di pari valore “incondizionatamente utilizzabile presso la stessa struttura entro un anno dalla cessazione delle predette misure di sospensione dell’attività sportiva” (e, quindi, entro il 25 maggio 2021). L’istanza di cui al punto sub b) dovesse essere presentata entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente Decreto Rilancio, ossia entro il 18 agosto 2020. La normativa in questione è particolarmente interessante per due ordini di ragioni. La prima riguarda un comportamento attivo del consumatore. Occorre precisare, a riguardo, che il 18 agosto 2020 è da considerarsi come un termine decadenziale, decorso il quale non si può più chiedere (o meglio, non si ha il diritto di richiedere) il rimborso dei mesi non goduti durante il primo lockdown. La seconda riguarda, invece, alcuni comportamenti attivi delle palestre. Alcune palestre, a seguito di tale normativa, hanno previsto l’utilizzo del voucher per un periodo determinato oppure ne hanno condizionato la spendibilità all’attivazione di un nuovo abbonamento. Orbene, queste modalità non rispettano quanto previsto dal Decreto Rilancio in quanto il consumatore ha diritto ad un voucher da attivare nell’arco di un anno, a suo piacimento, a partire dalla scadenza dei mesi di chiusura. Esso deve essere infatti “incondizionatamente utilizzabile”.Inoltre, altre palestre, nonostante la predetta normativa, in alternativa al rimborso o al voucher, dopo aver “congelato” l’abbonamento durante il lockdown (senza prelevare alcun corrispettivo), hanno ricollocato i tre mesi non goduti in coda all’ultimo mese di abbonamento, pur senza il consenso del consumatore. Si precisa che qualsiasi proroga ai mesi di abbonamento a seguito della scadenza prevista dal contratto come soluzione di rimborso per i mesi non goduti costituisce una modifica contrattuale, per la quale occorre il consenso del consumatore ex art. 1321 del Codice Civile. 3 - Le soluzioni secondo il codice civile.Da più parti si ritiene altamente probabile l’introduzione, a stretto giro, di un decreto che preveda le stesse modalità di rimborso del Decreto Rilancio. In ogni caso, in mancanza di una legislazione emergenziale sui rimborsi o sui voucher per le nuove chiusure, la disciplina di riferimento è quella dettata dagli artt. 1463 del Codice Civile (impossibilità totale, ad esempio in caso di abbonamento trimestrale) e 1464 del Codice Civile (impossibilità parziale, qualora residuino ancora alcuni mesi dell’abbonamento a seguito delle riaperture, ad esempio in caso di abbonamento annuale), in materia di impossibilità sopravvenuta per l’esecuzione del contratto. Ai sensi di queste disposizioni, da un lato, la palestra – durante il periodo di chiusura – non ha il diritto di chiedere il pagamento dell’abbonamento e dall’altro lato, ha l’obbligo di restituire i pagamenti già ricevuti. In altre parole, qualora la palestra abbia, nonostante la chiusura, continuato a ricevere il pagamento, il consumatore ha diritto a ottenere il rimborso. A seguito della precedente riapertura (maggio – ottobre), molti consumatori hanno altresì lamentato che a fronte dello stesso corrispettivo (generalmente mensile), la palestra non potesse più garantire lo stesso servizio. È infatti radicale la difformità dei servizi delle palestre a seguito delle restrizioni imposte dall’epidemia: possibilità di trattenersi in palestra al massimo 90 minuti, necessità di prenotazione dei corsi di fitness, chiusura di piscine, saune e altri servizi accessori. Il consumatore potrebbe, inoltre, non essere più interessato alla fruizione di tali servizi per ragioni di tutela della propria salute. Alla luce delle mutate condizioni contrattuali e dello squilibrio contrattuale a danno del consumatore, è ragionevole ritenere sussistente il diritto di quest’ultimo di recedere dal contratto per la parte residua. È chiaro che, in ogni caso, il principio di buona fede nell’esecuzione del contratto impone di andare incontro alle esigenze