Guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti: sanzioni amministrative e penali

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Pubblicato il 6 mag. 2021 · tempo di lettura 7 minuti

Guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti:  sanzioni amministrative e penali | Egregio Avvocato
La guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti comporta un’alterazione psico-fisica nella persona del guidatore, che ha una percezione distorta della realtà e subisce un peggioramento delle proprie facoltà intellettive ed un rallentamento dei riflessi. Si tratta di una condotta pericolosa per l’incolumità personale ed altrui che, per quanto venga spesso sottovalutata, è punita a livello non solo amministrativo ma anche penale dal legislatore italiano. 



  1. Alcune premesse
  2. Le sanzioni previste per i guidatori “comuni”
  3. Le sanzioni previste per conducenti infraventunenni, neo-patentati e auto-trasportatori professionali 
  4. Guida in stato di alterazione psicofisica per uso di sostanze stupefacenti
  5. Lavori di pubblica utilità


1 – Alcune premesse

Lo stato di ebbrezza è una condizione di alterazione psico-fisica che consegue all’assunzione di sostanze alcoliche e che comporta una percezione distorta della realtà, un peggioramento delle facoltà intellettive e un rallentamento dei riflessi. 

A questa particolare condizione sono dedicati gli artt. 186 e 186-bis del Codice della Strada (CdS – D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285) che introducono delle distinzioni sul piano sanzionatorio in base alla alla quantità di alcool assunto (che si misura in g/l di sangue), all’età o alla qualità soggettiva del guidatore (neopatentati, infraventunenni o autotrasportatori professionali) nonché a particolari condizioni di fatto o di tempo in cui la condotta viene realizzata (se cagiona un incidente o avviene in orario notturno).

Il superamento del limite imposto dalla legge può essere accertato attraverso analisi del sangue o mediante verifica all’etilometro, lo strumento che misura la quantità di alcool presente nell’aria attraverso il rilievo dell’espirazione da parte del soggetto che si sottopone a tale esame: per garantire un risultato più attendibile, l’accertamento attraverso etilometro viene ripetuto almeno due volte, a distanza di pochi minuti tra una rilevazione e l’altra. Come vedremo, è sanzionato anche il rifiuto di sottoporsi a questo accertamento.


 2 – Le sanzioni previste per i guidatori “comuni”

Vediamo ora nel dettaglio quali sono le sanzioni previste dalla legge, in un ordine di severità crescente. 

Qualora venga accertato un tasso alcolemico inferiore a 0,5 g/l, la condotta sarà irrilevante dal punto di vista sia amministrativo sia penale. Al di sopra di tale quantitativo, l’art. 186 CdS prevede tre diverse soglie, cui corrispondono differenti sanzioni:



  1. tasso alcolemico compreso fra 0,5 e 0,8 g/l: sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 544 a euro 2174 e della sospensione della patente di guida da tre a sei mesi;
  2. tasso alcolemico superiore a 0,8 ma non superiore a 1,5 g/l: sanzione penale dell’arresto fino a sei mesi, dell’ammenda da euro 800 a euro 3200 e sanzione amministrativa della sospensione della patente di guida da sei mesi a un anno. L’ammenda è aumentata da un terzo alla metà quando il reato è commesso dopo le ore 22 e prima delle ore 7. Se è cagionata la morte di una persona, l’art. 589-bis c.p. prevede la reclusione da cinque a dieci anni.
  3. tasso alcolemico superiore a 1,5 g/l: sanzione penale dell’arresto da sei mesi a un anno, dell’ammenda da euro 1500 a euro 6000 e sanzione amministrativa della sospensione della patente di guida da uno a due anni. L’ammenda è aumentata da un terzo alla metà quando il reato è commesso dopo le ore 22 e prima delle ore 7. Inoltre, la sanzione è raddoppiata se il veicolo appartiene a persona estranea al reato. Infine, c’è sempre la revoca della patente di guida in caso di recidiva nel biennio. Se è cagionata la morte di una persona, l’art. 589-bis c.p. prevede la reclusione da otto a dodici anni.


In tutte queste ipotesi, qualora il conducente in stato di ebbrezza provochi un incidente stradale, le sanzioni sono raddoppiate ed è disposto il fermo amministrativo del veicolo per 180 giorni, salvo che lo stesso appartenga a persona estranea all’illecito. 


