IL CLASSIC MASS MURDERER ED IL FAMILY MASS MURDERER

Avv. Prof. Dott. Criminologo Forense Giovanni Moscagiuro

Avv. Prof. Dott. Criminologo Forense Giovanni Moscagiuro

Pubblicato il 1 set. 2023 · tempo di lettura 4 minuti
IL CLASSIC MASS MURDERER ED IL FAMILY MASS MURDERER | Egregio Avvocato

I termini "classic mass murderer" e "family mass murderer" fanno riferimento a due categorie distinte di omicidi di massa, ognuna delle quali ha caratteristiche specifiche:


  1. Classic Mass Murderer (Classico Assassino di Massa): Questo termine si riferisce a individui che compiono omicidi di massa in modo relativamente simile a come sono stati perpetrati in passato da altri autori di omicidi di massa noti. Questi assassini di massa seguono spesso schemi o modelli riconoscibili di comportamento, come l'attacco deliberato a un gruppo di persone in un luogo pubblico o in un contesto specifico, l'uso di armi letali e la volontà di causare un alto numero di vittime. Gli esempi di assassini di massa classici includono spesso attacchi a scuole, luoghi di lavoro o luoghi pubblici affollati.
  2. Family Mass Murderer (Assassino di Massa in Famiglia): Questo termine si riferisce a individui che compiono omicidi di massa all'interno del contesto familiare. In genere, questi assassini uccidono più membri della loro stessa famiglia in un singolo evento omicida. Questi casi possono includere omicidi di coniugi, figli, genitori o altri parenti stretti. Le motivazioni dietro gli omicidi di massa in famiglia possono variare, ma spesso coinvolgono dispute familiari, conflitti interpersonali o problemi psicologici.


Entrambe queste categorie rappresentano forme gravi di violenza criminale, ma sono distinte in base al contesto e alle circostanze in cui gli omicidi di massa si verificano. È importante sottolineare che queste terminologie non sono necessariamente riconosciute ufficialmente o utilizzate nei sistemi giuridici, ma sono spesso usate per descrivere specifici modelli di comportamento criminale nell'ambito della ricerca criminologica o dell'analisi di casi di omicidi di massa.


Le motivazioni che spingono "classic mass murderers" (assassini di massa classici) e "family mass murderers" (assassini di massa in famiglia) a compiere omicidi di massa possono variare ampiamente da caso a caso e spesso sono complesse. Tuttavia, alcune motivazioni comuni possono includere:


Classic Mass Murderers (Assassini di Massa Classici):


  1. Vendetta o rabbia estrema: Alcuni assassini di massa sono motivati da un forte senso di rabbia o vendetta nei confronti di un gruppo di persone, spesso a seguito di reali o presunti torti subiti.
  2. Problemi mentali o psicologici: Molti assassini di massa soffrono di disturbi mentali o psicologici gravi che possono influenzare il loro comportamento. Questi disturbi possono includere la schizofrenia, la depressione grave o altri disturbi del pensiero e dell'umore.
  3. Desiderio di notorietà o fama: Alcuni assassini di massa cercano di ottenere notorietà o fama attraverso gli omicidi di massa, spesso attraverso la copertura mediatica che segue tali eventi.
  4. Disperazione o senso di impotenza: Alcuni individui possono essere spinti a commettere omicidi di massa a causa di un senso di disperazione o di impotenza nella loro vita, con l'omicidio che rappresenta una forma estrema di sfogo.


Family Mass Murderers (Assassini di Massa in Famiglia):


  1. Dispute familiari: Molte volte, gli assassini di massa in famiglia compiono omicidi a seguito di dispute interne alla famiglia, come problemi finanziari, divorzi, conflitti ereditari o problemi relazionali.
  2. Problemi psicologici o emotivi: Alcuni assassini di massa in famiglia possono soffrire di problemi mentali o emotivi che influenzano le loro azioni, portandoli a compiere omicidi all'interno della famiglia.
  3. Vendetta o gelosia: In alcuni casi, gli assassini di massa in famiglia possono essere spinti da un desiderio di vendetta o gelosia nei confronti dei membri della famiglia.
  4. Sconvolgimento delle dinamiche familiari: Cambiamenti significativi all'interno della famiglia, come divorzi o separazioni, possono portare a tensioni e conflitti che sfociano in omicidi di massa.

Va notato che ciascun caso è unico e può avere una combinazione di motivazioni complesse. Inoltre, molte volte queste persone non condividono le loro motivazioni o sono difficili da comprendere, il che rende il compito di prevenire gli omicidi di massa particolarmente complesso. La prevenzione richiede un attento monitoraggio e intervento da parte delle autorità e dei professionisti della salute mentale, oltre a una maggiore sensibilizzazione e prevenzione nella società.



