Avv. Ruggiero Gorgoglione
In tema di Superbonus ci si interroga sulla legittimità della delibera adottata con la maggioranza prevista dal Decreto Rilancio in materia di Superbonus per la realizzazione di un impianto centralizzato di acqua calda in un edificio in cui sono già presenti impianti autonomi.
Si ritiene innanzitutto che un’opera centralizzata in luogo di quella privata sia anch’essa lesiva della proprietà privata, richiedendo quindi il consenso espresso del singolo proprietario, per cui ad avviso dello scrivente non si potrà imporre al singolo proprietario la rimozione del proprio impianto.
Sull’illegittimità della delibera di realizzazione di impianti di acqua calda centralizzata in luogo di quelli autonomi si è altresì espresso il Tribunale di Milano (ordinanza Collegiale del 30.9.2021 R.G. 35338/2021) ritenendo che, qualora la spesa per l’impianto sia da dividersi tra tutti i condomini (per cui l’impianto sarà di proprietà di tutti), considerato che l’installazione centralizzata interessa le parti comuni, ciò comporterebbe di fatto la costituzione di un diritto reale sul fondo comune, per cui è necessario il consenso unanime di tutti i condomini ai sensi dell’art. 1108 III co. c.c.
Da ciò ne discende che la delibera adottata in merito senza il consenso di tutti i condomini è illegittima.
Avv. Ruggiero Gorgoglione
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27 apr. 2022 • tempo di lettura 1 minuti
Il riferimento normativo, relativo alla quota del trattamento di fine rapporto, in caso di crisi coniugale, è contenuto nell’articolo 12-bis della l. 898/1970 (comunemente conosciuta come Legge sul divorzio), che così dispone: “ Il coniuge nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze e in quanto sia titolare di assegno ai sensi dell'articolo 5, ad una percentuale dell'indennità di fine rapporto percepita dall'altro coniuge all'atto della cessazione del rapporto di lavoro anche se l'indennità viene a maturare dopo la sentenza. Tale percentuale è pari al quaranta per cento dell'indennità totale riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio”.La risposta all’interrogativo è, dunque, positiva: l ’ex coniuge divorziato ha diritto a percepire una quota del TFR, ma solo a determinate condizioni.Da una attenta lettura della disposizione soprariportata si evince che l’ex coniuge ha diritto ad ottenere la quota di TFR solo se: non ha contratto nuove nozze e solo quando è titolare di assegno di mantenimento periodico. Difatti, la corresponsione dell’assegno una tantum esclude tale diritto. E, ancora, all’ex coniuge spetta una quota pari al 40% del TFR, ma limitatamente agli anni che il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio.Avv. Luisa Camboni
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29 mar. 2022 • tempo di lettura 1 minuti
L’assegnazione della casa familiare rappresenta uno dei momenti delicati nella dinamica della crisi familiare. Il vigente dato normativo viene regolato e sintetizzato dall’art. 337-sexies c.c. La norma, introdotta dalla novella in materia di filiazione riproduce sostanzialmente il contenuto della precedente disposizione in materia di casa familiare e recepisce l’orientamento ormai consolidato secondo il quale l’assegnazione della casa familiare deve essere decisa in funzione del preminente interesse dei figli minori o non autosufficienti alla conservazione dell’ambiente nel quale si è svolta la vita della famiglia unita.L’orientamento maggioritario in Cassazione prevede che affinché il giudice possa disporre l’assegnazione della casa familiare ad uno dei genitori separati o divorziati è necessario che oltre alla casa vi sia l’affidamento di figli minorenni o la convivenza con figli maggiorenni, incolpevolmente privi di adeguati mezzi autonomi di sostentamento.La ratio dell’istituto è proprio quella della tutela dei figli e dell’interesse di questi ultimi a permanere nell’ambiente domestico in cui sono cresciuti.L’atto di assegnazione è di natura eccezionale e attribuisce all’assegnatario un diritto personale di godimento, idoneo a comprimere la posizione giuridica dell’avente diritto a prescindere dal titolo posseduto. In ogni caso l’assegnazione presenta un suo valore economico che deve essere preso in considerazione nella regolazione dei rapporti economici tra i coniugi.
