Avv. Francesco Bellocchio
Abstract: Nel caso in cui all’imputato venga contestato il reato di detenzione di sostanze stupefacenti, ex art. 73 co. V del D.p.r n. 309 del 1990, è esclusa la possibilità di confiscare le somme di denaro, in quanto non costituiscono il profitto del reato.
1 – Il principio di diritto.
Con la sentenza n. 30861 del 13 luglio 2022, la quarta sezione della Suprema corte di cassazione ha espresso il principio di diritto secondo cui “ove venga ravvisata l’ipotesi di cui al quinto comma dell’art. 73co. V del D.p.r. n. 309/90, è possibile procedere alla confisca del denaro trovato in possesso dell’imputato solo in presenza dei presupposti di cui all’art. 240 co. 1 del codice penale”.
2 – Il fatto.
Il difensore del sig. M. B. proponeva ricorso per Cassazione avverso la sentenza pronunciata ai sensi dell’art. 444 c.p.p., con la quale, oltre ad irrogare la pena principale, ordinava altresì la confisca della somma di € 5.590,00 precedentemente sottoposta a sequestro.
La somma di denaro oggetto di sequestro veniva rinvenuta in parte all’interno dell’abitazione, ed in parte nel vano sottosella del motorino di sua proprietà.
La sentenza gravata considerava detta somma di denaro quale provento-profitto della cessione onerosa a terzi dello stupefacente, su una base prettamente indiziaria (mancata giustificazione della provenienza, dal possesso di un’agenda con annotati nomi di persone e cifre, assenza di attività lavorativa lecita).
3 – La sentenza.
L’approdo giurisprudenziale in commento, riprendendo quelli che sono gli orientamenti ormai consolidati sul tema (C. Pen. Sez. IV, n. 40912/16, Rv. 267900; C. Pen. Sez. VI, n. 55852/17, Rv. 272204), parte dal presupposto secondo cui “in caso di contestazione del reato ex art. 73 co. V del D.p.r. n. 309/90, è possibile procedere a confisca del denaro solo in presenza dei presupposti di cui all’art. 240 c.p. e non ai sensi degli artt. 85-bis (D.p.r. n. 309/90) o dell’art. 240-bis del codice penale”.
Come noto, l’art. 240 c.p. opera esclusivamente con riferimento al provento del reato per il quale l’imputato è stato condannato e non può, a contrario, avere ad oggetto i proventi di altre eventuali condotte antigiuridiche, estranee alla dichiarazione di responsabilità.
Orbene, secondo il Supremo consesso per poter confiscare le somme di denaro trovate in possesso dell'imputato è necessario, quindi, accertare l’esistenza del nesso di pertinenzialità fra la somma di denaro rinvenuta e il reato ascritto all’imputato; ne consegue che, venendo a mancare i presupposti applicativi dell’art. 240 c.p., non sono confiscabili le somme che, in ipotesi, costituiscono il ricavato di precedenti diverse cessioni di droga e sono destinate ad ulteriori acquisti della medesima sostanza, non potendo le stesse qualificarsi né come "strumento", né quale "prodotto", "profitto" o "prezzo" del reato.
