Egregio Avvocato
Pubblicato il 21 giu. 2021 · tempo di lettura 6 minuti
La rapida diffusione della tendenza di condurre le pratiche commerciali sul web ha portato la giurisprudenza di legittimità a interrogarsi sulla configurabilità della circostanza aggravante della c.d. minorata difesa in relazione alle ipotesi delittuose di truffa perpetrate online. Cerchiamo dunque di fornire la definizione di ‘minorata difesa’ e di analizzare i presupposti che ad avviso della Corte di cassazione devono sussistere ai fini del riconoscimento dell’aggravante in caso di truffa online.
1 - Quali sono gli elementi costitutivi del reato di truffa?
Abbiamo già avuto l’occasione di affrontare l’argomento del reato di truffa perpetrato attraverso l’utilizzo di mezzi telematici (se sei interessato clicca qui per saperne di più). Per quanto qui di interesse – vale a dire l’applicabilità della circostanza aggravante della c.d. minorata difesa – sarà dunque sufficiente menzionare concisamente gli elementi costitutivi della disposizione incriminatrice.
Nel codice penale, la c.d. truffa online – nella quale una persona potrebbe incorrere navigando in internet – non trova collocazione in una fattispecie delittuosa ad hoc, ma può essere sussunta nel ‘tradizionale’ reato di truffa di cui all’art. 640 c.p. La peculiarità della truffa online risiede semplicemente nel luogo di verificazione della condotta illecita e, quindi, delle relative modalità di manifestazione del reato: gli artifizi e i raggiri, difatti, si concretizzano attraverso l’utilizzo del web.
La regolamentazione predisposta dal legislatore penale, tuttavia, è sempre la medesima. L’art. 640 c.p., infatti, prevede in ogni caso la pena detentiva da sei mesi a tre anni e una multa compresa tra 51 e 1.032 euro per colui il quale, attraverso artifizi o raggiri, induca taluno in errore provocando per sé o per altri un profitto ingiusto e, specularmente, arrecando un danno all’altra persona.
Affinché il reato possa dirsi consumato, quindi, è necessario che la condotta truffaldina (gli artifizi o i raggiri) induca dapprima in errore la vittima, la quale è così portata ad avere un comportamento che altrimenti non avrebbe tenuto; da ciò deve derivarne, da un lato, un danno, che secondo l’opinione prevalente deve essere di natura patrimoniale, e dall’altro un profitto ingiusto, che invece può essere inteso anche in un senso non strettamente economico.
2 - La circostanza aggravante della c.d. minorata difesa
Con l’appellativo ‘minorata difesa’ si fa riferimento a una circostanza aggravante comune e ad efficacia comune – ossia che determina un aumento sino a un terzo della pena che dovrebbe essere inflitta per il reato ‘semplice’ – prevista dall’art. 61, co. 1 n. 5 c.p., che più specificatamente prescrive l’aggravamento di pena per “aver approfittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all’età, tali da ostacolare la pubblica o la privata difesa”.
La circostanza aggravante, in altre parole, concerne una serie di situazioni legate a fattori ambientali o personali di cui il soggetto attivo del reato approfitta consapevolmente al fine di trarre in inganno la vittima. Così, ad esempio, il caso in cui si compia una truffa a danno di una persona che versi in uno stato fisico o psichico di particolare debolezza o, come vedremo nel paragrafo successivo, qualora il reato venga commesso approfittando delle peculiari condizioni di operatività del web.
Come previsto espressamente dalla disposizione, inoltre, non è necessario che la difesa della persona offesa sia completamente impedita, ma è sufficiente che venga soltanto ostacolata.
3 - Truffa online e minorata difesa: la posizione della giurisprudenza di legittimità
La configurabilità della circostanza aggravante della minorata difesa con riferimento all’ipotesi delittuosa della truffa perpetrata online è stata più volte oggetto di attenzione da parte della giurisprudenza di legittimità. Specialmente negli ultimi anni – in ragione della repentina diffusione delle pratiche commerciali sul web – la Corte di cassazione ha affrontato la questione in svariate occasioni.
