I tipi di sequestro nel processo penale

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Pubblicato il 22 feb. 2022 · tempo di lettura 1 minuti

I tipi di sequestro nel processo penale | Egregio Avvocato

I principali tipi di sequestro che esistono nel processo penale sono il sequestro probatorio, il sequestro conservativo e il sequestro preventivo. La prima differenza da evidenziare è che mentre il sequestro probatorio è un mezzo di ricerca della prova, gli altri due sono misure cautelari reali.


In particolare, il sequestro probatorio (art. 253 c.p.p.) consiste nell’assicurare una cosa mobile od immobile al procedimento per finalità probatorie, mediante lo spossessamento coattivo della cosa e la creazione di un vincolo di indisponibilità sulla medesima. Oggetto del sequestro sono il corpo del reato e le cose ad esse pertinenti, in quanto necessari ai fini di prova.


Il sequestro conservativo (art. 316 c.p.p.), invece, è disposto quando vi è il pericolo che si disperdano le garanzie patrimoniali dell’imputato, e cioè i beni mobili e immobili sui quali soddisfare le obbligazioni civili nascenti dal reato ed il pagamento della pena pecuniaria e di ogni altra somma dovuta all’erario dello Stato.


Infine, il sequestro preventivo (art. 321 c.p.p.) è disposto quando vi è il pericolo che la libera disponibilità della cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze dello stesso, o quando vi è il pericolo che la cosa possa agevolare la commissione di altri reati, o ancora quando la cosa è pericolosa in sé, poiché di essa è consentita o imposta la confisca.



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I due istituti in esame sono caratterizzati, e di conseguenza accomunati, dal fatto di riconoscere al soggetto autore del reato la possibilità di espiare la pena in un luogo diverso dal carcere. Soprattutto negli ultimi anni, è stata fortemente sentita l’esigenza di introdurre nel sistema penale delle misure che evitassero un ulteriore ingolfamento ed affollamento delle strutture penitenziarie, già fortemente in difficoltà. La stessa Corte di Giustizia dell’Unione Europea nel 2013 ha condannato l’Italia (sentenza Torreggiani) per la situazione di sovraffollamento carcerario tale da rendere inumano e degradante il trattamento, andando quindi a violare l’art. 3 Cedu.Tuttavia, le pene sostitutive e le misure alternative alla detenzione, pur avendo in comune tale aspetto fondamentale di evitare il ricorso alla struttura detentiva, sono due istituti da tenere necessariamente distinti, in quanto espressione di due momenti processuali del tutto differenti. Le pene sostitutive sono previste dalla l. n. 681/1989 e si pongono quale sostituzione delle pene detentive brevi. Vengono applicate direttamente dal giudice della cognizione, il quale una volta affermata la responsabilità dell’autore, andrà ad applicare una pena sostitutiva, evitando l’ingresso in carcere del soggetto autore del delitto. Le pene sostitutive previste nel nostro ordinamento sono la semidetenzione, la libertà controllata e la pena pecuniaria.Diversamente, le misure alternative alla detenzione sono previste dalla legge sull’ordinamento penitenziario (l. n. 354/1975) e sono di competenza della magistratura di sorveglianza. Quest’ultima interviene in un secondo momento rispetto al giudice di cognizione, e va ad incidere su un giudicato già formato. Rispondono ad un’esigenza di rieducazione della pena, che trova espressione nel comma  3 dell’art. 27 della Costituzione, tale per cui le pene devono necessariamente avere una vocazione risocializzante e consentire delle occasioni di possibile rientro in società. Ciò che rileva è l’evoluzione della personalità del condannato. Tra le altre, le misure alternative alla detenzione maggiormente utilizzate nel nostro ordinamento sono l’affidamento in prova al servizio sociale, la semilibertà, la detenzione domiciliare, la liberazione anticipata.

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Cosa è la ricognizione?

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La ricognizione è un mezzo di prova mediante il quale, ad una persona che abbia percepito con i propri sensi una persona o una cosa, si chiede di riconoscerla individuandola tra altre simili. Momento fondamentale nello svolgimento della ricognizione, soprattutto di persone, è la cd. predisposizione della scena. In assenza di colui che è chiamato ad effettuare il riconoscimento, il giudice dispone che siano presenti almeno altre due persone (definite come distrattori), che siano il più possibile somiglianti “anche nell’abbigliamento” a quella sottoposta a ricognizione. Quest’ultima è invitata a scegliere il proprio posto rispetto alle altre persone, curando che si presenti, ove possibile, nelle stesse condizioni nelle quali sarebbe stata vista dalla persona chiamata ad operare il riconoscimento. Solo quando la scena è pronta, potrà entrare colui che deve effettuare il riconoscimento, il quale dovrà quindi indicare il soggetto che ritiene essere la persona alla quale il reato è attribuito. Molto spesso la ricognizione avviene in giudizio mediante degli album fotografici predisposti dalla Polizia di Stato, i quali riportano una serie di foto di soggetti tendenzialmente simili tra loro e a ognuno dei quali è riconosciuto un numero. Solo alla fine dell’album sarà indicata anche la cd. legenda, ove ogni numero corrisponde al nome del soggetto in foto. Il soggetto chiamato ad effettuare la ricognizione dovrà quindi indicare il numero che corrisponde alla foto della persona che ritiene autore del reato, e sarà poi il giudice ad associare quel numero al nome. Può accadere anche che, nel corso della deposizione dibattimentale, al testimone sia chiesto se riconosce tra i presenti in aula la persona alla quale il reato è attribuito. In questo caso, sembrerebbe che la testimonianza fornisca lo stesso risultato che si sarebbe ottenuto mediante una ricognizione vera e propria, senza però avere le formalità che invece sono richieste per la ricognizione. La giurisprudenza sostiene che si tratti di una cd ricognizione informale, che si possa considerare come prova atipica e come tale utilizzabile. La dottrina obietta, però, che le formalità della ricognizione sono poste a tutela dell’attendibilità del risultato e che un riconoscimento effettuato in dibattimento, nel corso dell’esame incrociato e senza la presenza di distrattori, sia una prova che aggira le garanzie richieste dal c.p.p. e che fornisce un risultato non attendibile.

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