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11 gen. 2021 • tempo di lettura 6 minuti
Il reato di diffamazione previsto dall’art. 595 c.p. è posto a tutela dell’onore e della reputazione di ciascun individuo. Tale reato si ritiene oggi pacificamente configurabile, nella forma aggravata di cui al comma 3, anche nel caso di condotte offensive realizzate mediante social network (come Facebook, Instagram, Twitter) e altri canali telematici (come blog, siti web, gruppi Whatsapp), che rappresentano ormai gli strumenti più utilizzati per la diffusione di contenuti offensivi. 1. Cosa prevede il reato di diffamazione “a mezzo social”?2. Quali sono le sanzioni previste dal codice penale?3. La diffamazione sussiste anche in caso di critica?4. Cosa fare se si è vittima di una diffamazione?1 - Cosa prevede l'art. 595 c.p. per il reato di diffamazione “a mezzo social”?Il reato di diffamazione “a mezzo social” è un’ipotesi aggravata del reato di diffamazione, previsto all’art. 595 c.p.; tale reato si configura quando sussistano alcuni requisiti, quali: L’offesa all’altrui reputazione, che si integra quando vengono lese, alterate o distorte qualità personali, sociali, morali, professionali di un individuo; essa si valuta considerando la portata offensiva delle parole utilizzate per comunicare un certo messaggio, in rapporto alla personalità dell’offeso e dell’offensore, del contesto di riferimento in cui le espressioni sono pronunciate e della coscienza sociale di quel momento storico.La comunicazione con più persone, che può verificarsi anche non contestualmente ma in tempi diversi, come nel caso di un post diffamatorio su Facebook, che può essere letto e condiviso in vari momenti da un numero indeterminato di persone.L’assenza della persona offesa, in ragione del pregiudizio derivante dall’impossibilità della stessa di difendersi nel momento della consumazione del reato. Ciò può verificarsi, ad esempio, quando il contenuto diffamatorio viene diffuso in una chat di gruppo in cui la persona offesa non è presente.La diffamazione realizzata tramite i social è da ricondursi all’ipotesi più grave prevista al comma 3 dell’art. 595 c.p., che fa riferimento all’offesa arrecata con «qualsiasi altra forma di pubblicità». La maggiore gravità di questa fattispecie deriva dal fatto che, in tali casi, si accentua l’offesa dell’onore e della reputazione della vittima perché il messaggio diffamatorio può essere comunicato a un numero di persone più elevato e ha maggiori possibilità di diffondersi. Infatti, la semplice “visita” del social o del sito implica la possibilità di conoscere il contenuto diffamatorio da parte di un numero indeterminato di persone; ma, ancor più pericolosamente, gli stessi contenuti possono essere anche condivisi “in proprio” dagli utenti, attraverso le varie funzioni di cui i social sono provvisti, senza effettive possibilità di controllo da parte degli autori dei contenuti stessi. Basti pensare che, attraverso la ricerca per tag o parola chiave, i “like”, gli screenshot e i salvataggi dei post, qualsiasi utente che sia venuto a contatto col contenuto può riportarlo all’attenzione generale in qualsiasi momento.Per tale ragione, la giurisprudenza ha ritenuto, ad esempio, irrilevante la circostanza che il “post” fosse pubblicato in un gruppo chiuso o sul profilo personale dell’utente, anche privato, nonché la grandezza del gruppo o il numero di destinatari originario – elementi, questi, che non eludono la possibile diffusione. È comunque necessario che la persona offesa sia individuabile, anche per esclusione o in via deduttiva, attraverso il riferimento a caratteristiche personali di cui i destinatari del messaggio siano a conoscenza, non essendo invece necessario che sia indicata espressamente attraverso le sue generalità. 