Prof. Dr. Giovanni Moscagiuro 

Studio delle Professioni e Scienze forensi e Criminologia dell'Intelligence ed Investigativa 

Editori e Giornalisti europei in ambito investigativo


 

Diritto Penale , Amministrativo , Tributario , Civile Pubblica Amministrazione , Esperto in Cybercrime , Social Cyber Security , Stalking e Cyberstalking, Bullismo e Cyberbullismo, Cybercrime, Social Crime, Donne vittime di violenza, Criminologia Forense, dell'Intelligence e dell'Investigazione, Diritto Militare, Docente di Diritto Penale e Scienze Forensi, Patrocinatore Stragiudiziale, Mediatore delle liti, Giudice delle Conciliazioni iscritto all'albo del Ministero di Grazia e Giustizia, Editori e Giornalisti European news Agency


email: studiopenaleassociatovittimein@gmail.com


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Generalità false al controllore: cosa si rischia

25 ott. 2021 tempo di lettura 4 minuti

Viaggiare su un mezzo pubblico sprovvisti di biglietto integra un illecito amministrativo, passibile di una comune contravvenzione. Ciò vale per qualsiasi mezzo pubblico, sia che si tratti di treno, di autobus o di metropolitana. Ma cosa succede nel caso in cui il viaggiatore non solo sia sprovvisto di biglietto, ma anche di documenti, e alla richiesta del controllore di fornire le proprie generalità risponda con dei dati non corrispondenti al vero?Il fatto: viaggiare senza biglietto ed essere interrogato dal controlloreIl reato: art. 495 c.p., false dichiarazioni a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altriLa casistica: i provvedimenti adottati in Romagna1 - Il fatto: viaggiare senza biglietto ed essere interrogato dal controllorePer utilizzare i mezzi pubblici di una città, che siano autobus, metropolitane, treni o altro, è pacifico che bisogna pagare un biglietto. Tutti i consociati in questo modo partecipano attivamente al benessere comune: si paga un servizio per ottenere il massimo da quello stesso servizio. Ne consegue che utilizzare i mezzi pubblici senza pagare il biglietto, oltre ad essere una condotta immorale, è anche una condotta passibile di sanzione: la condotta del viaggiatore senza biglietto integra un illecito amministrativo che viene punito con una comune contravvenzione. Nel momento in cui il controllore trova un passeggero senza biglietto è tenuto ad interrogarlo al fine di conoscere le sue generalità, così da compilare il verbale della multa. È possibile però che il viaggiatore non abbia con sé i documenti, non essendo tenuto a portarli con sé, e che dunque il controllore si debba fidare di quanto dichiarato dal viaggiatore stesso. Il controllore, infatti, non ha il potere di perquisire il privato per controllare se davvero è sprovvisto di documenti o meno, ma deve limitarsi ad interrogare il soggetto senza biglietto e compilare il modulo della multa con le generalità che gli vengono fornite.Nel caso in cui le generalità fornite siano false, viene integrato il reato di false attestazioni a pubblico ufficiale, punito dall’art. 495 c.p. Prima di vedere cosa comporta la commissione di questo reato, bisogna sottolineare che per parlare di falsa dichiarazione è necessario che questa segua un’interrogazione da parte del pubblico ufficiale: il mero silenzio e le dichiarazioni spontanee non costituiscono reato. Si può parlare di interrogazione soltanto se avviene in forma scritta tramite compilazione di moduli dell’ufficio a cui appartiene il pubblico ufficiale (si pensi, appunto, ad una contravvenzione sul treno).2 - Il reato: art. 495 c.p., false dichiarazioni a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altriL’articolo in esame stabilisce che «Chiunque dichiara o attesta falsamente al pubblico ufficiale l’identità, lo stato o altre qualità della propria o dell’altrui persona è punito con la reclusione da uno a sei anni».Non importa qual è il dato connotato da falsità: il reato viene commesso sia che si tratti del nome e cognome, sia che si tratti dell’indirizzo, o comunque di qualsiasi altro dato personale che viene richiesto dal controllore. Basta un solo dato sbagliato per fare scattare il reato.Fondamentale per l’integrazione del reato in esame è la qualifica di pubblico ufficiale che viene rivestita dal controllore del mezzo. Invero, il reato di false dichiarazioni punito dall’art. 495 c.p. può essere integrato solo se le false generalità vengono fornite ad un soggetto che riveste una funzione pubblica; se le generalità false vengono fornite ad un soggetto privato, tale condotta non ha alcuna rilevanza penale.Più volte la Corte di Cassazione è intervenuta in merito, specificando che la figura del funzionario accertatore delle aziende di trasporto deve essere qualificata in termini di pubblico ufficiale. Questi, infatti, sono tenuti a provvedere alla constatazione dei fatti e alle relative verbalizzazioni nell’ambito delle attività di prevenzione e di accertamento delle infrazioni relative ai trasporti. L’azienda che si occupa di trasporti svolge una pubblica funzione, e il controllore non svolge le mansioni solo esecutive di un qualsiasi dipendente, ma, avendo l’incarico di accertare le infrazioni, svolge un’attività intellettiva.3 - La casistica: i provvedimenti adottati in RomagnaDegno di nota è quanto avvenuto in Romagna. A fronte di un esame delle multe che sono state fatte dai controllori che lavorano per conto di Start – gestore del trasporto pubblico urbano ed extraurbano in Romagna – è stata rilevata una particolarità: su 45.000 verbali compilati in un anno, circa un terzo è da riferire a persone che non solo erano salite a bordo senza ticket, ma che avevano pure fornito nomi e cognomi che non corrispondevano alla loro identità. Peraltro, spesso le generalità false sono quelle di altre persone in carne ed ossa, incolpevoli vittime dell’altrui inciviltà. Start Romagna è corsa dunque ai ripari ed è stato deciso che nelle tre province di Rimini, Forlì e Cesena saranno scattate fotografie al viso delle persone che, al momento della compilazione del verbale, affermeranno di non avere con sé un valido documento di riconoscimento. Il controllore scatterà le foto con uno smartphone, le immagini saranno collegate al verbale e in caso di disconoscimento del documento saranno utilizzate nell’iter di riscossione e a tutela della persona eventualmente e ingiustamente coinvolta, ovvero quella le cui generalità sono state fornite in sostituzione di quelle del trasgressore. Questa procedura è già in uso in altre città e Regioni in cui è stata accertata una forte tendenza da parte dei trasgressori delle regole di viaggio a fornire nomi e cognomi falsi o di altre e incolpevoli persone fisiche.Editor: dott.ssa Claudia Cunsolo

