Egregio Avvocato
Pubblicato il 14 mar. 2022 · tempo di lettura 5 minuti
L’art. 410 c.p.p. accorda una particolare tutela alla persona offesa dal reato, la quale ha la possibilità di intervenire direttamente in sede processuale opponendosi alla richiesta di archiviazione avanzata dal PM. In questo modo la persona offesa ha la possibilità di prevenire le eventuali conseguenze che la richiesta del PM potrebbe avere sulla propria sfera giuridica.
Essendo un diritto particolarmente rilevante per la prosecuzione delle indagini, e che potrebbe interessare tutti i soggetti che subiscono un reato, vediamo insieme quali sono i presupposti e le condizioni per esercitare tale diritto di opposizione.
1 - La richiesta di archiviazione del PM
Il procedimento penale ha inizio mediante l’acquisizione della cd. notitia criminis, cioè il ricevimento da parte delle autorità giurisdizionali della notizia di un fatto di reato. Sulla base di tale notizia il PM dispone e guida le indagini (le cd. indagini preliminari), al fine di vagliare la fondatezza del fatto di reato e di acquisire tutti gli elementi necessari così da comprendere se esercitare o meno l’azione penale.
In particolare, nel caso in cui il PM ad esito delle indagini ritenga che non vi siano elementi sufficienti per esercitare l’azione penale, formula una richiesta di archiviazione (art. 408 c.p.p.), la quale a sua volta è sottoposta al vaglio e al controllo del giudice per le indagini preliminari (cd. gip).
Invero, se da un lato il PM è considerato quale dominus della fase delle indagini, poiché detiene i principali poteri e conduce le attività investigative da porre in essere; dall’altro lato, in un sistema accusatorio, come quello italiano, è fortemente sentita l’esigenza che un soggetto terzo ed imparziale (come il gip) operi un controllo sulle scelte prese in sede di indagini. Il Pubblico Ministero, quindi, non può autonomamente decidere di archiviare, ma tale scelta deve necessariamente essere oggetto di controllo da parte del giudice per le indagini preliminari.
2 - La possibilità per la persona offesa dal reato di opporsi
È ben possibile che il fatto di reato contempli una persona offesa: molto spesso, infatti, le notizie di reato sono acquisite proprio tramite le persone offese, che sporgono denuncia-querela.
In questi casi, la persona offesa può esplicitamente avanzare richiesta di essere informata circa l'eventuale archiviazione: può farlo o contestualmente alla proposizione della denuncia, o successivamente, ma comunque non più tardi della trasmissione della richiesta di archiviazione al g.i.p.
Nel caso in cui abbia avanzato tale richiesta, il pubblico ministero deve provvedere a notificarle l'avviso della richiesta di archiviazione ex art. 408 c.p.p. precisando che, nel termine di venti giorni dal momento della notifica, la medesima persona offesa può prendere visione degli atti e presentare opposizione alla richiesta di archiviazione con richiesta motivata di prosecuzione delle indagini preliminari. L'inosservanza del termine indicato per la presentazione dell'opposizione non comporta decadenze per la persona offesa, purché l'opposizione stessa venga presentata prima della pronuncia del gip sull'ammissibilità o meno della richiesta di archiviazione.
Una disciplina particolare si ha ne caso dei “delitti commessi con violenza alla persona” e per il delitto di furto in abitazione o con strappo: in questi casi l’avviso di richiesta di archiviazione è notificato in ogni caso alla persona offesa, a prescindere dalla sua richiesta di essere avvisata. In questo caso il termine per prendere visione degli atti e proporre opposizione è di 30 giorni.
3 - Condizioni di ammissibilità
L’art. 410 c.p.p. prescrive due condizioni di ammissibilità per l’opposizione alla richiesta di archiviazione: deve indicare
Non si ritiene ammissibile, infatti, un’opposizione alla richiesta di archiviazione del tutto generica e priva di indicazioni per il PM, in quanto ciò che viene contestato è proprio il suo lavoro nel corso delle indagini preliminari.
Il requisito delle investigazioni suppletive, in particolare, può essere assolto non soltanto attraverso l'indicazione di investigazioni nuove e quindi fino a quel momento non svolte, ma anche attraverso l'indicazione di investigazioni integrative e quindi, benché svolte, da approfondire. Ciò significa, ad esempio, che la persona offesa può sempre indicare nuovi testimoni, ma anche che può richiedere che vengano sentiti quelli già ascoltati, indicando eventuali circostanze diverse sulle quali raccogliere le informazioni.