2 - Quali sono le sanzioni previste dal codice penale?Nel caso di reato di diffamazione a mezzo social, si applicano le sanzioni previste all’art. 595 comma 3 c.p., cioè la reclusione da sei mesi a tre anni o la multa, non inferiore a 516 euro.La pena potrebbe aumentare, inoltre, nel caso in cui, come spesso accade in tali casi, l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato. In tal caso si applica anche la circostanza aggravante prevista al comma 2 del 595 c.p., e il giudice dovrà tenerne conto nel calcolo complessivo della pena.Ulteriore aggravante e conseguente aumento di pena può aversi nel caso di offesa arrecata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario o ad una sua rappresentanza, nonché ad una Autorità costituita in collegio.3 - La diffamazione sussiste anche in caso di critica?L’esigenza di tutela dell’altrui onore e reputazione, diritti fondamentali della persona, deve essere contemperata con il diritto, di pari rango primario e costituzionale, di manifestare liberamente il proprio pensiero.Il reato di diffamazione non è pertanto configurabile quando la condotta sia considerabile lecita perché, ai sensi dell’art. 51 c.p., costituisce esercizio di un diritto, come quello di critica.Ciò tuttavia vale purché il diritto sia esercitato nei limiti riconosciuti dalla legge e dalla giurisprudenza, quali: 1) la verità oggettiva dei fatti dichiarati (sui quali si fonda la valutazione del soggetto); 2) l’interesse pubblico alla conoscenza del fatto (la critica non può consistere in offese “gratuite”); 3) la c.d. continenza espressiva (cioè l’uso di un linguaggio adeguato, che pur se “colorito” deve comunque essere strumentale alla comunicazione e non alla mera offesa); 4) una congrua motivazione del giudizio di disvalore espresso. Essi vanno in ogni caso parametrati nel contesto di riferimento.A tal proposito, può notarsi come la giurisprudenza abbia ritenuto che l’ironica recensione pubblicata da un utente insoddisfatto su portali di recensione come Tripadvisor o Airbnb non sia diffamatoria perché il gestore di un esercizio pubblico, quando entra nel mercato, accetta il rischio di offrire servizi non graditi e criticabili.4 - Cosa fare se si è vittima di diffamazione?Nel caso in cui si ritenga di essere stati vittime di una diffamazione, sussistono diversi rimedi praticabili.Innanzitutto, vi sono quelli più immediati, ma di portata limitata, relativi al social network stesso. Di norma è infatti possibile segnalare il contenuto offensivo di un messaggio, chiedendone la cancellazione immediata o perfino il “ban” dell’utente dalla piattaforma.È poi possibile intraprendere la via giudiziale, sia in sede penale, sia – alternativamente o contestualmente – in sede civile.La vittima del reato può decidere di sporgere formale querela, entro 90 giorni dalla verificazione dei fatti e in seguito può costituirsi parte civile per chiedere il risarcimento dei danni subiti, oppure instaurare un’autonoma azione in sede civile per ottenere il risarcimento stesso. A tal fine, è possibile anche promuovere la sola azione civile, senza intraprendere il procedimento penale.La persona offesa dalla diffamazione potrà chiedere il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale, quali la riduzione dei redditi conseguente alla condotta diffamatoria (rileva anche la perdita di occasioni lavorative importanti), ma anche le conseguenze derivate dalla lesione dei suoi diritti inviolabili. Al fine di garantire una tutela immediata della vittima, in sede penale, il giudice potrà disporre in sede cautelare il sequestro preventivo delle pagine web in cui il messaggio diffamatorio è contenuto, ad esempio dei gruppi Facebook, con l’oscuramento dei profili sulla pagina web qualora ritenga sussistente il pericolo di aggravamento o protrazione delle conseguenze o l’agevolazione del reato stesso. Non si applicano, infatti, le tutele previste per la stampa e i giornali telematici, che limitano le possibilità dei rimedi cautelari.In sede civile, è pure possibile richiedere un intervento cautelare d’urgenza ai sensi dell’art. 700 c.p.c., richiedendo la cancellazione dei contenuti diffamatori anche prima dell’avvio del giudizio.Editor: dott.ssa Anna Maria Calvino
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Egregio Avvocato
28 gen. 2021 • tempo di lettura 7 minuti