In caso di rifiuto dell’accertamento, il conducente è sanzionato allo stesso modo che si trovasse nello stato più grave di guida in stato di ebbrezza (cioè la situazione sub c) di cui sopra); inoltre, alla sentenza di condanna segue la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida per un periodo da sei mesi a due anni nonché la confisca del veicolo, salvo che appartenga a persona estranea alla violazione.


3 – Le sanzioni previste per conducenti infraventunenni, neo-patentati e auto-trasportatori professionali

L’art. 186-bis CdS prevede un trattamento più severo per i conducenti di età inferiori a ventuno anni, per quelli nei primi tre anni dal conseguimento della patente di guida di categoria B (“neo-patentati”) nonché per gli auto-trasportatori professionali.


A questi guidatori “qualificati” è in ogni caso vietato guidare dopo aver assunto bevande alcoliche: è quindi rilevante anche il tasso alcolemico inferiore a 0,5 g/l. In particolare:

  • tasso alcolemico compreso fra 0 e 0,5 g/l: sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 168 a euro 679. In caso di incidente, la sanzione è raddoppiata;
  • tasso alcolemico compreso fra 0,5 e 0,8 g/l: sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 544 a euro 2174 e della sospensione della patente di guida da tre a sei mesi è aumentata di un terzo;
  • tasso alcolemico superiore a 0,8 ma non superiore a 1,5 g/l: sanzione penale dell’arresto fino a sei mesi, dell’ammenda da euro 800 a euro 3200 e sanzione amministrativa della sospensione della patente di guida da sei mesi a un anno sono aumentate da un terzo alla metà;
  • tasso alcolemico superiore a 1,5 g/l: sanzione penale dell’arresto da sei mesi a un anno, dell’ammenda da euro 1500 a euro 6000 e sanzione amministrativa della sospensione della patente di guida da uno a due anni sono aumentate da un terzo alla metà. 


Anche in questo caso è prevista una sanzione per il caso in cui il conducente rifiuti di sottoporsi all’accertamento etilico: egli è sanzionato allo stesso modo che si trovasse nello stato più grave di guida in stato di ebbrezza (sanzione penale dell’arresto fino a sei mesi e dell’ammenda da euro 800 a euro 3200), con un aumento da un terzo alla metà, cui si aggiunge la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida per un periodo da sei mesi a due anni e della confisca del veicolo, salvo appartenga a persona estranea al reato (caso in cui la sospensione è raddoppiata).


4 – Guida in stato di alterazione psicofisica per uso di sostanze stupefacenti

L’art. 187 CdS prevede delle sanzioni specifiche per chiunque si metta alla guida in stato di alterazione psico-fisica conseguente all’assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope.

Questo comportamento ha sempre rilevanza penale, a prescindere dal tipo e dalla quantità di sostanza assunta.

In particolare, la legge prevede l’arresto da sei mesi a un anno e l’ammenda da euro 1500 a euro 6000, che è aumentata da un terzo alla metà quando il reato è commesso dopo le ore 22 e prima delle ore 7. Si aggiungono la sanzione amministrativa della sospensione della patente di guida da uno a due anni; il periodo di sospensione della patente è raddoppiato se il veicolo appartiene a persona estranea al reato.

Se il conducente è uno dei guidatori “qualificati” previsti dall’art. 186 CdS, le sanzioni sono aumentate da un terzo alla metà.

In caso di incidente, la pena dell’arresto da sei mesi a un anno e dell’ammenda da euro 1500 a euro 6000 è raddoppiata e la patente di guida è sempre revocata. Se è cagionata la morte di una persona, l’art. 589-bis c.p. prevede la reclusione da otto a dodici anni

Infine, qualora il conducente si rifiuti di sottoporsi ad accertamento, egli è punito con la sanzione penale dell’arresto fino a sei mesi e dell’ammenda da euro 800 a euro 3200, cui segue la sanzione amministrativa della sospensione della patente di guida per un periodo da sei mesi a due anni nonché la confisca del veicolo, salvo che appartenga a persona estranea alla violazione.


5 – Lavori di pubblica utilità

In caso di condanna in sede penale per guida in stato di ebbrezza e sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, la legge prevede la possibilità di sostituire la pena detentiva e pecuniaria con la sanzione del lavoro di pubblica utilità. Quest’ultima consiste nella prestazione di un’attività non retribuita in favore della collettività da svolgersi, in via preferenziale, nel campo della sicurezza e dell’educazione stradale presso lo Stato o gli enti locali nonché nella partecipazione ad un programma terapeutico e socio-riabilitativo del soggetto tossicodipendente. Il lavoro di pubblica utilità ha una durata corrispondente a quella della sanzione detentiva irrogata e della conversione della pena pecuniaria (250 euro corrispondono ad un giorno di lavoro di pubblica utilità). 