I giudici di legittimità, nel riconoscere la potenziale sussistenza della circostanza aggravante in caso di truffa online, hanno identificato quale elemento dirimente ai fini dell’integrazione della minorata difesa la costante distanza intercorrente tra venditore e acquirente, i quali, operando tramite internet, si trovano in luoghi fisici diversi e, con ogni probabilità, molto distanti tra loro [così Cass. pen., sez. II, ud. 14 ottobre 2020 (dep. 13 gennaio 2021), n. 1085, nonché più di recente Cass. pen., sez. II, 14 gennaio 2021 (dep. 31 marzo 2021), n. 12427].
La distanza nella contrattazione, a ben vedere, pone il venditore in una posizione di vantaggio rispetto al soggetto acquirente, il quale, non avendo la possibilità di visionare personalmente il prodotto, per concludere la trattativa deve fidarsi delle immagini che gli vengono messe a disposizione. Inoltre, il venditore, utilizzando gli strumenti informatici e telematici, può schermare la propria identità, nonché sottrarsi con facilità alle conseguenze della propria condotta truffaldina.
È di tutta evidenza, dunque, come le peculiarità della contrattazione telematica – determinando un ostacolo nella privata difesa – consentono il riconoscimento della circostanza aggravante di cui all’art. 61, co. 1 n. 5 c.p.
Con riferimento alla condizione di ricorrenza dell’aggravante in questione – vale a dire la distanza nella contrattazione condotta tra acquirente e venditore – è tuttavia necessaria una specificazione. La distanza, come detto, deve essere costante, ossia deve permanere per tutta la durata delle trattative. Qualora ciò non avvenga – come sostenuto dalla Corte di cassazione – non potrebbe dirsi integrata l’aggravante della minorata difesa [ancora Cass. pen., sent. n. 1085/2020, che non ha riconosciuto la sussistenza dell’aggravante]. È l’ipotesi, ad esempio, della contrattazione iniziata su piattaforme telematiche e poi proseguita anche attraverso incontri di persona. In un caso del genere, evidentemente, verrebbe meno la posizione di svantaggio in cui versa il potenziale acquirente all’inizio della trattativa condotta online.
4 - Quali sono le conseguenze derivanti dalla sussistenza della circostanza aggravante?
Dal riconoscimento della circostanza aggravante di cui si discute discendono una serie di conseguenze particolarmente significative in punto di contestazione del reato di truffa.
Quella più evidente, anzitutto, riguarda il trattamento sanzionatorio del reato, la cui cornice edittale, ai sensi dell’art. 640, co. 2 c.p. si innalza nella pena detentiva sino a un massimo di cinque anni e nella multa sino a 1.549 euro.
In virtù dell’art. 131-bis, co. 2 c.p., che menziona espressamente la circostanza della minorata difesa, il fatto di reato non può essere considerato di particolare tenuità e, pertanto, non è incluso nell’ambito applicativo della causa di esclusione della punibilità.
Da un punto di vista processuale, poi, il reato diviene procedibile d’ufficio e non più in funzione della querela presentata dalla persona offesa. Ai sensi dell’art. 278 c.p.p., inoltre, differentemente dalla regola generale si tiene conto della minorata difesa nella determinazione della pena ai fini dell’applicazione delle misure cautelari. Da ciò ne discende, sempre con riferimento alla truffa, che innalzandosi la pena detentiva massima sino a cinque anni potrà essere disposta, laddove ricorrano i gravi indizi di colpevolezza e le esigenze cautelari, la custodia cautelare in carcere [questione peraltro oggetto della citata sentenza della Corte di cassazione, si veda supra Cass. pen., sent. n. 1085/2020].