Nel processo penale italiano grande rilevanza probatoria viene data alle dichiarazioni rese dai testimoni nel corso del dibattimento, in quanto reale espressione del principio del contraddittorio, dell’oralità e dell’immediatezza. Ma quali sono gli obblighi cui è soggetto il cittadino chiamato a testimoniare? Quali sono le responsabilità e le conseguenze cui può andare incontro? Sono previste delle ipotesi di non punibilità?Chi è il testimone?Quali sono gli obblighi del testimone? Quali sono le conseguenze in caso di violazione degli obblighi? In quali casi il testimone che dichiara il falso potrebbe andare esente da pena?1 - Chi è il testimone?Il testimone è un soggetto avente un ruolo fondamentale nel processo penale italiano, ed in particolare nella fase del dibattimento. Il principio cardine del processo penale, infatti, è il principio del contraddittorio, con i corollari principi dell’oralità e dell’immediatezza, alla luce dei quali il giudice penale deve formare il proprio convincimento (di assoluzione o di condanna) mediante delle prove che si formino nel processo stesso, e non mediante delle prove cd. precostituite. La testimonianza, e quindi il ruolo del testimone, rispecchia pienamente questa esigenza di oralità ed immediatezza, in quanto le dichiarazioni vengono rese non solo davanti al giudice che sarà poi chiamato a decidere, ma dinanzi alle parti processuali, cioè il PM, l’imputato e il difensore di quest’ultimo, i quali potranno rivolgere delle domande al dichiarante. L’esame del testimone, invero, avviene nel contesto del cd. “esame incrociato”, ove le domande verranno poste prima dalla parte che ha chiesto la presenza di quel soggetto come testimone (esame), poi dall’altra parte (controesame), a fronte del quale la prima parte potrà nuovamente porre altre domande (riesame), ed infine eventualmente anche dal giudice.Il testimone, dunque, è un soggetto informato dei fatti, che viene chiamato nel corso del dibattimento per rendere delle dichiarazioni inerenti al fatto di reato, oggetto del processo.2 - Quali sono gli obblighi del testimone?Il cittadino chiamato a testimoniare in un processo penale riceve un atto denominato “citazione testi”, di regola notificato con raccomandata se citato dai difensori dell’imputato o mediante ufficiale giudiziario se citato dal PM. In tale atto vengono indicati l’ora, il giorno e il luogo nel quale presentarsi, oltre che l’indicazione del procedimento penale per il quale è richiesta la dichiarazione testimoniale.L’art. 198 c.p.p. sancisce che il testimone ha l’obbligodi presentarsi dinanzi al giudice;di attenersi alle prescrizioni date dal giudice stesso per le esigenze processuali;di rispondere secondo verità alle domande che gli sono rivolte.Il cittadino, dunque, non ha la mera facoltà di presentarsi a testimoniare, ma – se chiamato – ha l’obbligo di presentarsi e rendere testimonianza, anche nel caso in cui precedentemente abbia già reso delle dichiarazioni sui medesimi fatti dinanzi ad altre autorità, come le Forze di Polizia. Il giudice, infatti, non è a conoscenza delle precedenti dichiarazioni eventualmente rese.Una volta presente in udienza, il cittadino verrà chiamato a sedersi al banco dei testimoni, dovrà qualificarsi fornendo le proprie generalità e dovrà impegnarsi nell’assunzione del proprio ruolo mediante la lettura a voce alta di una formula sacramentale, che verrà indicata dal giudice. Appare opportuno evidenziare che nell’ordinamento italiano questo impegno solenne non viene assunto mediante giuramento sulla Bibbia, alla luce della laicità dello Stato italiano, ma viene assunto invece mediante la lettura di una precisa formula volta a rendere consapevole il cittadino dell’importanza del ruolo assunto. Solo dopo la lettura di tale formula, e l’avvertimento da parte del giudice delle eventuali conseguenze cui il testimone può andare incontro, avranno inizio le domande, alle quali il testimone sarà obbligato a rispondere secondo verità.3 - Quali sono le conseguenze in caso di violazione degli obblighi?Il legislatore penale italiano, proprio alla luce del ruolo rilevante giocato dal testimone all’interno del processo, ha previsto delle conseguenze particolarmente incidenti per il soggetto che violi gli obblighi previsti dall’art. 198 c.p.p.In primo luogo, nel caso in cui il cittadino regolarmente chiamato a testimoniare non si presenti senza addurre un legittimo impedimento, o qualora l'impedimento addotto non sia ritenuto legittimo, il giudice potrà disporre il cd. accompagnamento coattivo: viene disposta un’ulteriore udienza alla quale il testimone dovrà essere accompagnato coattivamente dalle Forze dell’Ordine. Il giudice potrà, altresì, condannare il testimone al pagamento di una somma da €51 a €516 a favore della cassa delle ammende, nonché al pagamento delle spese alle quali la mancata comparizione ha dato causa, ai sensi dell'art. 133 c.p.p.In secondo