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Egregio Avvocato
18 feb. 2021 • tempo di lettura 6 minuti
L’Italia sta vivendo, sin dai primi mesi del 2020, una situazione di emergenza sanitaria che ha inciso -ed inciderà- su tutti i settori della vita sociale ed economica di ogni cittadino e lavoratore.Tra i soggetti maggiormente colpiti dalle misure adottate per contenere il contagio Covid – 19 ci sono sicuramente i genitori separati o divorziati che devono garantire il contributo mensile a favore dei figli e/o del coniuge previsto in sede di separazione, divorzio o affidamento della prole nata fuori del matrimonio.Quali sono gli obblighi familiari di mantenimento?Quali sono le ripercussioni della pandemia nei confronti del genitore che provvede al versamento dell’assegno di mantenimento?È possibile modificare gli obblighi assunti in sede di separazione o divorzio a causa di un’improvvisa contrazione reddituale?Per ottenere la modifica dei provvedimenti economici nei confronti del coniuge e/o figli quale procedura si deve seguire?1 – Quali sono gli obblighi familiari di mantenimento?Nel momento in cui cessa il legame matrimoniale, e quindi in caso di separazione o divorzio (consensuali o giudiziali), possono derivare degli obblighi di mantenimento a carico di uno dei coniugi in favore dell’altro e/o dei figli (minori o maggiorenni non autosufficienti). L’assegno di mantenimento in favore del coniuge a seguito della separazione è disciplinato dall’art. 156 c.c., e consiste in una prestazione pecuniaria periodica che non richiede, a differenza degli alimenti ex artt. 443 e seguenti c.c., la sussistenza di uno stato di bisogno economico del coniuge beneficiario.La ratio della disposizione è individuata nella tutela del coniuge più debole ed è espressione della solidarietà coniugale e ha, pertanto, funzione assistenziale: il coniuge obbligato al pagamento dell’assegno è colui che versa nelle condizioni economiche migliori, indipendentemente dalla circostanza che sia responsabile o meno della crisi del matrimonio. Accanto all’assegno in favore del coniuge, l’obbligo del mantenimento può essere posto anche in favore dei figli minori e maggiorenni non economicamente autosufficienti. Gli artt. 337 bis e seguenti c.c. dettano la disciplina in ordine ai provvedimenti riguardanti i figli, applicabile anche ai procedimenti di scioglimento, cessazione degli effetti civili o nullità del matrimonio, nonché ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati.Ai sensi degli artt. 315 bis e 316 bis c.c., i coniugi hanno l’obbligo di mantenere, istruire ed educare i figli, tenendo conto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni e, a tali fini, il giudice che pronuncia la separazione fissa la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento degli stessi. Ed ancora, ai sensi del IV comma dell’art. 337 ter c.c. nella determinazione dell’assegno di mantenimento, il Giudice deve tener conto dei parametri indicati dall’art. 337 ter comma IV c.c., ovvero: 1) le attuali esigenze del figlio; 2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori; 3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore; 4) le risorse economiche di entrambi i genitori; 5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore. Tali parametri di legge servono a garantire che il minore non venga pregiudicato nella sua crescita e formazione a causa della crisi o rottura dell’unione tra i genitori.2 - Quali sono le ripercussioni della pandemia nei confronti del genitore che provvede al versamento dell’assegno di mantenimento?La profonda crisi, economica, sociale ed umanitaria determinata dal Covid-19, appare senza dubbio una situazione, da doversi inquadrare nell'ottica della straordinarietà e dell'imprevedibilità, che ha generato una pesante crisi economica mondiale che durerà ben oltre la risoluzione della pandemia. Infatti, la chiusura forzata di tutte quelle attività definite “non essenziali” ha generato ingenti ripercussioni anche nei confronti dei genitori separati o divorziati, i quali, stanno riscontrano difficoltà nel garantire la corresponsione dell’importo