Editor: Avv. Davide Attanasio
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Egregio Avvocato
1 set. 2023 • tempo di lettura 4 minuti
I termini "classic mass murderer" e "family mass murderer" fanno riferimento a due categorie distinte di omicidi di massa, ognuna delle quali ha caratteristiche specifiche:Classic Mass Murderer (Classico Assassino di Massa): Questo termine si riferisce a individui che compiono omicidi di massa in modo relativamente simile a come sono stati perpetrati in passato da altri autori di omicidi di massa noti. Questi assassini di massa seguono spesso schemi o modelli riconoscibili di comportamento, come l'attacco deliberato a un gruppo di persone in un luogo pubblico o in un contesto specifico, l'uso di armi letali e la volontà di causare un alto numero di vittime. Gli esempi di assassini di massa classici includono spesso attacchi a scuole, luoghi di lavoro o luoghi pubblici affollati.Family Mass Murderer (Assassino di Massa in Famiglia): Questo termine si riferisce a individui che compiono omicidi di massa all'interno del contesto familiare. In genere, questi assassini uccidono più membri della loro stessa famiglia in un singolo evento omicida. Questi casi possono includere omicidi di coniugi, figli, genitori o altri parenti stretti. Le motivazioni dietro gli omicidi di massa in famiglia possono variare, ma spesso coinvolgono dispute familiari, conflitti interpersonali o problemi psicologici.Entrambe queste categorie rappresentano forme gravi di violenza criminale, ma sono distinte in base al contesto e alle circostanze in cui gli omicidi di massa si verificano. È importante sottolineare che queste terminologie non sono necessariamente riconosciute ufficialmente o utilizzate nei sistemi giuridici, ma sono spesso usate per descrivere specifici modelli di comportamento criminale nell'ambito della ricerca criminologica o dell'analisi di casi di omicidi di massa.Le motivazioni che spingono "classic mass murderers" (assassini di massa classici) e "family mass murderers" (assassini di massa in famiglia) a compiere omicidi di massa possono variare ampiamente da caso a caso e spesso sono complesse. Tuttavia, alcune motivazioni comuni possono includere:Classic Mass Murderers (Assassini di Massa Classici):Vendetta o rabbia estrema: Alcuni assassini di massa sono motivati da un forte senso di rabbia o vendetta nei confronti di un gruppo di persone, spesso a seguito di reali o presunti torti subiti.Problemi mentali o psicologici: Molti assassini di massa soffrono di disturbi mentali o psicologici gravi che possono influenzare il loro comportamento. Questi disturbi possono includere la schizofrenia, la depressione grave o altri disturbi del pensiero e dell'umore.Desiderio di notorietà o fama: Alcuni assassini di massa cercano di ottenere notorietà o fama attraverso gli omicidi di massa, spesso attraverso la copertura mediatica che segue tali eventi.Disperazione o senso di impotenza: Alcuni individui possono essere spinti a commettere omicidi di massa a causa di un senso di disperazione o di impotenza nella loro vita, con l'omicidio che rappresenta una forma estrema di sfogo.Family Mass Murderers (Assassini di Massa in Famiglia):Dispute familiari: Molte volte, gli assassini di massa in famiglia compiono omicidi a seguito di dispute interne alla famiglia, come problemi finanziari, divorzi, conflitti ereditari o problemi relazionali.Problemi psicologici o emotivi: Alcuni assassini di massa in famiglia possono soffrire di problemi mentali o emotivi che influenzano le loro azioni, portandoli a compiere omicidi all'interno della famiglia.Vendetta o gelosia: In alcuni casi, gli assassini di massa in famiglia possono essere spinti da un desiderio di vendetta o gelosia nei confronti dei membri della famiglia.Sconvolgimento delle dinamiche familiari: Cambiamenti significativi all'interno della famiglia, come divorzi o separazioni, possono portare a tensioni e conflitti che sfociano in omicidi di massa.Va notato che ciascun caso è unico e può avere una combinazione di motivazioni complesse. Inoltre, molte volte queste persone non condividono le loro motivazioni o sono difficili da comprendere, il che rende il compito di prevenire gli omicidi di massa particolarmente complesso. La prevenzione richiede un attento monitoraggio e intervento da parte delle autorità e dei professionisti della salute mentale, oltre a una maggiore sensibilizzazione e prevenzione nella società.Prof. Dr. Giovanni Moscagiuro Studio delle Professioni e Scienze forensi e Criminologia dell'Intelligence ed Investigativa Editori e Giornalisti europei in ambito investigativo Diritto Penale , Amministrativo , Tributario , Civile Pubblica Amministrazione , Esperto in Cybercrime , Social Cyber Security , Stalking e Cyberstalking, Bullismo e Cyberbullismo, Cybercrime, Social Crime, Donne vittime di violenza, Criminologia Forense, dell'Intelligence e dell'Investigazione, Diritto Militare, Docente di Diritto Penale e Scienze Forensi, Patrocinatore Stragiudiziale, Mediatore delle liti, Giudice delle Conciliazioni iscritto all'albo del Ministero di Grazia e Giustizia, Editori e Giornalisti European news Agencyemail: studiopenaleassociatovittimein@gmail.com