luogo, una conseguenza ancor più grave è prevista nel caso di violazione dell’ulteriore obbligo: se il testimone nel corso del proprio esame non rispetta e viola l’obbligo di dire la verità commette un fatto penalmente rilevante, quale il reato di falsa testimonianza. L’art. 372 c.p. prevede, invero, la pena della reclusione dai due ai sei anni per chiunque, deponendo come testimone innanzi all’Autorità giudiziaria o alla Corte penale internazionale, realizzi una delle seguenti condotte:affermare il falsonegare il verotacere, in tutto o in parte, in merito a ciò che sa sui fatti sui quali è interrogato.In particolare, il reato di falsa testimonianza è un cd. reato proprio, in quanto – nonostante la disposizione legislativa faccia riferimento a “chiunque” – il reato può essere commesso solo da quel soggetto che abbia assunto la qualità di testimone; qualità che si assume nel momento in cui viene disposta la citazione dei testimoni.Il reato di falsa testimonianza si pone a tutela del bene giuridico dell’Amministrazione della giustizia ed è procedibile d’ufficio: non è richiesta la presentazione della querela, ma il giudice al termine del dibattimento potrà automaticamente trasmettere gli atti al PM affinché si proceda per l’accertamento della falsa testimonianza.Ulteriore caratteristica del reato di falsa testimonianza è quella di essere un cd. reato di pericolo. Affinché vi sia la condotta penalmente rilevante, è sufficiente che la dichiarazione sia pertinente all’oggetto del giudizio e suscettibile di incidere, seppur in astratto, sulla decisione giudiziaria; non è richiesto che in concreto il giudice sia stato influenzato o che in concreto abbia preso una decisione ingiusta. 4 - In quali casi il testimone che dichiara il falso potrebbe andare esente da pena?Una prima ipotesi si verifica nel caso in cui il testimone rilasci delle dichiarazioni false o reticenti, che però siano manifestamente inverosimili o riguardino circostanze del tutto irrilevanti ai fini del giudizio. Pur essendo un reato di pericolo, è necessario che vi sia compatibilità con il principio di offensività: la giurisprudenza ritiene che se la dichiarazione non ha nemmeno creato il pericolo della induzione in errore del giudice, e quindi non si è creato neanche un pericolo per l’amministrazione della giustizia, allora il soggetto non sarà punibile per assenza di offesa in concreto. L’art. 384 c.p. prevede due ulteriori ipotesi di non punibilità. Al primo comma dispone che non è punibile chi abbia commesso una falsa testimonianza al fine di salvare sé medesimo o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà e nell’onore. Secondo tale disposizione, quindi, il soggetto che si trovi costretto ad affermare il falso, negare il vero o tacere quanto sa in merito ai fatti di reato, al fine di evitare una lesione della propria libertà o dell’onore, non può essere punito per falsa testimonianza. Ciò risponde al principio secondo cui nessuno può essere obbligato ad auto-accusarsi ed a rilasciare dichiarazioni sulla propria responsabilità. L’art. 384 c.p., inoltre, prevede che il soggetto vada esente da pena non solo quando voglia salvare sé stesso, ma anche un prossimo congiunto. Ci si è chiesti se tale locuzione ricomprenda anche il convivente more uxorio: il legislatore penale, invero, ha preso una posizione precisa in merito alle parti di un’unione civile, inserendoli nella definizione di “prossimi congiunti” ai sensi dell’art. 307 c.p. (e per i quali è quindi senza dubbio applicabile l’art. 384 c.p.), non prendendo invece in considerazione il convivente di fatto. Se una lettura estensiva della disposizione sembra doverosa alla luce di una interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata, una diversa ricostruzione ritiene non potersi interpretare estensivamente la disposizione, avendo il legislatore implicitamente preso una decisione negativa in merito. Una diversa scelta legislativa è stata fatta in merito al reato di maltrattamenti, sul quale puoi leggere qui.Si evidenzia, infine, che l’art. 384 co. 1 c.p. non potrà essere applicato a quel prossimo congiunto che sia stato avvisato della facoltà di astenersi, e abbia deciso di rinunciare a tale facoltà così da rendere testimonianza. Invero, al prossimo congiunto è generalmente riconosciuta la facoltà di astenersi in un processo a carico