dell’esercente del servizio, ossia la palestra, qualora quest’ultimo si rendesse disponibile a rimodulare il corrispettivo pattuito, tenendo conto delle mutate condizioni di fruizione dei servizi offerti: ad esempio, riducendo il prezzo e fornendo al contempo alcuni servizi alternativi, quali la possibilità di seguire i corsi online.Si ricordi, in ogni caso, che qualsiasi proroga ai mesi di abbonamento a seguito della scadenza prevista dal contratto come soluzione di rimborso per i mesi non goduti costituisce una modifica contrattuale, per la quale occorre il consenso del consumatore ex art. 1321 del Codice Civile.4 - Come procedere per chiedere il rimborso e/o per recedere dal contratto? Il primo suggerimento è quello di formulare per iscritto (via email o pec) una richiesta di rimborso per i giorni non goduti durante il periodo di chiusura. A questa si può aggiungere (qualora non si sia interessati a frequentare la palestra nei giorni di riapertura), una richiesta di recesso dal contratto giustificato dalle mutate condizioni contrattuali. In caso la richiesta di rimborso e/o recesso non trovasse riscontro positivo, la strada successiva è il contenzioso giudiziario, il quale con grande probabilità dovrà essere instaurato di fronte al Giudice di Pace. Solo qualora la controversia sia di valore superiore a Euro 5.000 euro, sarà competente il tribunale ordinario.Si sottolinea, in ogni caso, alla luce delle difficoltà del periodo e dell’arretrato che già opprime il nostro sistema giudiziario, che la strada più diligente è senz’altro quella di tentare di negoziare soluzioni che vadano incontro anche alle esigenze delle palestre, ad esempio un voucher di cui è possibile usufruire a piacimento del consumatore (in sostituzione al rimborso) o la riduzione del prezzo dell’abbonamento per i mesi di riapertura e la possibilità di usufruire di corsi online (in sostituzione al recesso).
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Egregio Avvocato
29 gen. 2022 • tempo di lettura 1 minuti
La diseredazione è la disposizione mediante la quale il testatore esclude dalla successione un proprio successibile ex lege.Oggi la diseredazione nell’ordinamento giuridico italiano è ammessa, anche nel caso in cui sia l’unica disposizione contenuta nel testamento. L’autonomia testamentaria, infatti, è espressione dell’autonomia dei privati ed è particolarmente ampia.Tuttavia, il problema si pone nel caso in cui si voglia diseredare un cd. legittimario, ovvero, un soggetto che ha sempre diritto ad una quota del patrimonio (cd. quota di legittima), che viene individuato dalla legge nel coniuge, nei figli, e negli ascendenti nel caso in cui non vi siano figli. La tesi che prevale in giurisprudenza è quella che considera inammissibile la diseredazione del legittimario, che si porrebbe in contrasto con l’art. 549 c.c., il quale prevede la nullità di pesi e condizioni poste sulla quota di legittima; e con l’art. 457 c.c., che prevede che le disposizioni testamentarie non possono pregiudicare i diritti dei legittimari. Alla luce di questa interpretazione, se si viene diseredati dal proprio padre non solo si avrà la possibilità di agire con l’azione di riduzione a tutela della propria quota di legittima, ma anche di far valere la invalidità della stessa disposizione testamentaria.Si evidenzia, tuttavia, che nel 2012 è stato inserito un nuovo articolo, il 448 bis c.c., il quale prevede espressamente la possibilità per il figlio di diseredare il proprio padre, e, quindi, contempla la possibilità di diseredare un legittimario. Secondo una prima tesi l’art. 448 bis è norma eccezionale, come tale non estendibile analogicamente, a conferma che di regola non è mai possibile diseredare un legittimario; secondo una diversa tesi, invece, è sempre possibile una diseredazione del legittimario, e la norma è si eccezionale, ma per il solo fatto che il legittimario non potrebbe neanche esperire l’azione di riduzione in questi casi.