In caso di svolgimento positivo del lavoro di pubblica utilità, il giudice dichiara l’estinzione del reato, dispone la riduzione alla metà della sanzione della sospensione della patente e revoca la confisca del veicolo sequestrato. 


Attenzione: la sanzione penale non può essere mai sostituita con i lavori di pubblica utilità quando il guidatore sia uno dei soggetti “qualificati” di cui all’art. 186-bis CdS o quando sia un guidatore “comune” ma abbia provocato un incidente. 


Qui il link ad una tabella avente ad oggetto una stima delle quantità di bevande alcoliche che determinano il superamento del tasso alcolemico legale, stilata dall’Osservatorio Nazionale Alcol CNESPS.


Editor: dott.ssa Elena Pullano

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Il principio di autodeterminazione al trattamento sanitario

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Quando si parla di consenso alle cure del paziente, s’intende una manifestazione di volontà con connotati e modalità precise e fissate dalla legge. La violazione del consenso da parte del medico si realizza sia nel caso di assoluta mancanza di consenso, come anche in presenza di vizi nel procedimento di acquisizione dello stesso. Il processo informativo, infatti, è il requisito fondamentale e strumentale alla garanzia della libera e consapevole approvazione del paziente alla proposta terapeutica, il quale può anche incontrare dei limiti, seppur sempre fissati dalla legge.Esempio concreto di ciò è quanto accaduto a Modena in occasione del ricovero di un bambino con un grave problema cardiaco, il quale, secondo i genitori, poteva essere operato dalla struttura sanitaria solo a condizione che fosse adoperato sangue da persone non vaccinate contro il coronavirus, nel caso in cui si fosse resa necessaria una trasfusione. La situazione che ne è scaturita offre l’opportunità di una riflessione sul sottile equilibrio che si viene a creare tra il diritto, costituzionalmente garantito, della libertà di autodeterminarsi nei vari trattamenti sanitari e il rifiuto da parte del titolare o da chi ne fa le veci dal quale ne può scaturire il pericolo per l’incolumità delle persone coinvolte.La riflessione che ci apprestiamo a proporre richiede inizialmente un’analisi degli aspetti normativi salienti che risultano propedeutici alle conclusioni proposte.Cosa s’intende per consenso al trattamentoQuali sono gli obblighi informativi a carico del medico?Specificità e personalizzazione dell’informazione da richiedereIl caso del bambino di Modena, fino a che punto può spingersi il principio di autodeterminazione?1 - Cosa s’intende per consenso al trattamento.A monte della prestazione del consenso vi è il processo informativo. Infatti, in una relazione terapeutica improntata al principio di parità tra le parti risulta determinante adottare meccanismi voltia contrastare le cc.dd. asimmetrie informative, intese come le differenze conoscitive tra medico e paziente, le quali raffigurano una turbativa della libertà decisionale di quest’ultimo. La comunicazione ed il dialogo, lo scambio di informazioni tra il medico ed il paziente, dunque, è condizione preliminare, necessaria ed ineliminabile affinché la scelta terapeutica sia consapevole e il diritto all’autodeterminazione sia effettivamente garantito.Infatti il paziente subisce una lesione del suo diritto di autodeterminarsi anche quando, pur in presenza di consenso, questo non sia stato preceduto da una adeguata e completa informazione sanitaria. Il presupposto fondamentale dell’informazione, quale elemento necessario per una corretta formazione della volontà del paziente, è stata riconosciuta negli ultimi decenni. In particolar modo ricordiamo la presa di posizione del Comitato Nazionale per la Bioetica che, nel 1992, ha affermato che il diritto all’informazione deve essere finalizzato a porre il paziente in grado di autodeterminarsi e di poter prendere decisioni consapevoli in ambito sanitario.Da qui, anche a seguito dei molteplici interventi di dottrina e giurisprudenza, si è giunti successivamente alla nuova normativa dettata dalla L. n. 219/2017 che presenta le norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento, in cui gli obblighi informativi a carico del medico sono stati regolati in maniera dettagliata con un’analisi completa della disciplina stessa.2 - Quali sono gli obblighi informativi a carico del medico?Il processo informativo che utile e valido volto all’acquisizione del consenso del paziente, prevede molteplici punti da affrontare, laddove quello più importante è quello relativo all’oggetto e quindi il contenuto dell’informazione. L’operatore sanitario, infatti, deve procedere al compimento di più obblighi informativi allo scopo di rendere edotto il paziente sulle sue condizioni di salute.In primo luogo, vi è la diagnosi. Questa consta dell’individuazione della malattia, di tutte le caratteristiche della stessa, anche in merito alla localizzazione e alla natura e rappresenta il primo momento, fondamentale dell’informazione al paziente, il quale ha il pieno diritto di conoscere il proprio stato di salute. A seguito della diagnosi vi è la prognosi e in questo caso l’operazione da effettuare per il sanitario è differente perché si tratta del giudizio di previsione probabilistico circa il decorso e l’esito della malattia. Questo giudizio risulta fondamentale in quanto, permette di mettere il paziente al corrente dell’andamento della propria malattia, permettendogli di scegliere in modo informato sulla propria scelta terapeutica con cognizione di causa. Tra la diagnosi e della prognosi potrebbe esserci l’accertamento diagnostico che il medico intende porre in atto. Infatti in questa fase il medico deve indicare al paziente l’intervento che egli ritiene più opportuno da realizzare, configurando la reale proposta terapeutica a cui seguirà il possibile assenso o dissenso del paziente.Altro presupposto centrale dell’accertamento diagnostico è quello relativo al fatto che il medico deve informare il paziente relativamente ai i benefici e i rischi derivanti dall’intervento indicato. In questo caso il medico prospetterà un eventuale risultato dell’accertamento fatto, comunicando le probabilità di successo o di fallimento dell’intervento, nonché le eventuali e concomitanti ulteriori conseguenze derivanti dall’intervento.Ma l’ulteriore domanda è quella in merito ai rischi che deve presentare il medico rispetto all’intervento programmato o da eseguire. Ciò sicuramente dipende dal tipo di intervento, dall’invasività dello stesso ma anche dalla complessità o normalità del caso prospettato.In genere, si ritiene che quanto più l’intervento sia complesso o rilevante dal punto di visto dell’integrità psico-fisica del paziente, tanto più il medico dovrà rendere un quadro dei rischi più completo possibile, rappresentando al soggetto cui si richiede il consenso anche le eventuali complicanze, gli effetti collaterali e le problematiche che possono intervenire sul post-intervento, anche quelle più isolate ed insolite. Da quanto detto ne può discendere il rifiuto del paziente e quindi il dissenso. Il paziente ha il pieno diritto di autodeterminarsi e quindi anche di rifiutare le singole o tutte le cure prospettate e queste sue decisioni devono essere ben ponderate e quindi il medico dovrà prospettare in modo completo ed esaustivo le possibili conseguenze del rifiuto.Proprio per tal motivo il medico non si dovrà limitare nel fornire le informazioni, proponendo soltanto una singola cura e le possibili conseguenze della stessa, ma dovrà fornire varie e diverse cure prospettabili per il caso concreto, se esistenti. Dunque, l’informazione al trattamento comprenderà tutte le diverse valutazioni mediche con gli i rischi e benefici che ne derivano. In ogni caso, anche se il paziente ha inizialmente dichiarato il proprio consenso all’operazione sanitaria prospettata dal medico, potrà, in qualsiasi momento, revocare il consenso prestato, anche quando la revoca comporti l’interruzione del trattamento, come accade per la nutrizione artificiale e l’idratazione artificiale, quindi anche in caso di interventi salva-vita.3 - Specificità e personalizzazione dell’informazione da richiedereDopo aver prospettato il contenuto