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Malversazione a danno dello Stato: configurabile in caso di prestito Covid?

2 lug. 2021 tempo di lettura 6 minuti

Il decreto liquidità (d.l. n. 23/2020) tra le misure adottate per far fronte all'emergenza da COVID-19 ha previsto anche la possibilità per le imprese di chiedere un finanziamento garantito da SACE. Quest’ultima è una società per azioni avente quale unico socio Cassa Depositi e Prestiti, e concede garanzia su finanziamenti sotto qualsiasi forma erogati alle imprese, colpite dall’emergenza Covid-19, che hanno sede legale in Italia. La legge prevede, inoltre, un vincolo di scopo per il finanziamento coperto da questa garanzia. L’impresa che non rispetti tale vincolo di destinazione è perseguibile per il reato di malversazione a danno dello Stato ex art. 316 bis c.p.?Il finanziamento garantito da SACE e le sue caratteristichePresupposti del reato di malversazione a danno dello Stato (art. 316 bis c.p.)Decisione della Corte di Cassazione n. 22119 del 2021 1 - Il finanziamento garantito da SACE e le sue caratteristicheLa cd. Garanzia Italia di SACE è uno strumento di supporto previsto dal decreto liquidità (d.l. n. 23/2020) a favore delle imprese, alle quali possono essere rilasciate garanzie a condizioni agevolate, controgarantite dallo Stato, sui finanziamenti per liquidità, ristrutturazioni e investimenti erogati dagli istituti di credito.Le imprese che vogliano richiedere tale agevolazione non devono avere una specifica forma giuridica né operare in un particolare settore, ma devono avere i seguenti requisiti:sede in Italia;che si siano trovate in una situazione di difficoltà in un momento successivo al 31 dicembre 2019, a seguito dell’epidemia di Covid-19;che abbiano fino a 249 dipendenti che hanno già utilizzato il Fondo Centrale di Garanzia fino a completa capienza.Per ottenere la garanzia SACE l’impresa deve richiedere alla banca (o altro soggetto abilitato all'esercizio del credito) un finanziamento con garanzia dello Stato. Il soggetto finanziatore verifica i criteri di eleggibilità, effettua istruttoria creditizia e, in caso di esito positivo del processo di delibera, inserisce la richiesta di garanzia nel portale online di SACE. Quest’ultima processa la richiesta e, in caso di esito positivo del processo di delibera, assegna un Codice Unico Identificativo (CUI) ed emette la garanzia, controgarantita dallo Stato. A quel punto, il soggetto finanziatore eroga al richiedente il finanziamento richiesto con la garanzia di SACE controgarantita dallo Stato.La legge prevede, inoltre, un vincolo di scopo per il finanziamento coperto dalla garanzia: il finanziamento deve essere destinato a sostenere costi del personale, dei canoni di locazione o di affitto di rami di azienda, investimenti o capitale circolante impiegati in stabilimenti produttivi e attività imprenditoriali che siano localizzati in Italia. Tale requisito deve essere “documentato e attestato” dal rappresentante legale dell’impresa beneficiaria (art. 1, co. 2, lett. n.).2 - Presupposti del reato di malversazione a danno dello Stato (art. 316 bis c.p.)Il reato previsto dal legislatore all’art. 316 bis c.p. è un reato inserito nel Titolo II tra i reati contro la Pubblica Amministrazione, e punisce con la pena della reclusione da sei mesi a quattro anni il privato che, avendo ricevuto particolari contributi, sovvenzioni e finanziamenti caratterizzati da uno specifico vincolo di destinazione, li utilizzi invece per finalità differenti da quelle prestabilite.Questa fattispecie, dunque, non si occupa affatto della fase genetica (cioè di come il privato abbia ottenuto quelle somme), ma si occupa della fase successiva, e cioè della fase dell’utilizzo e dell’impiego delle somme di denaro che il privato abbia ricevuto dalla PA. È quindi una fattispecie profondamente diversa da quelle previste dagli artt. 640, 640bis e 316 ter c.p. (rispettivamente, truffa, truffa aggravata per il perseguimento