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16 lug. 2023 • tempo di lettura 4 minuti
Il trattamento sanitario obbligatorio (TSO) è un provvedimento previsto dalla legge italiana per tutelare la salute mentale e fisica delle persone che, a causa di una patologia psichiatrica o di comportamenti autolesionistici o violenti, non sono in grado di prendersi cura di sé stesse o rappresentano un pericolo per sé stesse o per gli altri.La normativa di riferimento per il TSO è il Testo Unico sulla Salute Mentale (TUSM) del 1998 (Decreto Legislativo n. 180/1998) e il Decreto del Presidente della Repubblica del 6 giugno 2001, n. 380, che definisce le modalità di attuazione del TUSM. In base a queste normative, il TSO può essere applicato su richiesta di un medico o di un prefetto.Il TSO può essere applicato quando una persona presenta un disturbo psichiatrico grave che compromette la sua capacità di intendere e di volere, oppure quando la persona rappresenta un pericolo per sé stessa o per gli altri. In tali situazioni, il medico può richiedere l'applicazione del TSO per obbligare il paziente ad essere sottoposto a trattamenti sanitari necessari per la sua cura e protezione.Le motivazioni per l'applicazione del TSO sono diverse e dipendono dalle condizioni individuali del paziente. In generale, il TSO viene applicato per garantire la sicurezza del paziente stesso e delle persone a lui vicine, per prevenire il deterioramento delle condizioni di salute del paziente, per garantire il rispetto dei diritti del paziente e per prevenire la diffusione di malattie infettive o contagiose.In ogni caso, il TSO è un provvedimento delicato e complesso che deve essere applicato con attenzione e con il rispetto dei diritti del paziente. La sua applicazione deve essere adeguatamente motivata e deve essere sottoposta a un rigoroso controllo giudiziario.Il trattamento sanitario obbligatorio (TSO) può essere attivato da diverse figure previste dalla normativa italiana.In primo luogo, il TSO può essere richiesto dal medico curante che si occupa della persona affetta da una patologia psichiatrica grave. Il medico deve ritenere che il paziente rappresenti un pericolo per sé stesso o per gli altri, o che non sia in grado di prendersi cura di sé stesso a causa della sua condizione psichica. In questo caso, il medico può richiedere l'attivazione del TSO per obbligare il paziente a sottoporsi ai trattamenti sanitari necessari per la sua cura.In alternativa, il TSO può essere richiesto dal prefetto della provincia in cui si trova il paziente. Il prefetto può attivare il TSO quando riceve una segnalazione da parte di un medico o di una autorità sanitaria, o quando ritiene che il paziente rappresenti un pericolo per sé stesso o per gli altri e che la sua condizione richieda un trattamento sanitario obbligatorio.In ogni caso, il TSO deve essere attivato solo dopo una valutazione dettagliata della condizione del paziente da parte di un medico specialista in psichiatria. La decisione di applicare il TSO deve essere adeguatamente motivata e deve essere sottoposta a un rigoroso controllo giudiziario per garantire il rispetto dei diritti del paziente.Il sindaco non ha un ruolo diretto nell'attivazione del trattamento sanitario obbligatorio (TSO) in Italia. La normativa di riferimento per il TSO è il Testo Unico sulla Salute Mentale (TUSM) del 1998 (Decreto Legislativo n. 180/1998) e il Decreto del Presidente della Repubblica del 6 giugno 2001, n. 380, che definisce le modalità di attuazione del TUSM.Secondo queste normative, il TSO può essere richiesto dal medico curante o dal prefetto della provincia in cui si trova il paziente. Il medico deve ritenere che il paziente rappresenti un pericolo per sé stesso o per gli altri, o che non sia in grado di prendersi cura di sé stesso a causa della sua condizione psichica. In alternativa, il prefetto può attivare il TSO quando riceve una segnalazione da parte di un medico o di una autorità sanitaria, o quando ritiene che il paziente rappresenti un pericolo per sé stesso o per gli altri e che la sua condizione richieda un trattamento sanitario obbligatorio.Il sindaco, in quanto autorità amministrativa del territorio, può svolgere un ruolo di coordinamento tra le diverse istituzioni coinvolte nella gestione dei casi di patologie psichiatriche gravi. Inoltre, il sindaco può promuovere iniziative a sostegno della salute mentale della comunità e favorire la diffusione di informazioni corrette sulle patologie psichiatriche e sui servizi di assistenza e cura disponibili sul territorio.