di un proprio familiare, facoltà della quale deve essere ritualmente informato. Ma se il soggetto, una volta informato, decide comunque di rendere testimonianza, e di non avvalersi della facoltà di astensione, allora dovrà rispettare tutti gli obblighi previsti per il testimone dall’art. 198 c.p.p., non potendo invocare l’art. 384 c.p. nel caso in cui violi l’obbligo di dire la verità. Solo se il prossimo congiunto non venga ritualmente avvisato della facoltà di astenersi, e durante la testimonianza dichiari il falso, non potrà essere punito, ma ai sensi del comma 2 dell’art. 384 c.p., e quindi per violazione di una legge processuale. Editor: dott.ssa Claudia Cunsolo
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Egregio Avvocato
25 feb. 2021 • tempo di lettura 7 minuti
Ormai, da quasi un anno, il nostro Paese, così come il mondo intero, si trova a dover affrontare una emergenza epidemiologica a fronte della quale tantissime libertà fondamentali hanno subìto una forte limitazione. Invero, al fine di impedire una incontrollata diffusione del virus Covid-19, il legislatore ha previsto delle misure di contenimento, tra le quali non è permesso al cittadino di muoversi liberamente nel territorio italiano. Sono previste delle deroghe solo per motivi espressamente indicati (motivi di necessità, lavoro e salute), che devono essere attestati dal privato mediante lo strumento appositamente previsto: l’autocertificazione. Ma quali sono le conseguenze a fronte di una falsità dichiarata in tale autocertificazione?Cosa è l’autocertificazione e quando deve essere utilizzataI diversi tipi di falso in atto pubblico integrabili dal privatoQuando non è integrato il reato di cui all’art. 483 c.p.1 - Cosa è l’autocertificazione e quando deve essere utilizzataNel corso dell’ultimo anno, sarà capitato a chiunque di dover ricorrere all’utilizzo dello strumento predisposto dal legislatore per giustificare un proprio spostamento: l’autocertificazione. Com’è noto, sono state previste forti misure di contenimento, in modo da limitare la diffusione del virus Covid-19, alla luce delle quali è stata particolarmente incisa la libertà di circolazione (sia all’interno della propria Regione, o addirittura della singola città, nei momenti più difficili dell’epidemia; sia all’interno del territorio nazionale, e quindi tra diverse Regioni). In ogni caso, il legislatore ha sempre previsto delle deroghe espresse, permettendo gli spostamenti che fossero motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero gli spostamenti per motivi di salute. È stato quindi inserito sul sito web del Ministero dell’Interno un modello di “autodichiarazione” ai sensi degli artt. 46 e 47 DPR 445/2000, scaricabile e utilizzabile da qualsiasi cittadino che avesse la necessità di spostarsi, trovandosi in una delle situazioni di deroga espressamente previste.L’autocertificazione, quindi, è quell’atto mediante il quale un soggetto, a seguito del controllo delle Forze dell’Ordine, attesta che il mancato rispetto delle disposizioni in tema di limitazione della libertà di movimento è dovuto ad una delle ragioni previste dal potere esecutivo. Nello specifico, ai sensi degli artt. 46 e 47 D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 ciascun individuo è chiamato a dichiarare: le proprie generalità (tra cui, la propria utenza telefonica); di essere consapevole delle conseguenze penali previste in caso di dichiarazioni mendaci al Pubblico ufficiale; di non essere sottoposto alla misura della quarantena; di non essere risultato positivo al virus Covid-19; di essersi spostato dal luogo A con destinazione B; di essere a conoscenza delle misure di contenimento del contagio adottate; di essere a conoscenza delle limitazioni ulteriori adottate dal Presidente della propria Regione di appartenenza; di essere a conoscenza delle sanzioni previste dall’art. 4 D.L. 25 marzo 2020, n. 19 e dall’art. 2 D.L. 16 maggio 2020, n. 332 - I diversi tipi di falso in atto pubblico integrabili dal privatoPacificamente, le falsità inerenti il primo punto richiesto dall’autocertificazione, e quindi le proprie generalità, integrano il reato di “Falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri” previsto dall’art. 495 c.p., che punisce con la reclusione da uno a sei anni chiunque dichiara o attesta falsamente al pubblico ufficiale l’identità, lo