di erogazioni pubbliche e indebita percezione a danno dello Stato). Queste norme si riferiscono alle condotte dirette ad ottenere questi finanziamenti, e puniscono il privato che abbia ricevuto le somme dallo Stato mediante raggiri o dichiarazioni false. L’art. 316 bis c.p., invece, presuppone che il soggetto abbia già questo denaro, e guarda a come lo stesso venga impiegato. Secondo la tesi prevalente, infatti, la fattispecie di cui all’art. 316 bis c.p. concorre con le altre appena esaminate: il soggetto dovrà eventualmente rispondere di entrambi i reati; non può esserci un concorso apparente di norme, trattandosi di due fasi totalmente diverse, ma ci sarà invece concorso di reati.Ai sensi dell’art. 316 bis c.p. il finanziamento deve essere caratterizzato da un vincolo di destinazione. Il privato deve avere l’obbligo di impiegare le somme ricevute per una certa finalità; non può configurarsi il reato di malversazione a danno dello Stato nel caso in cui si tratti di un ordinario finanziamento senza vincoli. Si evidenzia, peraltro, che viene punito non solo chi impiega il denaro per una finalità del tutto privatistica, ma anche chi lo impiega sempre per una finalità pubblica ma diversa da quella prestabilita. Anche se il denaro è stato impiegato per un’attività di interesse pubblico, ma diversa rispetto a quella per il quale il denaro è stato erogato, allora si ricadrà nella malversazione. Lo stesso vale per il non impiego. 3 - Decisione della Corte di Cassazione n. 22119 del 2021 Alla luce di quanto finora esposto, si potrebbe ritenere che possa configurarsi il reato di malversazione a danno dello Stato (art. 316 bis c.p.) in capo all’impresa che, una volta ricevuto il finanziamento vincolato garantito da SACE, lo utilizzi per finalità diverse da quelle indicate dalla legge. Apparentemente, infatti, sussistono tutti i requisiti: ottenimento di un finanziamento, sussistenza di un vincolo di destinazione, utilizzo per una finalità diversa da quella prestabilita.Tuttavia, di recente la Corte di Cassazione (sent. n. 22119 del 2021) ha escluso la configurabilità del reato in esame nel caso di finanziamento garantito da SACE. In primo luogo, la Corte ha ricordato come la fattispecie prevista dall’art. 316 bis c.p. sia posta a tutela della corretta gestione e utilizzazione delle risorse pubbliche destinate a fini di incentivazione economica. Di seguito, ha poi evidenziato che invece il finanziamento erogato ai sensi del cd. decreto liquidità, come convertito dalla Legge n. 40/2020, non è idoneo ad integrare il presupposto della condotta esaminata: la condotta di sviamento del finanziamento ricevuto dall’istituto di credito, e quindi l’utilizzo dello stesso per un fine differente da quello prestabilito, non può essere ricondotto nell'ambito del reato di malversazione ai danni dello Stato.Nella fattispecie in esame, infatti, il finanziamento, anche se connotato da una particolare agevolazione (e quindi da onerosità attenuata) e nonostante sia destinato alla realizzazione delle finalità di interesse pubblico, non viene erogato direttamente dallo Stato o da un ente pubblico, bensì da un soggetto privato (nella specie, un istituto bancario).Mancherebbe, quindi, un elemento fondamentale per la sussistenza del reato contro la Pubblica Amministrazione ex art. 316 bis c.p., e cioè l’utilizzo indebito di risorse pubbliche. Dunque, nel caso in cui l’impresa abbia ottenuto il finanziamento garantito da SACE e destini le somme ricevute ad una finalità differente da quella prestabilita dal d. l. n. 23/2020 non potrà essere chiamato a rispondere del reato di malversazione a danno dello Stato. Solo l'inadempimento dell’obbligazione restitutoria renderà operativa la garanzia pubblica e, in assenza di tale presupposto, ogni onere connesso all'erogazione del finanziamento rientra esclusivamente nel rapporto principale tra l'impresa ed il soggetto finanziatore, che è un rapporto privatistico.Editor: dott.ssa Claudia Cunsolo