In questo senso, appare evidente come l'opposizione non assolva unicamente la funzione di assicurare il diritto di difesa della persona offesa, ma miri altresì a stimolare il controllo della magistratura giudicante sull'operato di quella requirente.
4 - Il controllo del gip e i possibili esiti
Il primo accertamento da svolgere riguarda la sussistenza o meno delle condizioni di ammissibilità: dovrà essere fissata udienza preliminare solo nel caso in cui l’opposizione presentata dalla persona offesa contenga l’indicazione sia dell’oggetto delle ulteriori indagini, sia i relativi elementi di prova. Se invece l’opposizione è inammissibile, il giudice dopo averne dichiarata l’invalidità, si limita ad operare un controllo de plano sulla richiesta di archiviazione (e quindi senza udienza).
È possibile che il gip decida di accogliere la richiesta presentata dal PM, e in questo caso verrà emesso decreto di archiviazione ai sensi dell’art. 409 co. 1 c.p.p.
Se invece il gip ritiene di non dover accogliere la richiesta di archiviazione, dovrà fissare entro 3 mesi la data di una udienza in camera di consiglio, alla quale possono partecipare il PM, la persona offesa e l’indagato. L’esito di tale udienza può essere triplice, e infatti il gip:
Editor: dott.ssa Claudia Cunsolo
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Egregio Avvocato
31 gen. 2022 • tempo di lettura 1 minuti
Il tentativo circostanziato di delitto è quella fattispecie ove il soggetto agente pone in essere atti idonei diretti in modo non equivoco a commettere un reato, nei quali sia presente in rerum natura una circostanza di reato. Si può fare l’esempio di un soggetto che si reca in banca per commettere una rapina con un’arma, però viene arrestato in flagranza: si ha una tentata rapina e la circostanza dell’uso delle armi sussiste in rerum natura.Il tentativo di delitto circostanziato, invece, è quella fattispecie nella quale la circostanza di reato non esiste nella realtà, ma vi sarebbe stata solo se il reato fosse arrivato a consumazione. Ad esempio, il soggetto agisce per rubare un famosissimo quadro, ma viene arrestato mentre lo sta afferrando: è un tentato furto, e la circostanza del danno ingente non c’è ma ci sarebbe stata solo in caso di consumazione.Mentre l’ammissibilità della prima fattispecie è pacificamente ammessa, la seconda fattispecie, il tentativo di delitto circostanziato, pone maggiori problemi. La dottrina prevalente ritiene non ammissibile tale fattispecie, perché la norma sul tentativo (art. 56 c.p.) si riferisce solo al delitto e non anche alla circostanza. La giurisprudenza a Sezioni Unite, invece, ritiene ammissibile il tentativo di delitto circostanziato per un’esigenza di proporzionalità e ragionevolezza della pena, ma richiede due presupposti: la certezza della verificazione della circostanza in caso di consumazione; e che nel proposito criminoso del soggetto agente rientri anche la sussistenza della circostanza (che, quindi, deve essere oggetto di rappresentazione).
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Egregio Avvocato
4 mar. 2022 • tempo di lettura 1 minuti
Il comando delle Forze armate non costituisce un comando strategico, affidato agli organi tecnici (Capo di Stato maggiore generale) ma consiste nella direzione-politico amministrativa delle forze armate, attribuita al Capo dello Stato in veste di rappresentante della Repubblica nella sua unità.Gli atti compiuti dal Presidente in qualità di Presidente del Consiglio supremo di difesa non richiedono controfirma ministeriale (ex. art. 89 Cost.) perché non sono atti presidenziali, ma atti dell’organo collegiale che egli presiede.Il Consiglio supremo di difesa in particolare costituisce un organo: di rilievo costituzionale, perché previsto dalla Costituzione, ma non partecipe della funzione politica, essendo dotato di solo di attribuzioni proprie del potere esecutivo; collegiale, essendo composto da una pluralità di persone fisiche che concorrono tutte alla formazione degli atti necessari al funzionamento dell’organo e con funzioni consultive e deliberative.Nel 2010, il D.lgs n. 66 del 15 marzo, ha introdotto il Codice dell’ordinamento militare, dedica il Titolo II al Consiglio supremo di difesa specificando la sua struttura e le relative attribuzioni. In particolare, l’art. 2 precisa che il Consiglio esamina i problemi generali politici e tecnici attinenti alla difesa nazionale, determina i criteri e ne fossa le direttive per l’organizzazione e il coordinamento delle attività che comunque la riguardano.
