L'art. 640 c.p.: incorrere in una truffa navigando in internet

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Pubblicato il 18 gen. 2021 · tempo di lettura 6 minuti

L'art. 640 c.p.: incorrere in una truffa navigando in internet | Egregio Avvocato
Nella vita delle persone, al giorno d’oggi, è indispensabile l’utilizzo di internet, che sia per lo svolgimento dell’attività lavorativa o più semplicemente per l’organizzazione del proprio tempo libero. Specie nell’ultimo anno, in ragione della diffusione del virus Covid-19 e, di conseguenza, delle misure contenitive adottate dalle autorità per fronteggiare la diffusione dell’epidemia, internet ricorre in tutti i momenti della nostra giornata tipo. L’utilizzo della rete, tuttavia, può altresì comportare dei rischi, con dei risvolti, alle volte, anche di natura penale. È sempre più frequente, ad esempio, incorrere in siti internet che, dopo aver fatto acquisti online, si scoprono essere dei veri e propri contenitori vuoti, creati ad arte per truffare gli acquirenti. Proviamo a fare chiarezza, quindi, su quali siano gli elementi costitutivi del reato di truffa di cui all’art. 640 c.p. e su cosa debba farsi laddove si ritenga di essere vittima di una truffa perpetrata online.



  1. Quando può parlarsi di truffa penalmente rilevante?
  2. Quali sono le sanzioni previste dal codice penale?
  3. Cosa fare se si è vittima di truffa?
  4. Come fare per ottenere il risarcimento del danno?


1 - Quando può parlarsi di truffa penalmente rilevante?


Non tutti i comportamenti perpetrati in internet, sebbene illeciti, sono idonei a configurare il reato di truffa. Molti di questi potrebbero infatti integrare soltanto un illecito di natura civile. Ai fini di tale distinzione, è dunque necessario comprendere quali siano gli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 640 c.p.

La truffa, sul versante del diritto penale, si sostanzia nella condotta di chi, con artifizi o raggiri, inducendo un’altra persona in errore, procuri a sé o ad altri un profitto ingiusto, provocando l’altrui danno

In altre parole, una persona (il truffatore), attraverso l’artifizio o il raggiro, induce la vittima a fare un qualcosa che, senza la condotta truffaldina, non avrebbe fatto; in tal modo la persona offesa è portata a effettuare, in favore del truffatore, un’operazione di natura patrimoniale (un pagamento dal conto corrente ad esempio). Ai fini dell’integrazione del reato devono concretizzarsi tutti i citati elementi, che chiaramente sono strettamente interconnessi tra loro: l’induzione in errore della persona offesa, infatti, comporta l’atto di disposizione patrimoniale della stessa, il quale a sua volta determina contemporaneamente sia il danno a carico di quest’ultima che l’ingiusto profitto altrui.

Volendo brevemente approfondire i singoli elementi costitutivi menzionati, l’artifizio consiste nella manipolazione della realtà esterna, che si concretizza nella simulazione di circostanze inesistenti. Il raggiro, invece, si declina in un’attività di persuasione, finalizzata a ingenerare la convinzione in altri che una data circostanza – falsa – sia in realtà vera. 

Quanto al profitto, è pacifico che esso non debba assumere natura prettamente economica, ma può tradursi in una qualsiasi utilità percepita dal truffatore. Con riferimento al concetto di danno, infine, l’opinione maggioritaria è che si tratti di una lesione del patrimonio della persona offesa di natura strettamente economica (così ad esempio un bonifico effettuato in favore del finto esercente, che comporta una diminuzione quantitativa del proprio patrimonio).


2 - Quali sono le sanzioni previste dal codice penale?


In caso di accertamento positivo della responsabilità penale ai sensi dell’art. 640 c.p., la persona può essere condannata alla pena detentiva, che può spaziare da un minimo di sei mesi a un massimo di tre anni, e alla multa compresa tra 51 e 1.032 euro.