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Il reato di epidemia e l’emergenza da Covid-19

12 mar. 2021 tempo di lettura 6 minuti

A causa dell’emergenza da Covid-19 si è sentito parlare spesso del reato di epidemia, previsto dal codice penale nella duplice ‘veste’ di delitto doloso e colposo. Cerchiamo dunque di comprendere gli elementi costitutivi di questa fattispecie e se, con riferimento all’epidemia causata dalla diffusione del virus da Covid-19, vi possano effettivamente essere gli elementi idonei a giustificare una contestazione in sede penale.Premessa.Cosa prevede il reato di epidemia dolosa?(Segue) e quello di epidemia colposa?Tali fattispecie incriminatrici possono applicarsi in caso di Covid-19?1 - Premessa.In materia penale, l’epidemia è disciplinata in due disposizioni differenti del codice penale: vale a dire gli artt. 438 e 452 c.p. Come si dirà, l’elemento oggettivo delle fattispecie incriminatrici è il medesimo; differiscono, invece, in punto di coefficiente psicologico. In un caso (art. 438 c.p.), ai fini dell’integrazione del reato è necessaria la sussistenza del dolo, inteso quale rappresentazione e volizione di tutti gli elementi costitutivi del delitto; nell’altro (art. 452 c.p.), l’elemento soggettivo richiesto è quello della colpa. In quest’ultima ipotesi, dunque, l’evento non è voluto dall’agente, ma si verifica a causa di negligenza, imprudenza, imperizia o inosservanza di disposizioni. Il bene giuridico tutelato dalle disposizioni incriminatrici è ovviamente il medesimo: consiste nella tutela dell’incolumità pubblica e, in particolare, nella salvaguardia della salute collettiva. A tal riguardo, secondo l’opinione maggioritaria – avallata anche dalla giurisprudenza di legittimità – la persona offesa del reato è unicamente lo Stato e, per esso, il Ministero della Salute quale organo di vertice dell’esecutivo preposto alla tutela della salute. Si ritiene, infatti, che lo Stato sia l’esclusivo titolare del bene giuridico protetto dalla norma e, pertanto, sarebbe la parte legittimata a costituirsi parte civile nell’ambito di un procedimento penale avente quale capo di imputazione il reato di epidemia.L’applicazione giurisprudenziale del delitto in questione (sia doloso che colposo) è stata pressoché nulla. Tuttavia, in ragione della ancora attuale emergenza epidemiologica dovuta alla diffusione del virus da Covid-19, può essere opportuno interrogarsi su quali siano gli elementi costitutivi della fattispecie in esame. Non è da escludere, infatti, che nei prossimi tempi gli organi inquirenti si trovino a dover contestare, laddove ne ricorrano i presupposti, il reato di epidemia.2 - Cosa prevede il reato di epidemia dolosa?Secondo quanto prescritto dall’art. 438 c.p., il reato può venire in rilievo qualora una persona abbia cagionato un’epidemia mediante la diffusione di germi patogeni. Come prima cosa, è bene sottolineare che ai fini dell’integrazione del delitto non è richiesto il possesso di una particolare qualifica in capo al soggetto attivo: il reato – per via della locuzione ‘chiunque’ – è di natura c.d. comune. Ad avviso della più recente giurisprudenza di legittimità è possibile contestare il delitto di epidemia anche qualora non via sia un’alterità tra persona e germi patogeni, in altri termini nei casi in cui il soggetto attivo diffonda il virus che egli stesso ha precedentemente contratto. La specificazione è necessaria poiché, in passato, si riteneva che l’espressione «mediante la diffusione di germi patogeni» dovesse essere interpretata nel senso di richiedere una separazione fisica tra il diffusore e ciò che viene diffuso (vale a dire il germe patogeno). Chiarissima sul punto una recente pronuncia della Corte di cassazione, ad avviso della quale «la norma non impone una relazione di alterità e non esclude che una diffusione possa aversi pur quando l’agente sia esso stesso il vettore di germi patogeni» (Cass. pen., sez. I, 30 