previsto in sede di separazione o divorzio o di affidamento della prole nata fuori del matrimonio, quale contributo mensile a favore dei figli e/o del coniuge.A seguito dei numerosi Dpcm, le attività definite “non essenziali”, come bar, ristoranti, pizzerie, palestre, discoteche, ecc., sono state chiuse dal 9 marzo al 18 maggio con ovvie conseguenze pregiudizievoli sul piano finanziario e reddituale. Successivamente, il ministro della salute Speranza, ha attuato nuove disposizioni restrittive prevedendo la suddivisione delle regioni in base a tre colori: zona rossa, arancione e gialla. Tale suddivisione ha generato ulteriori difficoltà economiche e in mancanza di uno specifico intervento da parte del Governo o del Legislatore sul punto, il soggetto obbligato è tenuto a far fronte all’obbligo di mantenimento anche in caso di estrema difficoltà. Non è quindi consentito di interrompere o ridurre la corresponsione dell’assegno di mantenimento in via autonoma. Ricordiamo che il mancato versamento dell’assegno di mantenimento determina conseguenze sia dal punto di vista civile, sia sotto il profilo penale.Nell’attuale scenario, privo di una normativa che possa regolamentare questa situazione di emergenza e di eccezionalità, è di fondamentale importanza il richiamo al buon senso comune delle parti familiari, evitando strumentalizzazioni della pandemia sia da parte dell’obbligato sia da parte del beneficiario. 3 - È possibile modificare gli obblighi assunti in sede di separazione o divorzio a causa di un’improvvisa contrazione reddituale?Tutti i provvedimenti relativi ai rapporti tra gli ex coniugi e nei confronti dei figli possono essere modificati qualora mutino le condizioni che li hanno determinati.Le statuizioni in tema di diritto matrimoniale hanno valore rebus sic stantibus in quanto la decisione del tribunale e gli accordi omologati dai coniugi, trovano il proprio fondamento nei presupposti di fatto che hanno dato luogo alle relative decisioni. Questo implica che, al mutamento dei presupposti che avevano fondato le decisioni pregresse, è possibile la modifica dei provvedimenti stessi. Possono, quindi, essere modificati sia i provvedimenti che riguardano i rapporti tra i coniugi sia i provvedimenti che riguardano la prole.La pandemia, infatti, è un fatto sopravvenuto ed oggettivo indipendente dalla volontà delle parti coinvolte, che sicuramente rientra tra i “fatti nuovi” rispetto all’epoca in cui il provvedimento è stato emanato, e come tale configura “giustificato motivo”, che legittima la revisione dell’assegno di mantenimento.Sarà necessario accertare in concreto se la crisi dovuta dalla pandemia abbia comportato (e comporterà) una ridotta capacità di produrre reddito, tale da creare uno squilibrio tra le parti rispetto alle condizioni precedenti, rilevando in tal senso il tipo di lavoro dipendente o autonomo svolto dal soggetto.In ogni caso, nell’accertamento della situazione economica, occorrerà tenere conto del quadro complessivo della situazione economica e, quindi, non solo dei redditi e dei ricavi, ma anche dell’intero ammontare del patrimonio a disposizione.4 - Per ottenere la modifica dei provvedimenti della separazione o del divorzio quale procedura si deve seguire?Per ottenere la revisione dell’assegno di mantenimento sarà necessario provare il peggioramento delle condizioni economiche, attraverso il raffronto con quelle del periodo precedente l’epidemia, e che la riduzione attuale, e proiettata nel futuro, incide in maniera rilevante sull’assetto economico e patrimoniale esistente al momento della separazione o del divorzio. La revisione potrà essere ottenuta depositando ricorso giudiziale o congiunto di modifica delle condizioni di separazione ex art. 710 c.p.c. o di divorzio ex art. 9 l. 898/70, mentre nel caso di genitori non coniugati sarà possibile chiedere la revisione del provvedimento riguardante la prole, ai sensi dell’art. 337 quinquies c.c., giudizialmente o congiuntamente.Nel caso di giudizi ancora pendenti, si potrà depositare al giudice istruttore istanza per la modifica del provvedimento in vigore ai sensi dell’art. 709 comma IV c.p.c.Editor: avv. Elisa Calviello