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12 mar. 2021 • tempo di lettura 6 minuti
A causa dell’emergenza da Covid-19 si è sentito parlare spesso del reato di epidemia, previsto dal codice penale nella duplice ‘veste’ di delitto doloso e colposo. Cerchiamo dunque di comprendere gli elementi costitutivi di questa fattispecie e se, con riferimento all’epidemia causata dalla diffusione del virus da Covid-19, vi possano effettivamente essere gli elementi idonei a giustificare una contestazione in sede penale.Premessa.Cosa prevede il reato di epidemia dolosa?(Segue) e quello di epidemia colposa?Tali fattispecie incriminatrici possono applicarsi in caso di Covid-19?1 - Premessa.In materia penale, l’epidemia è disciplinata in due disposizioni differenti del codice penale: vale a dire gli artt. 438 e 452 c.p. Come si dirà, l’elemento oggettivo delle fattispecie incriminatrici è il medesimo; differiscono, invece, in punto di coefficiente psicologico. In un caso (art. 438 c.p.), ai fini dell’integrazione del reato è necessaria la sussistenza del dolo, inteso quale rappresentazione e volizione di tutti gli elementi costitutivi del delitto; nell’altro (art. 452 c.p.), l’elemento soggettivo richiesto è quello della colpa. In quest’ultima ipotesi, dunque, l’evento non è voluto dall’agente, ma si verifica a causa di negligenza, imprudenza, imperizia o inosservanza di disposizioni. Il bene giuridico tutelato dalle disposizioni incriminatrici è ovviamente il medesimo: consiste nella tutela dell’incolumità pubblica e, in particolare, nella salvaguardia della salute collettiva. A tal riguardo, secondo l’opinione maggioritaria – avallata anche dalla giurisprudenza di legittimità – la persona offesa del reato è unicamente lo Stato e, per esso, il Ministero della Salute quale organo di vertice dell’esecutivo preposto alla tutela della salute. Si ritiene, infatti, che lo Stato sia l’esclusivo titolare del bene giuridico protetto dalla norma e, pertanto, sarebbe la parte legittimata a costituirsi parte civile nell’ambito di un procedimento penale avente quale capo di imputazione il reato di epidemia.L’applicazione giurisprudenziale del delitto in questione (sia doloso che colposo) è stata pressoché nulla. Tuttavia, in ragione della ancora attuale emergenza epidemiologica dovuta alla diffusione del virus da Covid-19, può essere opportuno interrogarsi su quali siano gli elementi costitutivi della fattispecie in esame. Non è da escludere, infatti, che nei prossimi tempi gli organi inquirenti si trovino a dover contestare, laddove ne ricorrano i presupposti, il reato di epidemia.2 - Cosa prevede il reato di epidemia dolosa?Secondo quanto prescritto dall’art. 438 c.p., il reato può venire in rilievo qualora una persona abbia cagionato un’epidemia mediante la diffusione di germi patogeni. Come prima cosa, è bene sottolineare che ai fini dell’integrazione del delitto non è richiesto il possesso di una particolare qualifica in capo al soggetto attivo: il reato – per via della locuzione ‘chiunque’ – è di natura c.d. comune. Ad avviso della più recente giurisprudenza di legittimità è possibile contestare il delitto di epidemia anche qualora non via sia un’alterità tra persona e germi patogeni, in altri termini nei casi in cui il soggetto attivo diffonda il virus che egli stesso ha precedentemente contratto. La specificazione è necessaria poiché, in passato, si riteneva che l’espressione «mediante la diffusione di germi patogeni» dovesse essere interpretata nel senso di richiedere una separazione fisica tra il diffusore e ciò che viene diffuso (vale a dire il germe patogeno). Chiarissima sul punto una recente pronuncia della Corte di cassazione, ad avviso della quale «la norma non impone una relazione di alterità e non esclude che una diffusione possa aversi pur quando l’agente sia esso stesso il vettore di germi patogeni» (Cass. pen., sez. I, 30 ottobre 2019, n. 48014, vicenda relativa alla trasmissione del virus HIV nell’ambito della quale i giudici hanno escluso la sussistenza del delitto di epidemia). Secondo l’opinione prevalente, inoltre, il