ottobre 2019, n. 48014, vicenda relativa alla trasmissione del virus HIV nell’ambito della quale i giudici hanno escluso la sussistenza del delitto di epidemia). Secondo l’opinione prevalente, inoltre, il fatto tipico del reato qui analizzato coincide, da un lato, con la manifestazione della malattia in un numero considerevole di persone e, dall’altro, nel concreto pericolo che il contagio si diffonda repentinamente – e in un ristretto arco temporale – in un numero indeterminato di persone. Ciò che deve essere verificato processualmente è che l’iniziale trasmissione del virus in un elevato quantitativo di persone sia ricollegabile causalmente alla condotta posta in essere dal soggetto portatore del virus: dimostrazione probatoria, quest’ultima, di non semplice assolvimento. In punto di elemento soggettivo, la norma richiede, come anticipato, la sussistenza del dolo (anche nella gradazione del dolo eventuale). In altri termini, è anzitutto necessario che la persona si rappresenti l’eventualità che tramite la sua condotta potrebbe infettare un numero significativo di persone e, conseguentemente, determinare una diffusione indiscriminata e incontrollabile della malattia; una volta rappresentatosi l’evento criminoso, è poi necessario che il comportamento della persona sia volontario. Quanto al trattamento sanzionatorio, infine, il legislatore ha previsto la pena dell’ergastolo. 3 - (Segue) e quello di epidemia colposa?La fattispecie colposa, disciplinata come detto dall’art. 452 c.p., differisce dall’ipotesi punita a titolo di dolo, non soltanto per il diverso atteggiarsi dell’elemento soggettivo, ma anche per il trattamento sanzionatorio, in quest’ultimo caso decisamente più mite rispetto a quello dell’art. 438 c.p.A fronte dell’ergastolo previsto per l’epidemia dolosa, l’ipotesi colposa è sanzionata con la reclusione da uno a cinque anni (art. 452, co. 1 lett. b) c.p.). Per quanto riguarda l’elemento oggettivo del reato, invece, le considerazioni non possono che essere analoghe a quelle formulate rispondendo alla domanda precedente: la condotta dell’epidemia colposa è infatti descritta per rinvio all’art. 438 c.p.4 - Tali fattispecie incriminatrici possono applicarsi in caso di Covid-19?In ragione dell’attuale situazione epidemiologica nazionale e internazionale, riteniamo sussista tuttora la concreta possibilità di contestazione dei reati sopra descritti. Una tale eventualità era stata avallata dallo stesso legislatore, il quale – nel mettere a punto un sistema di sanzioni volto a far rispettare le misure di contenimento adottate durante il primo lockdown del 2020 per fronteggiare la diffusione del virus – aveva fatto esplicito riferimento al delitto di epidemia: in particolare, l’art. 4, co. 6 d.l. 19/2020 prevedeva un’espressa clausola di riserva in favore del reato di cui all’art. 452 c.p., relativa all’ipotesi di violazione della misura della quarantena. In virtù di quanto si è detto, è tuttavia necessario specificare che sarà onere del giudice vagliare, caso per caso, la sussistenza di tutti gli elementi sopra descritti. A tal proposito, si ritiene inverosimile che possa essere condannato per epidemia (anche soltanto colposa) chi abbia posto in essere una condotta inidonea, in concreto, a far diffondere il virus in maniera incontrollata. Si pensi, ad esempio, al comportamento di chi – sottoposto a quarantena per via della positività al Covid-19 – sia uscito di casa per recarsi in un posto notoriamente desolato; o anche all’ipotesi della persona positiva che esca in piena notte dalla propria dimora per andare a gettare la spazzatura negli appositi locali condominiali. In tali circostanze, infatti, pare ragionevole ritenere che non sussista in concreto alcun pericolo di trasmissione rapida e incontrollata del virus. Editor: avv. Davide Attanasio

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Dichiarazioni false nell’autocertificazione: è configurabile un reato?

