Avv. Ruggiero Gorgoglione
Il riformato art. 70 disp. att. c.c. prevede che per le infrazioni al regolamento di condominio può essere stabilito, a titolo di sanzione, il pagamento di una somma di massimo 200 euro e, in caso di recidiva, fino a 800 euro.
E' quindi innanzitutto necessario che il regolamento condominiale disciplini le violazioni alle quali conseguirebbe il trattamento sanzionatorio individuando il trattamento sanzionatorio stesso.
Per quanto concerne invece l'applicazione concreta della sanzione prevista nel regolamento, con la modifica introdotta con il Decreto Destinazione Italia del 2013 è stato esplicitato che la sanzione debba essere deliberata dall'assemblea con le maggioranze di cui all'art. 1136 c.c.
La sanzione di importo superiore a quella prevista dalla norma è nulla, così come è nulla la delibera assembleare nella quale viene adottata la sanzione in contrasto con i limiti dettati dalla norma.
I destinatari della sanzione sono i condomini, per cui non potendosi fare applicazione analogica della norma, non può essere irrogata una sanzione diretta nei confronti dei conduttori o dei detentori dell'immobile.
Infine, la norma prevede che quanto ricavato dalle sanzioni irrogate, venga utilizzato per le spese ordinarie di gestione.
Avv. Ruggiero Gorgoglione
WR Milano Avvocati
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28 dic. 2021 • tempo di lettura 2 minuti
Proprio in questi periodi di festivitá assistiamo a richieste di regali da parte dei nostri figli che sono sempre piú tecnologici. Spesso, addirittura, tali giocattoli richiedono una registrazione online che comporta la comunicazione di dati sensibili (exempli gatia, il nome o l´etá), con possibili problemi legati al trattamento degli stessi. Ne deriva - almeno in via del tutto teorica - un notevole rischio per la privacy dei minori, che dovrebbe sempre essere tutelata. Cosa possiamo allora fare per proteggere i nostri figli da possibili rischi? Preliminarmente, va osservato che il Regolamento UE/2016/679 in materia di protezione dati prevede che i sistemi elettronici siano prodotti e configurati per ridurre al minimo la raccolta e il trattamento di dati personali. Tale prescrizione deve, pertanto, essere sempre rispettata dai produttori. Inoltre, prima di fornire dati personali del nostro bambino, é opportuno leggere con attenzione l’informativa sul trattamento dei dati personali raccolti, che dovrebbe sempre essere disponibile nella confezione e/o pubblicata sul sito dell’azienda produttrice. Infine, pochi piccoli accorgimenti possono diminuire le potenziali fonti di rischio: dopo aver attivato la la connessione a Internet del gioco, bisogna fornire solo le informazioni strettamente necessarie per la registrazione ed eventualmente utilizzare pseudonimi per gli account;é prudente limitare la possibilità di raccolta e memorizzazione di dati da parte del giocattolo, disattivando strumenti di rilevazione che possono risultare non indispensabili per il funzionamento (come ad esempio la geolocalizzazione);bisogna evitare di concedere autorizzazioni (quali accesso alla memoria, al microfono) se non sono strettamente necessarie per il funzionamento del giocattolo. In ogni caso, è importante informarsi sempre su chi e come potrebbe utilizzare i dati raccolti;infine, onde evitare intrusione di malintenzionati attraverso la rete, é buona prassi impostare una password di acesso tale da garantire la sicurezza del giocattolo. Come si puó dedurre, con pochi e facili accorgimenti possiamo garantire la totale sicurezza dei nostri figli, permettendo loro di giocare con quello strumento elettronico tanto desiderato e che deve continuare a rappresentare un´occasione di crescita intellettiva e psicologica del minore. Il crimine cibernetico non va in vacanza: Non dimentichiamolo mai! Prof. Avv. Domenico Lamanna Di Salvo MATRIMONIALISTA - DIVORZISTA - CURATORE SPECIALE DEL MINORE
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2 mag. 2025 • tempo di lettura 3 minuti