fatto tipico del reato qui analizzato coincide, da un lato, con la manifestazione della malattia in un numero considerevole di persone e, dall’altro, nel concreto pericolo che il contagio si diffonda repentinamente – e in un ristretto arco temporale – in un numero indeterminato di persone. Ciò che deve essere verificato processualmente è che l’iniziale trasmissione del virus in un elevato quantitativo di persone sia ricollegabile causalmente alla condotta posta in essere dal soggetto portatore del virus: dimostrazione probatoria, quest’ultima, di non semplice assolvimento. In punto di elemento soggettivo, la norma richiede, come anticipato, la sussistenza del dolo (anche nella gradazione del dolo eventuale). In altri termini, è anzitutto necessario che la persona si rappresenti l’eventualità che tramite la sua condotta potrebbe infettare un numero significativo di persone e, conseguentemente, determinare una diffusione indiscriminata e incontrollabile della malattia; una volta rappresentatosi l’evento criminoso, è poi necessario che il comportamento della persona sia volontario. Quanto al trattamento sanzionatorio, infine, il legislatore ha previsto la pena dell’ergastolo. 3 - (Segue) e quello di epidemia colposa?La fattispecie colposa, disciplinata come detto dall’art. 452 c.p., differisce dall’ipotesi punita a titolo di dolo, non soltanto per il diverso atteggiarsi dell’elemento soggettivo, ma anche per il trattamento sanzionatorio, in quest’ultimo caso decisamente più mite rispetto a quello dell’art. 438 c.p.A fronte dell’ergastolo previsto per l’epidemia dolosa, l’ipotesi colposa è sanzionata con la reclusione da uno a cinque anni (art. 452, co. 1 lett. b) c.p.). Per quanto riguarda l’elemento oggettivo del reato, invece, le considerazioni non possono che essere analoghe a quelle formulate rispondendo alla domanda precedente: la condotta dell’epidemia colposa è infatti descritta per rinvio all’art. 438 c.p.4 - Tali fattispecie incriminatrici possono applicarsi in caso di Covid-19?In ragione dell’attuale situazione epidemiologica nazionale e internazionale, riteniamo sussista tuttora la concreta possibilità di contestazione dei reati sopra descritti. Una tale eventualità era stata avallata dallo stesso legislatore, il quale – nel mettere a punto un sistema di sanzioni volto a far rispettare le misure di contenimento adottate durante il primo lockdown del 2020 per fronteggiare la diffusione del virus – aveva fatto esplicito riferimento al delitto di epidemia: in particolare, l’art. 4, co. 6 d.l. 19/2020 prevedeva un’espressa clausola di riserva in favore del reato di cui all’art. 452 c.p., relativa all’ipotesi di violazione della misura della quarantena. In virtù di quanto si è detto, è tuttavia necessario specificare che sarà onere del giudice vagliare, caso per caso, la sussistenza di tutti gli elementi sopra descritti. A tal proposito, si ritiene inverosimile che possa essere condannato per epidemia (anche soltanto colposa) chi abbia posto in essere una condotta inidonea, in concreto, a far diffondere il virus in maniera incontrollata. Si pensi, ad esempio, al comportamento di chi – sottoposto a quarantena per via della positività al Covid-19 – sia uscito di casa per recarsi in un posto notoriamente desolato; o anche all’ipotesi della persona positiva che esca in piena notte dalla propria dimora per andare a gettare la spazzatura negli appositi locali condominiali. In tali circostanze, infatti, pare ragionevole ritenere che non sussista in concreto alcun pericolo di trasmissione rapida e incontrollata del virus. Editor: avv. Davide Attanasio
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Egregio Avvocato
11 feb. 2021 • tempo di lettura 6 minuti