stato o altre qualità della propria o dell’altrui persona.Peraltro, nel concetto di “altre qualità” rientrano anche quelle informazioni che concorrono a stabilire le condizioni della persona, ad individuare il soggetto e consentire la sua identificazione; e quindi, vi rientrano dati come la residenza e il domicilio, la professione, il grado accademico, l'ufficio pubblico ricoperto, le eventuali precedenti condanne e ogni altro attributo che serva ad integrare la individualità della persona.Quindi, il privato può incorrere nel reato di cui all’art. 495 c.p. solo nel caso in cui la falsità attiene ad uno degli elementi sopracitati, e non anche se ad essere falsa è la motivazione della propria presenza in strada. In questo diverso caso, potrebbe essere integrato il diverso reato di “Falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico” previsto all’art. 483 c.p., secondo cui chiunque attesta falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, fatti dei quali l'atto è destinato a provare la verità, è punito con la reclusione fino a due anni.Tale delitto si configura solo nel momento in cui il privato sia obbligato a dire il vero da una norma giuridica (anche extra-penale), in quanto vengono ricollegati specifici effetti probatori all’atto-documento nel quale la dichiarazione viene inserita. Peraltro, non è necessario che l’obbligo di dire la verità sia esplicito, ma può trovare anche un aggancio “implicito” in una norma di legge. È, inoltre, richiesta la sussistenza di un atto pubblico, e non è sufficiente una mera scrittura privata: il delitto di falso ideologico commesso dal privato in atto pubblico riguarda solo quelle attestazioni del privato che il pubblico ufficiale ha il dovere di documentare. L’autocertificazione rientra nell’ambito dell’art. 47 D.P.R. 445/00, il quale consente di sostituire l’atto di notorietà con una dichiarazione che abbia ad oggetto, tra gli altri, fatti che siano a diretta conoscenza dell’interessato. In questo modo, l’autocertificazione acquista il potere di comprovare i fatti di cui si è a conoscenza, assumendo efficacia probatoria e natura di atto pubblico. Per quanto concerne l’obbligo di verità imposto al privato, questo si desume dall’art. 76 del medesimo D.P.R. n. 445/00 secondo il quale “le dichiarazioni sostitutive rese ai sensi degli articoli 46 e 47 sono considerate come fatte a pubblico ufficiale”, richiamando il precetto di cui all’art. 483 c.p.Pertanto, chi inserisce affermazioni non veritiere nell’autocertificazione, considerata quale dichiarazione sostitutiva di atto notorio, è considerato al pari di chi rende dichiarazioni false al Pubblico ufficiale, le quali verranno inserite da quest’ultimo in un atto che è destinato a costituire prova della verità del fatto recepito. Sussistono conseguentemente tutti i requisiti strutturali dell’art. 483 c.p.: obbligo di verità, efficacia probatoria dell’atto, equivalenza tra autodichiarazione e dichiarazioni rese al Pubblico ufficiale.3 - Quando non è integrato il reato di cui all’art. 483 c.p.Si evidenzia che vi sono dei casi in cui il reato di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico potrebbe non sussistere.Ai sensi dell’art. 483 c.p., l’oggetto della falsa attestazione deve essere un “fatto”, e quindi un evento della vita o una circostanza che sono prospettati come già realizzati e/o materializzati nella realtà esteriore, e il cui accertamento è già possibile in rerum natura. Si tratta di quei casi in cui il privato dichiari di essere in strada per “aver già compiuto” una certa azione che venga giustificata dai motivi di deroga del DPCM (es. “sono stato a lavoro presso la sede sita in ...”; “sto tornando a casa dopo aver portato generi alimentari e medicinali a mia madre anziana”, etc.). Nel caso in cui la falsità attenga ad un fatto già compiuto, ben potrà essere integrato il reato di cui all’art. 483 c.p.Diverso è il caso in cui nell’autocertificazione venga esplicitata l’intenzione di compiere un fatto, che però non sia ancora realizzato nella sua completezza. Invero, la dichiarazione, in questi casi, ha per oggetto una mera intenzione (es. “sto andando a fare la spesa”; “sto andando a lavoro”; “sto andando in farmacia per acquistare il medicinale x”), per il quale l’accertamento, e la conformità alla realtà è possibile solo in un momento successivo. Il