25 feb. 2021 tempo di lettura 7 minuti

Ormai, da quasi un anno, il nostro Paese, così come il mondo intero, si trova a dover affrontare una emergenza epidemiologica a fronte della quale tantissime libertà fondamentali hanno subìto una forte limitazione. Invero, al fine di impedire una incontrollata diffusione del virus Covid-19, il legislatore ha previsto delle misure di contenimento, tra le quali non è permesso al cittadino di muoversi liberamente nel territorio italiano. Sono previste delle deroghe solo per motivi espressamente indicati (motivi di necessità, lavoro e salute), che devono essere attestati dal privato mediante lo strumento appositamente previsto: l’autocertificazione. Ma quali sono le conseguenze a fronte di una falsità dichiarata in tale autocertificazione?Cosa è l’autocertificazione e quando deve essere utilizzataI diversi tipi di falso in atto pubblico integrabili dal privatoQuando non è integrato il reato di cui all’art. 483 c.p.1 - Cosa è l’autocertificazione e quando deve essere utilizzataNel corso dell’ultimo anno, sarà capitato a chiunque di dover ricorrere all’utilizzo dello strumento predisposto dal legislatore per giustificare un proprio spostamento: l’autocertificazione. Com’è noto, sono state previste forti misure di contenimento, in modo da limitare la diffusione del virus Covid-19, alla luce delle quali è stata particolarmente incisa la libertà di circolazione (sia all’interno della propria Regione, o addirittura della singola città, nei momenti più difficili dell’epidemia; sia all’interno del territorio nazionale, e quindi tra diverse Regioni). In ogni caso, il legislatore ha sempre previsto delle deroghe espresse, permettendo gli spostamenti che fossero motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero gli spostamenti per motivi di salute. È stato quindi inserito sul sito web del Ministero dell’Interno un modello di “autodichiarazione” ai sensi degli artt. 46 e 47 DPR 445/2000, scaricabile e utilizzabile da qualsiasi cittadino che avesse la necessità di spostarsi, trovandosi in una delle situazioni di deroga espressamente previste.L’autocertificazione, quindi, è quell’atto mediante il quale un soggetto, a seguito del controllo delle Forze dell’Ordine, attesta che il mancato rispetto delle disposizioni in tema di limitazione della libertà di movimento è dovuto ad una delle ragioni previste dal potere esecutivo. Nello specifico, ai sensi degli artt. 46 e 47 D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 ciascun individuo è chiamato a dichiarare: le proprie generalità (tra cui, la propria utenza telefonica); di essere consapevole delle conseguenze penali previste in caso di dichiarazioni mendaci al Pubblico ufficiale; di non essere sottoposto alla misura della quarantena; di non essere risultato positivo al virus Covid-19; di essersi spostato dal luogo A con destinazione B; di essere a conoscenza delle misure di contenimento del contagio adottate; di essere a conoscenza delle limitazioni ulteriori adottate dal Presidente della propria Regione di appartenenza; di essere a conoscenza delle sanzioni previste dall’art. 4 D.L. 25 marzo 2020, n. 19 e dall’art. 2 D.L. 16 maggio 2020, n. 332 - I diversi tipi di falso in atto pubblico integrabili dal privatoPacificamente, le falsità inerenti il primo punto richiesto dall’autocertificazione, e quindi le proprie generalità, integrano il reato di “Falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri” previsto dall’art. 495 c.p., che punisce con la reclusione da uno a sei anni chiunque dichiara o attesta falsamente al pubblico ufficiale l’identità, lo stato o altre qualità della propria o dell’altrui persona.Peraltro, nel concetto di “altre qualità” rientrano anche quelle informazioni che concorrono a stabilire le condizioni della persona, ad individuare il soggetto e consentire la sua identificazione; e quindi, vi rientrano dati come la residenza e il domicilio, la professione, il grado accademico, l'ufficio pubblico ricoperto, le eventuali precedenti condanne e ogni altro attributo che serva ad integrare la individualità della persona.Quindi, il privato può incorrere nel reato di cui all’art. 495 c.p. solo nel caso in cui la falsità attiene ad uno degli elementi sopracitati, e non anche se ad essere falsa è la motivazione della propria presenza in strada.  