La disciplina della prescrizione è da tempo al centro del dibattito pubblico e politico, oltre che giuridico. Nell’arco di pochi anni è stata infatti oggetto di due importanti riforme (rispettivamente riforma Orlando nel 2017 e riforma Bonafede nel 2019), che ne hanno radicalmente cambiato i connotati. Ciò non esclude, peraltro, che nel prossimo periodo il decisore politico possa intervenire nuovamente sulla materia. Cerchiamo dunque di comprendere più da vicino le finalità dell’istituto e di analizzare i tratti principali della disciplina prevista dal codice penale.1. Cos’è la prescrizione del reato?2. Come funziona la prescrizione?3. Vi sono dei casi di interruzione o sospensione del termine prescrizionale?4. L’imputato può rinunciare alla prescrizione?1 - Cos’è la prescrizione del reato?La prescrizione integra una causa di estinzione del reato: ciò vuol dire che, decorso un determinato periodo di tempo prestabilito ex legge dalla consumazione del fatto criminoso, senza che sia intervenuta una sentenza di condanna definitiva, il giudice dovrà prosciogliere l’imputato per l’intervenuta prescrizione del delitto. La persona, dunque, non verrà sanzionata penalmente. La prescrizione, in particolare, declina in termini temporali l’interesse dello Stato a irrogare una sanzione in relazione a un determinato illecito penale: spirato il termine prescrizionale viene meno la pretesa punitiva dello Stato, in quanto si ritiene che sia trascorso troppo tempo per considerare una persona ancora meritevole di pena. La Corte costituzionale, a tal riguardo, ha parlato di un vero e proprio “diritto all’oblio in capo all’autore [del reato]” (Corte cost., 26 gennaio 2017, n. 24).Chiarita in questi termini la finalità di fondo dell’istituto, deve fugarsi ogni dubbio in merito a un fraintendimento che spesso caratterizza il dibattito pubblico e, alle volte, anche quello politico: la prescrizione è cosa diversa dalla (ragionevole) durata dei processi, sebbene chiaramente le tematiche presentino dei forti punti di connessione. La prima riguarda l’interesse dello Stato a punire e, specularmente, quello dell’imputato a non ricevere una pena qualora sia trascorso troppo tempo dalla commissione del fatto; la seconda, invece, si sostanzia nel diritto della persona – e del relativo dovere dello Stato – a che un processo venga celebrato in tempi rapidi. Intervenire sulla disciplina della prescrizione, quindi, non significa affatto risolvere la problematica della irragionevole durata dei processi. Affinché ciò possa avvenire sarebbe necessario un articolato catalogo di interventi legislativi, a partire da una riforma che provveda a riorganizzare l’assetto degli uffici giudiziari.2 - Come funziona la prescrizione?La durata del termine prescrizionale, ai sensi dell’art. 157 c.p., è pari al massimo della pena edittale stabilita dalla legge e, in ogni caso, non inferiore a sei anni per i delitti e quattro per le contravvenzioni. La norma prevede inoltre dei termini speciali per talune fattispecie di reato considerate più gravi: per il delitto di maltrattamenti contro familiari e conviventi, ad esempio, si applica un termine prescrizionale raddoppiato (se vuoi saperne di più sul reato di maltrattamenti di cui all’art. 572 c.p., clicca qui)I reati puniti con la pena dell’ergastolo – così l’omicidio aggravato di cui all’art. 576 c.p. – sono invece imprescrittibili. La ragione di questa scelta politico-criminale si fonda sulla gravità del reato: a voler riprendere il suddetto esempio, il legislatore ha ritenuto che l’interesse a punire dello Stato non debba mai svanire nel caso di omicidio aggravato, venendo in rilievo il bene giuridico della vita. Quanto al momento di decorrenza della prescrizione, si noti che per il reato consumato il termine decorre dal momento della sua consumazione e per quello tentato, invece, da quando è cessata l’attività delittuosa. Per i reati permanenti e continuati, infine, da quando è cessata la permanenza o la continuazione.3 - Vi sono dei casi di interruzione o sospensione del termine prescrizionale?Si, il codice penale disciplina i casi di sospensione, interruzione e dei relativi effetti agli artt. 159, 160 e 161 c.p.La sospensione della prescrizione – che differentemente dall’interruzione produce i propri effetti nei confronti delle sole persone a processo e non di tutti coloro i quali hanno commesso il reato – determina l’arresto del decorso della prescrizione, che riprende il suo