fatto in sé non è ancora materializzato nella realtà esteriore, e quindi si ritiene non possa essere configurata la fattispecie delittuosa ex art. 483 c.p. In questo caso ad essere attestato è un mero intento, un proposito che sfugge all’oggetto della falsità penalmente rilevante.Ciò appare conforme alla impostazione dell’ordinamento giuridico italiano, secondo cui non si può essere puniti per una mera intenzione o per un’idea, ma richiede invece la sussistenza di una condotta materiale ed esistente in rerum natura. Diversamente, verrebbe violato il principio di offensività e di materialità, tutelato a livello costituzionale dall’art. 25 Cost.In conclusione, sarà necessario distinguere tra diverse condotte:le dichiarazioni mendaci rese in ordine agli elementi identificativi della persona, che assumono rilevanza ai sensi dell’art. 495 c.p.; le dichiarazioni rese in ordine ai fatti già compiuti, rilevanti con riguardo all’art. 483 c.p.;ed infine, le dichiarazioni false riguardanti le intenzioni (e, quindi, tutte quelle che concernono le “destinazioni” dei propri spostamenti) che, in quanto future ed incompiute, non possono rappresentare “fatti” su cui fondare la sanzione penale per il reato di falso da ultimo esaminato.Editor: dott.ssa Claudia Cunsolo
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Egregio Avvocato
16 ago. 2023 • tempo di lettura 2 minuti
Tutela della disabilità nel diritto nazionaleNell’ordinamento penale sono presenti numerose disposizioni che configurano come reati determinate condotte in danno delle persone disabili. In alcune di queste la disabilità è considerata elemento costitutivo del reato stesso. Alcuni esempi sono rappresentati dai seguenti articoli del codice penale:558 bis, co 2: Costrizione o induzione al matrimonio ai danni di persona in condizioni di vulnerabilità o di inferiorità psichica574: Sottrazione di persone incapaci. 579, co 3, n.2: Omicidio del consenziente, quando questo è persona inferma di mente, o che si trova in condizioni di deficienza psichica, per un’altra infermità.591: Abbandono di persone minori o incapaci.593: Omissione di soccorso su persona incapace di provvedere a sé stessa, per malattia di mente o di corpo.600: Riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù quando la vittima versa in condizione di inferiorità fisica o psichica.609 bis, co 2 n.1: Violenza sessuale quando la vittima versa in condizione di inferiorità fisica o psichica al momento del fatto.612 bis: Atti persecutori su persone disabili (secondo la definizione specificata dall’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104).L’art. 36 della l. 104/1992 prevede invece un’aggravante speciale, ad effetto speciale, che comporta l’aumento – da un terzo alla metà – delle sanzioni penali, per i reati seguenti, quando compiuti ai danni di persona portatrice di minorazione fisica, psichica o sensoriale:art. 527 cp (atti osceni).Reati non colposi elencati nel libro secondo, titolo XII (dei delitti contro la persona) e titolo XIII (dei delitti contro il patrimonio) del codice penale.Reati di cui alla L. 75/1958 (c.d. “legge Merlin”): reclutamento, induzione, favoreggiamento, sfruttamento della prostituzione, qualora commessi in danno di persona portatrice di minorazione fisica, psichica o sensoriale come definite dall’art. 3 della medesima legge.L’aggravante prevista dall’articolo 36 non si applica però quando la condizione di disabilità della vittima integri già un elemento costitutivo o una circostanza aggravante speciale del reato.Prof. Dr. Giovanni Moscagiuro studio delle Professioni e Scienze forensi e Criminologia dell'Intelligence ed Investigativa Editori e Giornalisti europei in ambito investigativo Diritto Penale , Amministrativo , Tributario , Civile Pubblica Amministrazione , Esperto in Cybercrime , Social Cyber Security , Stalking e Cyberstalking, Bullismo e Cyberbullismo, Cybercrime, Social Crime, Donne vittime di violenza, Criminologia Forense, dell'Intelligence e dell'Investigazione, Diritto Militare, Docente di Diritto Penale e Scienze Forensi, Patrocinatore Stragiudiziale, Mediatore delle liti, Giudice delle Conciliazioni iscritto all'albo del Ministero di Grazia e Giustizia, Editori e Giornalisti European news Agencyenail: studiopenaleassociatovittimein@gmail.com
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