dell’informazione medica, si deve sottolineare come non sia possibile determinare in via generale e astratta il puntuale e identico contenuto dei doveri informativi, tale da poter formare e creare un regime informativo valevole sempre ed in qualsiasi tipo di circostanza per ogni tipo di intervento medico. Infatti, non è possibile avere un unico livello di informazione, in quanto l’informazione assume connotati diversi e cangianti a seconda del tipo di intervento che si prospetta.Vi sono notevoli differenze perché nel caso in cui si sia in presenza di un semplice accertamento diagnostico o di una ordinaria visita medica, l’oggetto dell’informazione sarà basico e routinario, in quanto la situazione fattuale non presenta problemi relativi al calcolo rischi e benefici del trattamento o quello della rappresentazione di diagnosi e prognosi. Così come anche nel caso in cui si sia in presenza di accertamenti quotidiani, a seguito di una cura già prospettata e avviata dal paziente con il medico curante. In questo caso, trattandosi di una prestazione sanitaria ripetitività, ma anche eseguita su una pluralità di altri pazienti, nel caso in cui siano anche significativamente poco incidenti sulle condizioni psico-fisiche del paziente, in merito anche agli eventuali rischi ricadenti sullo stesso, l’attività d’informazione al trattamento richiederà un’attività meno intensa e specifica.A contrario, nel caso in cui il trattamento e le informazioni da rendere dovessero andare oltre la terapia, realizzando scopi diversi da quello della semplice guarigione dallo stato patologico, l’informazione allora avrà caratteri ancora sempre più specifici, dovendo completarsi ed integrarsi con contenuti atti a rendere l’informativa utile e completa. Per quanto riguarda le modalità dell’informazione, fondamentale è il linguaggio usato dal medico.Si ritiene che il linguaggio debba essere quanto più chiaro possibile, rispetto anche al livello culturale e la conoscenza e comprensione del paziente.Il medico deve fornire al paziente le conoscenze atte ed in grado di permettergli di percepire e accettare con piena consapevolezza le cure alle quali sottoporsi.Il dialogo non si deve arrestare al solo contenuto delle informazioni date dal medico ma si deve analizzare con cura il dialogo fra le parti. Ciò, quindi, implica che l’informazione non sia univoca ma deve consistere in una cooperazione fra le parti, quindi, in una conversazione fra le parti. Il paziente deve avere la possibilità di esprimere i suoi dubbi e le sue incertezze, al fine di poter ottenere maggiori informazioni sul proprio trattamento. È necessario che l’informazione sia anche personalizzata. Questa, infatti, dovrà essere regolata e proporzionata alla particolare situazione del paziente, risulta fondamentale che il medico conosca le condizioni del paziente, la sua situazione personale, familiare, lavorativa e relazionale, ma anche le sue esigenze e aspettative terapeutiche. L’informazione dovrà essere sempre onesta e veritiera, il medico deve utilizzare un linguaggio non traumatizzante e quindi usare sempre la massima sincerità e accortezza e, in caso di prognosi infausta, lasciare spazio, ove possibile, ad un margine di speranza per il paziente, in modo che quest’ultimo si possa autodeterminare in modo chiaro e libero da condizionamenti esterni. 4 - Il caso del bambino di Modena, fino a che punto può spingersi il principio di autodeterminazione?Il caso avvenuto a Modena, nel febbraio del 2022, ha avuto notevole risalto mediatico in tutta Italia. Trattasi del caso di un bambino di due anni, ricoverato all’ospedale Sant’Orsola di Bologna, il quale necessitava con urgenza di un intervento chirurgico al cuore che a causa delle resistenze dei genitori, i quali si sono dichiarati contro alla trasfusione del sangue al piccolo da parte di donatori vaccinati al virus covid-19, ha comportato il serio rischio di poter procurare danni ingenti alla salute del bambino se non addirittura, condurlo alla morte.In questo caso si è di fronte allo scontro di due diritti fondamentali all’interno dell’ordinamento italiano. Da un lato, il diritto