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15 feb. 2022 • tempo di lettura 1 minuti
Gli atti di alta amministrazione sono una speciale categoria di atti amministrativi, la cui peculiarità risiede nell’opera, da essi svolta, di raccordo fra indirizzo politico, espressione dello Stato- comunità, e attività amministrativa, espressione dello Stato- amministrazione.Gli atti di amministrazione, quale species del più ampio genus degli atti amministrativi, si collocano in una posizione di subordinazione rispetto alla legge ordinaria e agli atti di direzione politica, nel cui rispetto sono tenuti ad operare e, al pari di tutti i provvedimenti amministrativi, si presentano vincolati nei fini da perseguire.Gli atti di alta amministrazione, in quanto atti amministrativi, soggiacciono alle regole dell’azione amministrativa di cui alla L.241/90 sul procedimento amministrativo, in particolare all’obbligo di motivazione, nonostante l’ampia discrezionalità che li caratterizza e sono suscettibili di impugnazione innanzi al giudice amministrativo, ex artt. 24,103 e 113 Cost., in ragione dei vizi di legittimità.Poiché, il contenuto degli atti di alta amministrazione consiste per lo più in direttive o atti programmatici e dunque, gli stessi si rivelano inidonei ad incidere sulla sfera giuridica dei privati, il ricorso giurisdizionale amministrativo va proposto congiuntamente avverso l’atto di alta amministrazione e il provvedimento che ne fa applicazione, per quest’ultimo a titolo di invalidità.
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15 dic. 2021 • tempo di lettura 2 minuti
Ai sensi dell’art. 43 D.P.R. 445/2000, le amministrazioni pubbliche e i gestori di pubblici servizi sono tenuti ad acquisire d’ufficio le informazioni oggetto delle dichiarazioni sostitutive di cui agli articoli 46 e 47 D.P.R. 445/2000.Le tipologie di dichiarazioni sostitutive di cui al D.P.R. 445/2000 sono due: quelle sostitutive di certificazione e quelle sostitutive di atto di notorietà: 1 - Dichiarazione sostitutiva di certificazione (art. 46 D.P.R. 445/2000)Si tratta della dichiarazione, anche contestuale all’istanza, sottoscritta dallo stesso interessato, delle informazioni indicate nello stesso art. 46 e quindi sostitutiva delle normali certificazioni (questo il caso della data e luogo di nascita, residenza, cittadinanza, godimento dei diritti civili e politici, stato di famiglia, situazione reddituale, qualifica professionale o il non aver riportato condanne penali e così via...)2 - Dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà (art. 46 D.P.R. 445/2000)Tale dichiarazione concerne, invece, altri stati, qualità personali o fatti, non rientranti nell’elencazione di cui all’art. 46 che siano comunque a diretta conoscenza dell’interessato. Inoltre, la stessa può riguardare anche stati, qualità personali e fatti relativi ad altri soggetti, di cui il dichiarante abbia piena conoscenza.La dichiarazione che dovrà essere resa e sottoscritta dall’interessato, ex. art. 38 D.P.R. 445/2000, in presenza del dipendente addetto, ovvero presentata unitamente a copia fotostatica non autenticata di un documento di identità del sottoscrittore.Per garantire effettiva applicazione da parte delle amministrazioni delle norme contenute nel D.P.R. 445/2000, il legislatore espressamente qualifica come comportamenti costituenti violazione dei doveri di ufficio:la richiesta e l’accettazione di certificati o atti di notorietà;il rifiuto da parte del dipendente addetto di accertare l’attestazione di stati, qualità personali e fatti medianti l’esibizione di un documento di riconoscimento;la richiesta e la produzione, da parte rispettivamente degli ufficiali di stato civile e dei direttori sanitari, del certificato di assistenza al parto ai fini della formazione dell’atto di nascita;il rilascio di certificati non conformi a quanto previsto dall’art. 40, 2 comma ( certificazioni da produrre ai soggetti privati).
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