corso dal giorno in cui cessa la causa sospensiva. L’ipotesi sospensiva di maggior interesse – introdotta con la legge 9 gennaio 2019 n. 3 (c.d. legge ‘spazza-corrotti’, anche nota come riforma Bonafede) – riguarda la sospensione della prescrizione dalla pronuncia della sentenza di primo grado sino a che questa non sia divenuta irrevocabile. In altre parole, il termine non decorre più dall’emissione della sentenza di primo grado – indipendentemente che la decisione sia di assoluzione o di condanna – sino alla conclusione del processo. L’innovazione normativa è entrata in vigore il 1° gennaio 2020 e potrà applicarsi esclusivamente con riferimento ai fatti di reato commessi successivamente a questa data. In ragione della rilevanza della riforma, è necessario effettuare un cenno alla normativa previgente risalente alla legge 23 giugno 2017 n. 103 (c.d. riforma Orlando). L’art. 159 c.p. prevedeva la sospensione della prescrizione – per un termine comunque non superiore a un anno e sei mesi – dal giorno indicato per il deposito delle motivazioni della sentenza di primo grado sino alla pronuncia della decisione del grado di appello (il medesimo meccanismo regolamentava altresì il rapporto tra secondo grado e giudizio di Cassazione). Peraltro, a differenza della norma attualmente vigente, ai fini della sospensione veniva in rilievo esclusivamente la sentenza di condanna. In caso di assoluzione, dunque, il termine prescrizionale continuava a decorrere. Inoltre, qualora all’esito di un grado di giudizio successivo al primo fosse intervenuta una decisione di assoluzione, il periodo di sospensione veniva ‘recuperato’ ai fini del conteggio totale. Quanto all’interruzione della prescrizione, quest’ultima, per via del compimento di alcuni atti giudiziari, determina il prolungamento del termine prescrizionale, che comincia nuovamente a decorrere dal giorno stesso in cui si è verificata la causa interruttiva. In ogni caso, ai sensi dell’art. 161, co. 2 c.p. l’aumento non può essere superiore a un quarto del tempo necessario a prescrivere, salvi i casi di alcuni reati specificamente indicati dalla norma per cui è previsto un aumento maggiore. In concreto: se il reato si prescrive in sei anni e si verifica una causa interruttiva, il nuovo termine prescrizionale sarà di sette anni e sei mesi. Le cause di interruzione della prescrizione sono tassativamente indicate dall’art. 160 c.p.: fra queste, ad esempio, la richiesta di rinvio a giudizio o il decreto che dispone il giudizio e non invece, non essendo espressamente previsto, l’avviso di conclusione delle indagini preliminari. 4 - L’imputato può rinunciare alla prescrizione?Si, ai sensi dell’art. 157, co. 7 c.p., l’imputato può rinunciare alla prescrizione: potrebbe avvenire, ad esempio, nei casi in cui la persona – convinta della propria innocenza – miri a ottenere una pronuncia di piena assoluzione. In tali casi, dunque, il giudice non dichiarerà l’estinzione del reato – sebbene il termine prescrizionale sia già maturato – ma dovrà esprimersi nel merito della vicenda. Il codice penale prevede che la dichiarazione di rinuncia avvenga in modo espresso. Ciò vuol dire che la volontà dell’imputato deve essere estrinsecata in maniera esplicita, non potendosi desumere implicitamente. Si consideri, inoltre, che la rinuncia alla prescrizione è un diritto personalissimo e, pertanto, la relativa dichiarazione deve essere effettuata personalmente dall’imputato o dal difensore munito di apposita procura speciale. Secondo l’orientamento maggioritario della Corte di Cassazione, la dichiarazione di rinuncia può essere altresì revocata, a condizione però che non sia già intervenuta la decisione del giudice (a titolo esemplificativo Cass. pen., sez. VI, 11 luglio 2012, n. 30104). Deve tuttavia segnalarsi una pronuncia di segno contrario, ad avviso della quale la rinuncia alla prescrizione è irrevocabile (Cass. pen., sez. V, 24 aprile 2008, n. 33344). Editor: avv. Davide Attanasio
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Egregio Avvocato
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