alla salute, diritto costituzionalmente garantito ex. art. 32; il cui portatore primario è il bambino di due anni che come documentato dai vertici medici dell’ospedale, necessità dell’intervento chirurgico programmato, e che lo stesso “non sia rinviabile"; occorrendo "procedere con urgenza al ricovero e all’intervento". Dall’altro lato, invece, vi è il diritto alla libera autodeterminazione al trattamento, unitamente al diritto alla libera professione della propria religione, in quanto oltre al timore del “sangue infetto”, come definito dai genitori del bambino, venivano addotte anche motivazioni religiose, le quali contrastano con l’eventuale donazione di sangue da parte di soggetti vaccinati. Tali motivazioni religiose si rinvengono sul presupposto per cui i genitori non accettano che al piccolo venga somministrato sangue di persone vaccinate con sieri che utilizzerebbero in fase sperimentale e/o di produzione cellule umane ricavate da feti abortiti volontariamente.A seguito della notizia ricevuta dall’ospedale, la Procura per i minorenni aveva presentato ricorso. Il tribunale oltre a sospendere in via provvisoria la potestà genitoriale alla madre e al padre, ha nominato curatore speciale la direttrice del policlinico.In questo caso, si è proceduto, come avviene normalmente in questi casi, ad un bilanciamento di interessi tra diritti costituzionalmente tutelati come quello alla salute da un lato e quello all’autodeterminazione e religioso dall’altro e tocca all’interprete, in questo caso il giudice, valutare nel caso concreto, quale interesse sia preminente a seguito del bilanciamento effettuato.Il giudice tutelare di Modena, sentite le ragioni del policlinico Sant'Orsola sulla necessità dell'intervento e sulla sicurezza del sangue, non risultando alcuna diversa ragione per temere, in caso di trasfusione di sangue da parte di soggetti vaccinati, ha ritenuto opportuno, tutelando in prima battuta la salute del bambino, dare l’assenso per il procedersi dell’operazione e della trasfusione del sangue.Nel caso in esame, l’interprete ha valutato sulla base di una serie di fattori, tra cui l’interesse preminente del minore, l’urgenza del trattamento terapeutico e l’infondatezza scientifica delle motivazioni avanzate dai genitori del minore che, valutate nel loro insieme, hanno permesso di legittimare la correttezza del trattamento sanitario ma allo stesso tempo, l’insussistenza delle rimostranze effettuate dai genitori.Più in generale, si può affermare che in caso di paziente in età adulta, il principio dell'autodeterminazione è decisivo in virtù dell’art. 32 della Costituzione, la quale impone che: "nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge".Per quanto riguarda i minori l'approccio è diverso. Nonostante in passato si fosse trovato un accordo in merito alla "Nuova disciplina delle attività trasfusionali e della produzione nazionale degli emoderivati", che nel caso in cui non ci fosse stata una circostanza di urgenza e in uno stato di necessità, doveva essere una commissione di medici, tra i quali rappresentativi della professione religiosa in contrasto con il trattamento, a valutare il caso concreto, a considerare se esistessero possibilità di autotrasfusione o di tecniche medico-chirurgiche alternative e, infine, a decidere a maggioranza. La proposta, però, non è stata accolta, da parte della commissione redigente la norma.In ogni caso, oltre all’urgenza che caratterizzava la situazione in esame, la quale ha dato una spinta ulteriore per autorizzare l’ospedale, in caso di conflitto irrisolto tra genitori e autorità sanitarie si affida la decisione alla Procura presso il Tribunale dei minorenni. Questa, sospendendo temporaneamente la responsabilità genitoriale, dispone un provvedimento basato in via esclusiva su criteri medico-scientifici. Si può affermare che quanto è avvenuto per la vicenda del bambino di Modena, rientra nel corretto uso dei poteri del giudice relativamente al bilanciamento degli interessi e diritti costituzionalmente garantiti, come quello all’autodeterminazione e al trattamento sanitario.Editor: dott. Giuseppe Sferrazzo