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Egregio Avvocato
2 ago. 2021 • tempo di lettura 4 minuti
Il codice civile agli articoli 150, 151, 154 e 158 disciplina la separazione personale dei coniugi.L’istituto, che si differenzia nettamente rispetto al divorzio, consiste in una situazione di legale sospensione dei doveri reciproci dei coniugi, salvi quelli di assistenza e di reciproco rispetto.In particolare, la separazione è quella situazione temporanea dove il vincolo matrimoniale si allenta ma non si scioglie e costituisce un rimedio al venir meno dell’affectio coniugalis.La funzione dell’istituto è duplice: mantenere vivo il vincolo coniugale, che può sempre tornare alla sua piena efficienza con la riconciliazione (art. 157 c.c.) o predisporre le basi per il successivo scioglimento del vincolo.Quanti tipi di separazione sono disciplinati dal codice civile?Cosa s’intende per separazione di fatto?Quali sono gli effetti della separazione personale dei coniugi?A chi spetta il diritto di chiedere la separazione?1 – Quanti tipi di separazione sono disciplinati dal codice civile?Ai sensi dell’articolo 156, comma II, c.c. la separazione può essere: a) giudiziale, se ha il suo presupposto nell’intollerabilità della convivenza o nel grave pregiudizio per l’educazione dei figli ed è pronunciata dal Tribunale ad istanza di uno o di entrambi i coniugi (art. 151 c.c.); b) consensuale, se ha il suo presupposto nel consenso dei coniugi ed avviene per accordo delle parti che dovrà essere omologato dal Tribunale (art. 158 c.c.). In entrambe le ipotesi si parla di separazione legale, in quanto lo status di vita separata si instaura tra i coniugi soltanto a seguito di un provvedimento giurisdizionale.Vi sono, inoltre, forme particolari di separazione, che pur trovando la loro disciplina in un provvedimento giurisdizionale non comportano la modificazione dello status coniugale: a) separazione temporanea disposta in pendenza del giudizio di nullità del matrimonio davanti ai tribunali civili; b) la separazione ordinata dal presidente del Tribunale in sede di provvedimenti temporanei e urgenti durante il giudizio di separazione.2 - Cosa s’intende per separazione di fatto?Lo status di coniuge legalmente separato può nascere solo da una sentenza di separazione giudiziale o dall’omologazione di una sentenza consensuale.Tuttavia, i coniugi possono porre fine alla convivenza dando vita a situazioni che non sono irrilevanti per l’ordinamento e che producono determinati effetti giuridici, in parte diversi rispetto a quelli prodotti dalla separazione legale.La separazione di fatto richiede la cessazione della convivenza dei coniugi. Non costituiscono, pertanto, separazione di fatto le ipotesi (viaggi, ricoveri in ospedale, servizio militare) nelle quali la coabitazione sia temporaneamente interrotta senza che si verifichi alcuna frattura dell’affectio coniugalis. Costituisce separazione di fatto anche la separazione consensuale non omologata, quando i coniugi concordano la cessazione della convivenza senza far ricorso all’autorità giudiziale.La separazione di fatto rileva quale fondamento dell’azione di disconoscimento della paternità, non comporta il venir meno della presunzione di concepimento e non determina lo scioglimento della comunione legale.3 - Quali sono gli effetti della separazione personale dei coniugi?La separazione, come innanzi detto, non scioglie il matrimonio ma sospende soltanto alcuni doveri reciproci dei coniugi, quali quelli legati alla vita in comune.In particolare, il dovere di fedeltà si riduce al mero dovere di rispetto dell’onorabilità del coniuge, vengono meno gli obblighi di convivenza e di collaborazione, ma la moglie conserva il cognome del marito. Quanto ai rapporti patrimoniali, si scioglie la comunione legale ma permangono il fondo patrimoniale e l’impresa familiare.A fronte della separazione, sorge l’obbligo in capo al coniuge di fornire all’altro coniuge, se privo di adeguate risorse economiche, i mezzi necessari per le ordinarie esigenze di vita. Il mantenimento in favore dei figli, invece, grava su entrambi i genitori in misura proporzionale al reddito di ciascuno.4 - A chi spetta il diritto di chiedere la separazione?La