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Egregio Avvocato
11 nov. 2021 • tempo di lettura 6 minuti
Un tema certamente attuale e delicato e che da anni è al centro del dibattito socio – politico in Italia è quello riguardante il “fine vita”.Nel corso degli ultimi anni diversi sono stati i casi finiti al centro dell’attenzione mediatica e solamente nel 2017 è stato compiuto un primo passo legislativo in tal senso.Difatti, la Legge n. 219 del 2017 reca le “norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento” ed è nota come legge sul Biotestamento.Tuttavia, questo intervento legislativo non è stato del tutto esaustivo sul tema, in quanto la libertà di scelta sul “fine vita” è concessa esclusivamente a quei pazienti per cui risulti sufficiente l’interruzione delle terapie. Invece, per tutti coloro i quali soffrano di patologie irreversibili e/o che siano impossibilitati ad assumere farmaci autonomamente non vi è alcuna possibilità di scelta, poiché si ricadrebbe nell’ipotesi di reato di cui all’articolo 579 del codice penale, rubricato “omicidio del consenziente”.In attesa di scoprire cosa accadrà con il referendum sull’eutanasia legale, è opportuno ricordare che, ad ogni modo, la Legge 219/2017 rappresenta comunque un primo fondamentale punto di partenza, in particolare per aver introdotto e disciplinato il consenso informato all’intervento medico.Il consenso informato all’intervento medico: cos’è? Due ipotesi particolari: il consenso informato nelle urgenze e quello del minoreIl dissenso informatoIl fine vita in Italia. Eutanasia, suicidio medicalmente assistito e DAT1 - Il consenso informato all’intervento medico: cos’è?L’articolo 1 della già citata Legge 219/2017 precisa che il consenso informato medico è il processo con cui il paziente decide in modo libero e autonomo dopo che gli sono state presentate una serie specifica di informazioni, rese a lui comprensibili da parte del medico o equipe medica, se iniziare o proseguire il trattamento sanitario previsto.Si può, quindi, affermare che per acquisizione del consenso informato si possa intendere l’espressione, da parte del paziente, dell’assenso, della modifica o della revoca al trattamento sanitario prospettato dal medico.Stante la particolare delicatezza del tema, non si tratta di un puro e semplice assenso a un dato intervento medico o a uno specifico trattamento sanitario, bensì di un consenso che richiede un’adeguata informazione, la quale deve comprendere anche l’indicazione di tutte le eventuali alternative terapeutiche possibili, del rischio di potenziali complicanze e così via.Per quanto riguarda, invece, la forma del consenso informato, occorre precisare che non esistono obblighi circa la sua acquisizione per iscritto, sebbene sia indubbio che potrebbero sorgere serie problematiche, da un punto di vista probatorio in un eventuale giudizio, se l’acquisizione avvenga in forma orale.2 - Due ipotesi particolari: il consenso informato nelle urgenze e quello del minoreÈ, quindi, necessario, prima di sottoporre un paziente a qualsivoglia cura, acquisire il consenso informato dello stesso. Sorgono, tuttavia, delle perplessità circa l’ipotesi di un caso d’urgenza, in cui, per ovvie ragioni, non è sempre possibile avere il tempo necessario per fornire l’adeguata informazione al paziente, indispensabile per ottenere il suo consenso informato a norma di legge.In queste ipotesi, certamente la prima valutazione da compiere è relativa alle effettive condizioni del paziente. Difatti, se questi è cosciente e lucido, il suo consenso andrà necessariamente richiesto ed acquisito, seppure anche in forma sintetica o solamente verbale.Viceversa, laddove il paziente non dovesse essere cosciente, sebbene senza il consenso informato il medico non potrebbe compiere alcun intervento terapeutico, è altrettanto vero che in situazioni di urgenza in cui il paziente è incosciente non è concretamente possibile acquisire il suo consenso in ordine alle cure.Sul punto è ormai consolidato l’orientamento della dottrina in base al quale fonda l’esonero eccezionale