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31 mar. 2022 tempo di lettura 5 minuti

L’articolo 2 del Decreto Legge n. 69/1988 prevede il c.d. assegno per il nucleo familiare, vale a dire una prestazione economica riconosciuta dall’INPS ai nuclei familiari di determinate categorie di lavoratori che rispettino prefissati requisiti reddituali. Che cos’è l’assegno per il nucleo familiare e a chi spetta?Determinazione, corresponsione e incompatibilitàCome e quando fare domanda?Assegno per il nucleo familiare e differenze con assegni familiari e assegno unico universale: le ultime novità1 - Che cos’è l’assegno per il nucleo familiare e a chi spetta?Come anticipato in premessa, l’assegno per il nucleo familiare è una prestazione a sostegno delle famiglie con redditi inferiori a determinati limiti che vengono stabiliti di anno in anno.L’importo dell’assegno per il nucleo familiare è stabilito in misure differente in relazione al numero di persone che compongono il nucleo familiare nonché in base al reddito complessivo familiare.Hanno diritto di fruire del detto assegno: i lavoratori dipendenti in attività, cassintegrati, socialmente utili, assenti per malattia o maternità, assenti per assistenza a familiari portatori di handicap, richiamati alle armi, in aspettativa per cariche pubbliche elettive e sindacali, dell’industria o marittimi in congedo matrimoniale, le persone assistite per tubercolosi, i pensionati ex dipendenti pubblici, i soci di cooperative, i lavoratori con tratto part-time, gli apprendisti, i lavoratori a domicilio, i lavoratori stranieri e i lavoratori autonomi iscritti alla gestione separata INPS.2 - Determinazione, corresponsione e incompatibilitàLa determinazione del diritto all’assegno per il nucleo familiare consegue a tutta una serie di operazioni: a) individuazione del nucleo familiare, b) rilevazione del reddito familiare, c) accertamento dell’esistenza del requisito del 70% dei redditi da lavoro dipendente ed assimilati, d) accertamento dell’esistenza di eventuali condizioni previste per l’aumento dei livelli di reddito, e) individuazione della tabella da applicare in relazione anche all’esistenza delle predette condizioni, f) individuazione della fascia di reddito in cui si colloca il reddito familiare considerato, g) rilevazione della tabella prescelta dell’importo dell’assegno corrispondente al numero dei componenti il nucleo.Per quel che riguarda la corresponsione dell’assegno per il nucleo familiare occorre distinguere a seconda di chi è il percettore.Per il lavoratore, la corresponsione dell’assegno è anticipata dal datore di lavoro in busta paga e, successivamente, rimborsata dall’INPS con il conguaglio dei contributi. Per alcune categorie di lavoratori, l’assegno è invece pagato direttamente dall’INPS, come ad esempio per i lavoratori agricoli dipendenti.Ai pensionati l’assegno per il nucleo familiare è rimesso direttamente dall’INPS insieme al versamento del rateo della pensione.A partire, infine, dal 1° gennaio 2005, l’assegno per il nucleo familiare è erogato anche al coniuge dell’avente diritto. Difatti, il coniuge non titolare di un autonomo diritto alla corresponsione dell’assegno, formula apposita domanda, nel modulo presentato dall’altro coniuge, al datore di lavoro o direttamente all’INPS a seconda di chi sia il soggetto erogatore.Il già citato Decreto Legge prevede anche ipotesi di incompatibilità. Infatti, è previsto che per lo stesso nucleo familiare non possa essere concesso più di un assegno. L’INPS ha inoltre precisato che è esclusa la possibilità di duplicare l’assegno per il nucleo familiare sia che spetti allo stesso soggetto, a diverso titolo, sia che ad esso abbiano titolo soggetti differenti.  3 - Come e quando fare domanda?Per la corresponsione dell’assegno per il nucleo familiare, l’interessato deve presentare apposita domanda utilizzando i moduli che sono predisposti dall’INPS. A partire dall’aprile 2019, i lavorati dipendenti del settore privato devono presentare, in modalità esclusivamente telematica, la suddetta domanda direttamente all’INPS mediante uno dei seguenti canali: a) tramite il servizio online dedicato, accessibile dal sito www.inps.it, se in possesso di PIN dispositivo, di identità SPID almeno di livello 2 o Carta Nazionale dei Servizi; b) patronati e intermediari dell’INPS, anche se non in possesso di PIN; c) datore di lavoro, previa delega del lavoratore.La domanda va presentata ogni anno in cui se ne ha diritto avendo cura di comunicare eventuali variazioni reddituali o del nucleo familiare entro il termine di 30 giorni, laddove tali variazioni si verifichino durante il periodo di richiesta dell’assegno.4 - Assegno per il nucleo familiare e differenze con assegni familiari e assegno unico universale: le ultime novitàNon va confuso l’assegno per il nucleo familiare con gli assegni familiari. Questi ultimi, difatti, sono oggetto di una prestazione differente riservata dall’INPS ad alcune delle categorie di lavoratori che sono esclusi dalla disciplina sugli assegni per il nucleo familiare.Recentissima novità è quella derivante dall’introduzione del c.d. assegno unico universale.La Legge n. 46/2021 ha conferito la delega al Governo per riordinare, semplificare e potenziare le misure a sostegno dei figli a carico mediante l’istituzione del citato assegno unico universale. Tale disciplina ha inciso anche sugli assegni per il nucleo familiare.Va, infatti, ricordato che il Decreto Legge n. 79 del 2021, che ha introdotto misure urgenti in materia di assegno temporaneo per figli minori, ha disposto una maggiorazione degli importi degli assegni per il nucleo familiare. Il successivo Decreto Legislativo n. 230 del 2021 ha istituito a tutti gli effetti, a partire dal 1° marzo 2022, l’assegno unico e universale per i figli a carico. Pertanto, cos’è cambiato?Per rispondere a questo interrogativo è sufficiente analizzare la circolare n. 34/2022 dell’INPS con cui si precisa che «non saranno più riconosciute le prestazioni di assegno per il nucleo familiare (e di assegni familiari), riferite ai nuclei familiari con figli e orfanili per i quali subentra la tutela dell’assegno unico. […] continueranno, invece, ad essere riconosciute le prestazione di assegno per il nucleo familiare (e di assegni familiari) riferite a nuclei familiari composto unicamente dai coniugi (con l’esclusione del coniuge legalmente ed effettivamente separato), dai fratelli, dalle sorelle e dai nipoti, di età inferiore a diciotto anni compiuti ovvero senza limiti di età, qualora si trovino, a causa di infermità o difetto fisico o mentale, nell’assoluta e permanente impossibilità di dedicarsi ad un proficuo lavoro, nel caso in cui essi siano orfani di entrambi i genitori e non abbiano conseguito il diritto a pensione ai superstiti».