separazione può essere chiesta da uno o da entrambi i coniugi, compreso il coniuge che con il suo comportamento abbia cagionato l’intollerabilità della convivenza o la situazione pregiudizievole ai figli. Nel giudizio di separazione la qualità di parte spetta esclusivamente ai coniugi e non può essere riconosciuta ai parenti di questi, neppure al fine di tutelare più efficacemente gli interessi dei figli minori.Il diritto di chiedere la separazione è: a) personalissimo, né deriva l’intrasmissibilità agli eredi, poiché il diritto cessa con la morte del suo titolare e non è ammissibile la prosecuzione in giudizio da parte degli eredi; b) indisponibile, ciò comporta che la separazione non può essere oggetto di compromesso per arbitrato; c) imprescrittibile. È consentita la rappresentanza volontaria dei coniugi da parte di procuratori speciali delimitando l’ambito che la parte rappresentata intende far valere a mezzo del rappresentante.Per l’interdetto non può agire il tutore il quale, tuttavia, ha la legittimazione passiva nel giudizio di separazione promosso dall’altro coniuge.Editor: Avv. Elisa Calviello
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Egregio Avvocato
20 mag. 2024 • tempo di lettura 2 minuti
Nel linguaggio comune si parla tutt'oggi di "annullamento del matrimonio" ma questo è errato, in quanto, nel diritto canonico, non esiste il divorzio, bensì la dichiarazione di nullità di un matrimonio, sì celebrato secundum ritum Sanctae Romanae Ecclesiae ma viziato da situazioni tanto gravi da comportarne la nullità ab origine, come se il matrimonio stesso non fosse mai stato celebrato (tam quam non esset). Per ottenere la declaratoria di nullità, il vizio deve ricadere tra quelli previsti dal Codice di Diritto Canonico. Exempli gratia, si consideri il Canon 1103, secondo cui è nullo il matrimonio celebrato sotto l'effetto del timore provocato da pressione psicologica o costrizione morale, come pure da violenza o minaccia materiale.In tal caso, se siamo di fronte ad un matrimonio concordatario o solo religioso celebrato sotto violenza e costrizione grave, anche qualora fosse solo reverenziale, il soggetto che lo ha subito potrà sempre impugnare il vincolo nuziale e chiedere al Tribunale Ecclesiastico competente di dichiarare la nullità dello stesso anche dopo il cessare della violenza o della costrizione Il vizio per la Chiesa non è sanabile, quindi non vi è nessuan prescrizione temporale.Diverso è invece l'approccio del Diritto Italiano. Ed invero, secondo il Codice Civile, nel caso di specie si parla di “annullamento del matrimonio” in quanto il vincolo di per sé è nato valido e solo l'effetto di annullamento dello stesso si andrà a produrre a condizione che “non vi sia stata coabitazione per un anno”, intesa nei termini di una completa vita coniugale successivamente al cessare della violenza. Qui, inoltre, vi è un limite temporale fissato dalla legge in un anno. Tale sanatio prevista dall'art. 122 c.c. comunque in linea con i principi del diritto in termini di sanatoria e prescrizione del diritto (cfr. Trib. Modena 9 novembre 2022).Pertanto, è difficile provare tale circostanza, in quanto chi ha posto in essere la violenza andrà a dichiarare che la stessa non è mai esistita o che al massimo sia cessata da oltre un anno e pertanto nulla può essere dichiarato ai fini della annullabilità. Viceversa il soggetto debole, dopo aver subito la violenza al consenso, dovrà anche subire l'onta di un processo per avere giustizia.La discrasia tra Diritto Civile e Diritto Canonico si colloca sulla scia di un orientamento purtroppo oramai consolidato nel ns. Ordinamento, che, facendo leva sulla laicità dello Stato, de facto ignora e snobba l'Insegnamento della Chiesa, degradando in tal modo le statuizioni dei Tribunali Ecclesiastici a mere vicende afferenti la sfera religiosa dei coniugi. Non resta che augurarsi una più profonda collaborazione ed un più sincero timore reverenziale nei confronti di Santa Romana Chiesa, piuttosto che una "scissione" del Diritto, che non giova alla fine dei conti alle persone.Prof. Avv. Domenico Lamanna Di Salvo Matrimonialista - Divorzista - Curatore Speciale del Minore
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