dall’obbligo di acquisizione del consenso su quanto previsto dall’articolo 54 del codice penale, secondo cui non è possibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo. Altro problema che ci si è posti con riguardo all’obbligo gravante sul medico di acquisire il consenso del proprio paziente alle cure è quello in cui quest’ultimo sia minorenne. In particolare, ci si domanda se, in questi casi, il consenso informato vada dato dal paziente stesso o da chi eserciti sullo stesso la potestà. Generalmente, va ricordato che il nostro ordinamento giuridico non considera il minore del tutto capace di comprendere le conseguenze che possono derivare da un trattamento terapeutico, con la conseguenza che si rende necessaria l’acquisizione del consenso da parte dei genitori o di chi ne fa le veci. Tuttavia, è in ogni caso indispensabile che vi sia un coinvolgimento del minore, specie nel caso in cui questi sia maturo e in grado di comprendere le terapie proposte.3 - Il dissenso informatoRifiutare le cure è un diritto del paziente. Ma cosa può fare il medico nell’ipotesi in cui il rifiuto alle cure rischi di pregiudicare gravemente la salute del paziente?Certamente sono da escludere interventi coercitivi, ma è consigliabile che il medico acquisisca il c.d. dissenso informato. In altre parole, il paziente deve essere informato non solamente dei pregiudizi che un determinato trattamento sanitario potrebbe comportare, ma anche di tutte le potenziali conseguenze che possano derivare dal rifiuto consapevole alle cure, acquisendo su di sé tutte i rischi che derivano dal dissenso.Sul punto è intervenuta anche la giurisprudenza, la quale ha riconosciuto che il consenso informato ha come contenuto concreto la facoltà non solo di scegliere tra le diverse possibilità di trattamento medico, ma anche eventualmente di rifiutare la terapia e di decidere consapevolmente di interromperla. Va dunque riconosciuto al paziente un vero e proprio diritto di non curarsi, anche se tale condotta lo esponga al rischio stesso della vita, mentre al medico non è attribuibile un generale “diritto di curare” a prescindere dalla volontà dell’ammalato.4 - Il fine vita in Italia. Eutanasia, suicidio medicalmente assistito e DATCome è noto, le tematiche inerenti al “fine vita” in Italia sono, da sempre oggetto di discussioni socio – politiche.Cosa s’intende per eutanasia? Con questo termine si ricomprendono tutti gli interventi medici che prevedono la somministrazione diretta di un farmaco letale al paziente che ne faccia richiesta e soddisfi tutta una serie di requisiti.Ad oggi, l’eutanasia è vietata in Italia.Tuttavia, a seguito della sentenza n. 242 del 2019 della Corte costituzionale è possibile richiedere il c.d. suicidio medicalmente assistito. Si tratta, in sostanza, dell’aiuto indiretto a morire da parte di un medico.Tuttavia, per richiederlo sono necessarie quattro condizioni: 1) la persona che ne fa richiesta deve essere pienamente capace di intendere e di volere; 2) deve avere una patologia irreversibile; 3) tale patologia deve essere portatrice di gravi sofferenze fisiche o psichiche; 4) la persona che ne fa richiesta sopravvive grazie esclusivamente a trattamenti di sostegno vitale.Attualmente, nel nostro ordinamento giuridico il “fine vita” è disciplinato esclusivamente dalla già citata Legge n. 219 del 2017, la quale all’articolo 4 disciplina la c.d. disposizione anticipata di trattamento o DAT.In particolare, si prevede che ogni persona maggiorenne e capace di intendere e volere può, nelle disposizioni anticipate di trattamento, esprimere la propria volontà in materia di trattamenti sanitari, indicando un fiduciario che lo rappresenti. Si tratta di una scelta che può essere effettuata attraverso un documento, comunemente definito testamento biologico o biotestamento, in cui ciascun individuo può dare disposizioni in merito a quali cure ricevere nel fine vita, ad esempio per evitare accanimento terapeutico, oppure definire le modalità della sua sepoltura e dare il consenso all’espianto degli organi.Editor: avv. Marco Mezzi
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