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Affidamento esclusivo del minore: condizioni per la pronuncia

22 ott. 2024 tempo di lettura 2 minuti

L’affidamento condiviso, che presuppone la capacità per i genitori di instaurare un’ottimale e prolungata sintonia sulle scelte educative per i figli, costituisce oggi il regime ordinario di affidamento, alla luce del principio di bigenitorialità.L’affidamento esclusivo costituisce, invece, una soluzione eccezionale, consentita solo qualora  uno dei genitori dimostri una condizione di manifesta carenza, o un'inidoneità educativa ovvero un comportamento tale da rendere l’affidamento condiviso contrario all’interesse esclusivo del minore. La legge non indica quali siano i casi che comportano la revoca dell’affidamento condiviso, pertanto la decisione è rimessa alla valutazione del Giudice, eseguita caso per caso con provvedimento motivato.In via generale, l’interesse del minore puo' essere pregiudicato da un affidamento condiviso nel caso in cui un genitore sia indifferente nei confronti del figlio o non contribuisca al suo mantenimento, proponga scelte di vita non rispettose delle esigenze e delle aspirazioni del figlio, si trovi in condizioni di grave impedimento fisico o psichico o di obiettiva lontananza. Secondo il Tribunale di Napoli (sent. 3934/2017), che richiama un costante orientamento dei giudici di legittimità (cfr. ex multis, Cass. n. 16593/2008 e n. 24526/2010), l'eventuale pronuncia di affidamento esclusivo deve essere sorretta da una motivazione non solo più in positivo sulla idoneità del genitore affidatario, ma anche in negativo sulla inidoneità educativa ovvero manifesta carenza dell'altro genitoreIl genitore cui sono affidati i figli in via esclusiva, salva diversa disposizione del Giudice, ha l’esercizio esclusivo della responsabilità genitoriale su di essi. Tuttavia le decisioni di maggiore interesse per i figli devono essere adottate da entrambi i genitori.Vediamo adesso alcune decisioni sull'affidamento esclusivo. Per il Tribunale di Roma (sent. n. 11735/2017) chi si disinteressa economicamente ed emotivamente dei figli rischia di vedersi togliere l'affidamento dei minori;Il Tribunale di Torino (20 gennaio 2023, n. 205) ha disposto l'affido esclusivo, in quanto il padre aveva trascurato la relazione con la figlia, rendendosi poi irreperibile e mancando al dovuto mantenimento della stessa.Nell'ordinanza n. 16738/2018, la Corte di Cassazione ha ritenuto legittimo l'affido esclusivo della figlia minore alla madre in attesa che il padre, inaffidabile e disinteressato, recuperasse la funzione genitoriale.Sempre gli Ermellini avevano concluso in maniera simile nell'ordinanza 19836/2014, disponendo l'affido esclusivo al padre, in quanto la madre si era completamente disinteressata della bambina, trasferendosi altrove. La Cassazione con l'ordinanza del 19 Settembre 2022 n. 27348, ha ribadito la legittimità dell'affido esclusivo alla madre se il padre si rifiuta di comunicare con lei e non risponde alle sue mail e ai messaggi whatsapp.Questi esempi ci fanno comprendere come il tema si offra a speculazioni eterogenee e complesse, che, sicuramente, non preferiscono uno o l'altro dei genitori, ma che, invece, hanno come obiettivo il benessere psico - fisico del minore.

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