Truffa per omissione: è ammissibile?

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Pubblicato il 10 nov. 2021 · tempo di lettura 2 minuti

Truffa per omissione: è ammissibile? | Egregio Avvocato

Il reato di truffa è previsto dal codice penale all’art. 640 c.p., che punisce “Chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno”. 


È un reato di evento e a forma vincolata, ciò vuol dire che per potersi applicare la sanzione penale, da un lato, devono verificarsi gli eventi che sono presi in considerazione dalla legge penale (in particolare, l’induzione in errore e il danno); dall’altro lato, che non qualsiasi condotta è rilevante, ma solo quella che costituisce i cd. artifizi e raggiri.

Ma cosa succede se una parte non fornisce all’altra determinate informazioni che sono particolarmente rilevanti per la conclusione dell’affare? Si può configurare truffa per omissione? Possono rilevare questi comportamenti omissivi sotto forma di artifizi e raggiri?


Secondo la dottrina largamente prevalente la risposta è negativa: non si può dare rilevanza alla truffa per omissione, nemmeno quando la legge esplicitamente o implicitamente impone a una parte di fornire all’altra certe informazioni. Questo perché il 640 c.p. parlando di artifizi e raggiri che hanno causato l’errore, logicamente fa riferimento a comportamenti commissivi. Non si può nemmeno invocare l’art. 40 co. 2 c.p., perché questa disposizione si può innestare solo nei reati a forma libera, mentre il reato di truffa è un reato a forma vincolata. Infine, la dottrina evidenzia anche che quando il legislatore ha inteso dare rilevanza a certe condotte omissive, lo ha fatto espressamente (come ad es. nel caso dell’art. 316 ter c.p.)


Invece, la giurisprudenza oggi punisce la truffa per omissione, soprattutto quando la legge imponeva a quel soggetto di dare quella determinata informazione, che invece non viene data. In questi casi la giurisprudenza o applica direttamente con l’art. 640, oppure punisce mediante l’innesto dell’art. 40 co. 2 c.p. 

Per giustificare questa lettura, viene preso in considerazione il dovere di buona fede e di solidarietà: si dice che è particolarmente sentita l’esigenza di punire le condotte che vanno a ledere il bene giuridico del patrimonio e della libertà di autodeterminazione, per cui sarebbe ingiusto e iniquo non dare rilevanza a queste condotte per omissione. 

Studiando questi casi, una parte della dottrina in tono critico dice che la giurisprudenza di fatto sta trasformando la truffa in un reato a forma libera: se si estende a dismisura il concetto di artifizi e raggiri, comprendendo anche queste condotte omissive, è ovvio che vai contro la volontà del legislatore.

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Più in particolare, il possesso della cittadinanza italiana per nascita si trasmette di genitore in figlio, indipendentemente dal luogo di nascita: è cittadino italiano il figlio di padre o madre cittadini italiani, anche se nato all’estero, purché venga trascritto l’atto di nascita nei registri dello Stato Civile. b) l’acquisto iure soli: è considerato cittadino italiano per nascita chi è nato nel territorio dello Stato da genitori ignoti o apolidi.c) l’acquisto ius soli residuale: è considerato cittadino per nascita anche il figlio di ignoti che sia trovato nel territorio italiano, se non venga provato il possesso di altra cittadinanza.d) l’acquisto giudiziale: diventa cittadino italiano il figlio a seguito del riconoscimento o della dichiarazione giudiziale della filiazione, purché avvenuti durante la minore età. e) in caso di adozione di minorenne.2 - Acquisto della cittadinanza italiana per matrimonioL’acquisto della cittadinanza italiana per matrimonio è riconosciuto al cittadino straniero, o apolide, sposato con il coniuge cittadino italiano che possiede i requisiti previsti dagli artt. 5 e 6 l. 91/1992.In primo luogo, il cittadino straniero deve essere residente in Italia da almeno due anni dopo la data del matrimonio. 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