Con mantenimento diretto ci si riferisce a quella forma di assistenza economica che il genitore separato dà ai propri figli non versando un assegno periodico, ma provvedendo direttamente a soddisfare le loro esigenze. Si tratta di una modalità di sostegno che contribuisce a una piena attuazione del principio della bigenitorialità in quanto, in sostanza, crea una situazione il più possibile simile a quella di una famiglia unita.Ciò premesso, tale forma di mantenimento non è stata in passato particolarmente apprezzata dalle Corti italiane. Ed invero, Giurisprudenza di legittimità osserva che "il coniuge - divorziato o separato - ha diritto ad ottenere, iure proprio, dall'altro coniuge, il contributo per mantenere il figlio minorenne o maggiorenne convivente, non in grado di procurarsi autonomi mezzi di sostentamento (Cass. 11863 del 25 giugno 2004), e l'affidamento congiunto del figlio ad entrambi i genitori - previsto dall'articolo sei della legge sul divorzio (1 dicembre 1970, numero 898, come sostituito dall'articolo 11 della legge 6 marzo 1987, numero 74), analogicamente applicabili anche alla separazione personale dei coniugi - è istituto che, in quanto fondato sull'esclusivo interesse del minore, non fa venir meno l'obbligo patrimoniale di uno dei genitori di contribuire, con la corresponsione di un assegno, al mantenimento dei figli, in relazione alle loro esigenze di vita, sulla base del contesto familiare e sociale di appartenenza, rimanendo per converso escluso che l'istituto stesso implichi, come conseguenza "automatica", che ciascuno dei genitori debba provvedere paritariamente, in modo diretto e autonomo, alle predette esigenze, principio confermato nelle nuove previsioni della legge 8 febbraio 2006, numero 54, in tema di affidamento condiviso (Cass. n. 26060 del 10/12/2014; Cass. n. 16376 del 29/07/2011; Cass. n. 18187 del 18//8/2006").Anche la sentenza della Cassazione n. 16739 del 6 agosto 2020 ribadisce lo stesso concetto: "l'obbligo di mantenimento del minore da parte del genitore non collocatario deve far fronte ad una molteplicità di esigenze, non riconducibili al solo obbligo alimentare, ma estese all'aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario, sociale, all'assistenza morale e materiale, alla opportuna predisposizione di una stabile organizzazione domestica, idonea a rispondere a tutte le necessità di cura e di educazione, secondo uno standard di soddisfacimento correlato a quello economico e sociale della famiglia, di modo che si possa valutare il tenore di vita corrispondente a quello goduto in precedenza.".Dello stesso tono Cass. n. 1722 del 16 giugno 2021, secondo cui il mantenimento diretto non sarebbe conciliabile con il regime dell'affido condiviso. Questa interpretazione non è ben accetta alla dottrina più attenta, che non ha mancato di sollevare pesanti critiche a questa impostazione anacronistica.Ultimamente, però, attenta Giurisprudenza di merito sembra aver rivisto le proprie posizioni.Apripista in questo senso è stato il Tribunale di Perugia, che già nel lontano 2012, sottolineava che il mantenimento diretto era l'unico strumento per realizzare pienamente un affido condiviso, sottolineando che "se il figlio passa lo stesso tempo a turno con entrambi i genitori va revocato l’assegno di mantenimento previsto, in via provvisoria, a carico del padre in favore della madre". Anche il Tribunale di Alessandria (Trib. Alessandria 31.05.2022) ribadiva questo concetto, supportandolo con il fatto che esso realizza pienamente l'idea di bigenitorialità che permea il nostro diritto di famiglia.Anche la Suprema Corte, in una recente sentenza, sembra aver recepito questo orientamento, il che lascia ben sperare che nel futuro - si psera prossimo - gli Ermellini possano davvero decidere un cambio di rotta che non solo corrisponde ad una diffusa logicità, ma che anche appare potenzialmente in grado di eliminiare (o, quanto meno, ridurre) il contenzioso di famiglia. Non dimentichiamo, infatti, che obbligazioni di pagamento (spesso confuse come rendite vitalizie) diventano un incentivo a cause di divorzio che hanno come unico scopo quello di garantirsi un'entrata fissa.Cosa accade, quando il figlio diventa maggiorenne? Ne parleremo nel prossimo articolo.