In questo diverso caso, potrebbe essere integrato il diverso reato di “Falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico” previsto all’art. 483 c.p., secondo cui chiunque attesta falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, fatti dei quali l'atto è destinato a provare la verità, è punito con la reclusione fino a due anni.Tale delitto si configura solo nel momento in cui il privato sia obbligato a dire il vero da una norma giuridica (anche extra-penale), in quanto vengono ricollegati specifici effetti probatori all’atto-documento nel quale la dichiarazione viene inserita. Peraltro, non è necessario che l’obbligo di dire la verità sia esplicito, ma può trovare anche un aggancio “implicito” in una norma di legge. È, inoltre, richiesta la sussistenza di un atto pubblico, e non è sufficiente una mera scrittura privata: il delitto di falso ideologico commesso dal privato in atto pubblico riguarda solo quelle attestazioni del privato che il pubblico ufficiale ha il dovere di documentare. L’autocertificazione rientra nell’ambito dell’art. 47 D.P.R. 445/00, il quale consente di sostituire l’atto di notorietà con una dichiarazione che abbia ad oggetto, tra gli altri, fatti che siano a diretta conoscenza dell’interessato. In questo modo, l’autocertificazione acquista il potere di comprovare i fatti di cui si è a conoscenza, assumendo efficacia probatoria e natura di atto pubblico. Per quanto concerne l’obbligo di verità imposto al privato, questo si desume dall’art. 76 del medesimo D.P.R. n. 445/00 secondo il quale “le dichiarazioni sostitutive rese ai sensi degli articoli 46 e 47 sono considerate come fatte a pubblico ufficiale”, richiamando il precetto di cui all’art. 483 c.p.Pertanto, chi inserisce affermazioni non veritiere nell’autocertificazione, considerata quale dichiarazione sostitutiva di atto notorio, è considerato al pari di chi rende dichiarazioni false al Pubblico ufficiale, le quali verranno inserite da quest’ultimo in un atto che è destinato a costituire prova della verità del fatto recepito. Sussistono conseguentemente tutti i requisiti strutturali dell’art. 483 c.p.: obbligo di verità, efficacia probatoria dell’atto, equivalenza tra autodichiarazione e dichiarazioni rese al Pubblico ufficiale.3 - Quando non è integrato il reato di cui all’art. 483 c.p.Si evidenzia che vi sono dei casi in cui il reato di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico potrebbe non sussistere.Ai sensi dell’art. 483 c.p., l’oggetto della falsa attestazione deve essere un “fatto”, e quindi un evento della vita o una circostanza che sono prospettati come già realizzati e/o materializzati nella realtà esteriore, e il cui accertamento è già possibile in rerum natura. Si tratta di quei casi in cui il privato dichiari di essere in strada per “aver già compiuto” una certa azione che venga giustificata dai motivi di deroga del DPCM (es. “sono stato a lavoro presso la sede sita in ...”; “sto tornando a casa dopo aver portato generi alimentari e medicinali a mia madre anziana”, etc.). Nel caso in cui la falsità attenga ad un fatto già compiuto, ben potrà essere integrato il reato di cui all’art. 483 c.p.Diverso è il caso in cui nell’autocertificazione venga esplicitata l’intenzione di compiere un fatto, che però non sia ancora realizzato nella sua completezza. Invero, la dichiarazione, in questi casi, ha per oggetto una mera intenzione (es. “sto andando a fare la spesa”; “sto andando a lavoro”; “sto andando in farmacia per acquistare il medicinale x”), per il quale l’accertamento, e la conformità alla realtà è possibile solo in un momento successivo. Il fatto in sé non è ancora materializzato nella realtà esteriore, e quindi si ritiene non possa essere configurata la fattispecie delittuosa ex art. 483 c.p. In questo caso ad essere attestato è un mero intento, un proposito che sfugge all’oggetto della falsità penalmente rilevante.Ciò appare conforme alla impostazione dell’ordinamento giuridico italiano, secondo cui non si può essere puniti per una mera intenzione o per un’idea, ma richiede invece la sussistenza di una condotta materiale ed esistente in rerum natura. Diversamente, verrebbe violato il principio di offensività e di materialità, tutelato a livello costituzionale dall’art. 25 Cost.In conclusione, sarà necessario distinguere tra diverse condotte:le dichiarazioni mendaci rese in ordine agli elementi identificativi della persona, che assumono rilevanza ai sensi dell’art. 495 c.p.; le dichiarazioni rese in ordine ai fatti già compiuti, rilevanti con riguardo all’art. 483 c.p.;ed infine, le dichiarazioni false riguardanti le intenzioni (e, quindi, tutte quelle che concernono le “destinazioni” dei propri spostamenti) che, in quanto future ed incompiute, non possono rappresentare “fatti” su cui fondare la sanzione penale per il reato di falso da ultimo esaminato.Editor: dott.ssa Claudia Cunsolo

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