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21 feb. 2022 • tempo di lettura 6 minuti
L’adozione dei minori è uno strumento che ha lo scopo primario di procurare una famiglia ai minori che ne siano privi o che non ne abbiano una idonea.La materia è disciplinata dalla legge 4 maggio 1983, n. 184, denominata “Diritto del minore ad avere una famiglia”.In questo contributo esamineremo la c.d. “adozione legittimante”, la quale fa venire meno ogni legame tra la famiglia di origine ed il minore, che acquista lo stato di figlio nato nel matrimonio dei genitori adottivi. Premessa: la priorità del diritto del minore di crescere nella propria famigliaLa dichiarazione dello stato di adottabilità del minoreRequisiti degli adottantiIndicazioni “operative” per la coppia che intende adottare1 - Premessa: la priorità del diritto del minore di crescere nella propria famigliaSecondo il combinato disposto degli artt. 1 e 5 della l. 184/1983, “il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia”, senza distinzioni di sesso, etnia, età, lingua o religione e “nel rispetto della [sua] identità culturale”. Da queste norme si ricava che il diritto del minore di crescere nella propria famiglia è prioritario e che l’adozione è un rimedio eccezionale a situazioni di emergenza: si tratta di uno strumento per sottrarre il minore ad una situazione grave e patologica, tramite la sostituzione della famiglia d’origine con una nuova famiglia.La legge, pertanto, individua, da un lato, i presupposti in presenza dei quali il minore viene dichiarato “adottabile” e, dall’altro lato, i meccanismi selettivi tramite i quali selezionare le famiglie idonee all’adozione.2 - La dichiarazione dello stato di adottabilità del minoreIn primo luogo, affinché possa aver luogo l’adozione, è necessario che il tribunale per i minorenni dichiari il minore “in stato di adottabilità”. Questa dichiarazione è ammessa nei confronti dei minori che si trovino “in situazioni di abbandono”. L’art. 8 l. 184/1983 precisa che questa situazione ricorre quando il minore sia “privo di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi”. È importante precisare che non dà luogo a situazione di abbandono la condizione di indigenza della famiglia: la legge prevede, infatti, che lo Stato e gli enti locali sostengano i nuclei familiari a rischio proprio al fine di prevenire situazioni di abbandono dei minori. Una volta ricevuta la segnalazione dello stato di abbandono in cui si trovi un minore, il tribunale per i minorenni deve assicurare ai genitori il diritto di difesa e compiere gli opportuni accertamenti. Più in particolare, la dichiarazione di adottabilità viene pronunciata, con sentenza, solo se:i genitori e i parenti, pur convocati dal tribunale, non si sono presentati senza addurre un giustificato motivo;i genitori e i parenti si sono presentati innanzi il tribunale ma la loro audizione ha confermato il persistere della situazione di abbandono;i genitori non hanno adempiuto alle prescrizioni eventualmente impartite loro nel corso del procedimento ovvero è provata l’irrecuperabilità delle capacità genitoriali dei genitori in un tempo ragionevole.Con la pronuncia dello stato di adottabilità, viene sospesa la responsabilità genitoriale dei genitori e il giudice nomina un tutore al minore.A questo punto, il minore viene collocato in affidamento preadottivo presso la coppia ritenuta idonea (che deve avere i requisiti che a breve indicheremo). Se il minore ha già compiuto 14 anni, è necessario anche che egli presti il consenso alla coppia prescelta. Se, invece, il minore ha compiuto gli anni 12 anni o sia abbastanza maturo da avere una autonoma capacità di discernimento, la sua audizione è solo facoltativa.Con l’affidamento preadottivo si instaura una sorta di adozione provvisoria, che deve durare almeno un anno. In caso di esito favorevole della prova, il tribunale pronuncia la sentenza di adozione: per effetto della sentenza, il minore acquista lo status di figlio nato nel matrimonio degli adottanti, dei quali assume e trasmette il cognome. 3 - Requisiti degli adottantiI soggetti interessati all’adozione devono avere due requisiti fondamentali.Devono essere uniti in matrimonio da almeno tre anni (o aver stabilmente e continuativamente convissuto, prima del matrimonio, per almeno tre anni), non separati nonché idonei e capaci di educare, istruire e mantenere i minori che intendono adottare. Ne consegue che, in Italia, non è ammessa l’adozione da parte di una persona sola né da parte di coppie di conviventi more uxorio. L’età degli adottanti deve superare di almeno diciotto anni l’età dell’adottato ma non deve superarla di più di quarantacinque anni. Questa regola subisce delle deroghe:Le deroghe alla differenza di età sono ammesse:quando il tribunale accerti che dalla mancata adozione derivi un danno grave e non altrimenti evitabile per il minore;quando il limite dei 45 anni sia superato da uno solo dei coniugi nella misura non superiore a 10 anni;quando gli adottanti siano genitori di figli nati fuori dal matrimonio o adottivi dei quali almeno uno sia minorenne;quando l’adozione riguardi un fratello o una sorella del minore già dagli stessi coniugi adottato. 4 - Indicazioni “operative” per la coppia che intende adottareLa coppia di coniugi che intenda adottare un minore deve presentare una domanda presso il tribunale per i minorenni, la cui cancelleria generalmente fornisce i moduli necessari allo scopo. La coppia può inoltrare più domande, anche successive, a più tribunali per i minorenni, purché ne dia comunicazione a tutti i tribunali.La domanda di adozione si sostanzia in una dichiarazione di disponibilità ad adottare un bambino dichiarato adottabile dal tribunale, specificando se vi è la disponibilità ad adottare più fratelli o minori portatori di handicap. Alla domanda devono essere allegati alcuni documenti tra i quali, ad esempio, il certificato di nascita dei richiedenti, lo stato di famiglia, il certificato del medico di medicina generale che attesti la buona salute di entrambi i coniugi, la dichiarazione che attesti lo stato di non separazione dei coniugi.La domanda decade dopo tre anni dalla presentazione ma può essere rinnovata.Una volta ricevuta la domanda della coppia, il tribunale per i minorenni svolge delle indagini – da concludersi entro 120 giorni ma prorogabili sino ad altri 120 giorni – con l’aiuto dei servizi socio assistenziali per verificare la sussistenza dei requisiti richiesti dalla legge (quindi i requisiti di età, di stabilità del rapporto tra i coniugi, la capacità di educare il minore) nonché la situazione personale ed economica, la salute, l’ambiente familiare dei richiedenti, i loro motivi.Sulla base delle indagini effettuate, il tribunale sceglie, tra le coppie che hanno presentato domanda, quella maggiormente idonea a provvedere alle esigenze del minore.A questo punto, dopo aver disposto l’audizione del pubblico ministero, dei genitori dei richiedenti, del minore che ha compiuto i 12 anni e anche del minore di età, in considerazione della sua capacità di discernimento, il tribunale per i minorenni dispone l’affidamento preadottivo alla coppia prescelta.Il tribunale continua a vigilare sull’affidamento preadottivo, anche avvalendosi del giudice tutelare e dei servizi locali sociali e consultoriali nonchè adottando i provvedimenti che si rendano necessari in caso di difficoltà nel rapporto di convivenza tra gli affidatari ed il minore.Segnaliamo che, a seconda del tribunale presso il quale si presenta la domanda, i documenti che la corredano possono variare: sarà dunque opportuno che si acquisiscano informazioni prima di inoltrarla.Editor: dott.ssa Elena Pullano
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Egregio Avvocato
22 set. 2023 • tempo di lettura 1 minuti
In materia di affidamento dei figli è importante sottolineare come il Giudice sia tenuto a valutare e garantire il supremo interesse del minore, sia dal punto di vista morale che giuridico. Ciò può comportare l'adozione di provvedimenti contenitivi o restrittivi quali l'affido superesclusivo all'altro genitore.Nel caso di specie, la Cassazione ha confermato tale orientamento,rilevando "tanto un'importante compromissione delle funzioni genitoriali" della madre relativamente alla capacità di garantire l'accesso all'altro genitore, quanto l'esistenza di un fattore di rischio evolutivo per i bambini derivante dal dualismo tra l'immagine del padre che hanno interiorizzato, a seguito della demolizione della sua figura messa in atto dalla madre, e l'esperienza concreta che del medesimo genitore fanno nella quotidianità. Giusto, pertanto, l'affido superesclusivo all'altro genitore, ma solo ed esclusivamente nel supremo interesse del minore.Condiviamo la sentenza in oggetto, che seppur con un provvedimento "estremo" tutela il best interest of the child, in questo caso leso dalla demolizione della figura genitoriale paterna.Prof. Avv. Domenico Lamanna Di Salvo Matrimonialista - Divorzista - Curatore Speciale del Minore
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