In taluni casi, tuttavia, è previsto un aggravio delle suddette sanzioni. Il legislatore, infatti, innalza la cornice edittale della reclusione da uno a cinque anni e quella della multa da 309 a 1.549 euro, laddove:



  1. il fatto venga commesso a danno dello Stato o di altro ente pubblico;
  2. la condotta truffaldina ingeneri nella vittima il timore di un pericolo immaginario o l’erroneo convincimento di essere obbligato a eseguire un ordine dell’autorità;
  3. si concretizzi la circostanza aggravante della c.d. minorata difesa di cui all’art. 61, co. 1 n. 5 c.p., vale a dire l’aver profittato di circostanze di tempo, luogo o di persona idonee a ostacolare la pubblica o privata difesa.


Si consideri, inoltre, che nei procedimenti penali aventi ad oggetto il reato di truffa, se il danno patrimoniale subito dalla persona offesa è di rilevante gravità, la Procura della Repubblica contesterà altresì la circostanza aggravante di cui all’art. 61, co. 1 n. 7 c.p., così comportando un aumento di pena sino a un terzo.


3 - Cosa fare se si è vittima di truffa?


La persona che ritiene essere vittima di una truffa deve rivolgersi quanto prima alle Forze dell’Ordine, cosicché quest’ultime possano attivarsi in tempi brevi per l’accertamento del comportamento illecito. Nel mondo di internet, in ragione del repentino mutamento delle pagine web o dei profili utilizzati per perpetrare la truffa, è sicuramente importante, per il buon esito dell’attività investigativa, che le autorità competenti intervengano repentinamente. A tal fine, può essere senz’altro utile effettuare nell’immediatezza dei fatti una segnalazione direttamente tramite il sito della polizia postale che, una volta ricevuta la potenziale notizia di reato, si attiverà immediatamente per verificare l’effettiva illiceità dei comportamenti rappresentati.

Il reato in questione, tuttavia, è procedibile a querela di parte, ad eccezione delle ipotesi aggravate sopra indicate. Ciò vuol dire che, ai fini del perseguimento dell’illecito in sede penale, è comunque necessario che la persona offesa sporga un’apposita querela. Quest’ultima può essere presentata, in forma scritta o orale, direttamente dalla vittima o per mezzo di un avvocato, opzione quest’ultima preferibile laddove la vicenda dovesse essere particolarmente complessa. La querela può essere sporta presso le stazioni locali delle Forze dell’Ordine (Carabinieri o Polizia di Stato); in alternativa, l’atto può essere depositato direttamente presso la Procura della Repubblica. In quest’ultimo caso, i fatti rappresentati dalla persona offesa verranno portati direttamente all’attenzione del pubblico ministero, soggetto quest’ultimo competente per lo svolgimento delle successive indagini. 

In ogni caso, l’aspetto essenziale da tenere in considerazione riguarda la tempistica con cui deve depositarsi la querela: ai sensi dell’art. 124 c.p., infatti, l’atto deve essere presentato entro tre mesi dalla conoscenza dei fatti. 


4 - Cosa fare per ottenere il risarcimento del danno?


Una volta instaurato il procedimento penale, la persona offesa, coadiuvata da un avvocato difensore, può decidere di richiedere il risarcimento del danno direttamente in sede penale o, alternativamente, in sede civile, instaurando con atto di citazione un giudizio separato e autonomo rispetto al procedimento penale. 

In sede penale, l’esercizio dell’azione civile avviene con il deposito, in udienza preliminare o comunque entro la verifica della costituzione delle parti prima dell’apertura del dibattimento, della dichiarazione di costituzione di parte civile. All’esito del dibattimento, inoltre, la parte civile deve depositare, in forma scritta, le proprie conclusioni, che devono comprendere la quantificazione dell’importo richiesto a titolo di risarcimento del danno. Laddove non si dovesse provvedere in questi termini, la costituzione di parte civile si intende revocata e, quindi, la vittima non potrà ottenere nel processo penale alcun tipo di risarcimento.  

In sede civile, invece, la persona danneggiata, ai fini dell’instaurazione del giudizio, deve notificare alla controparte l’atto di citazione, comprensivo delle ragioni poste a fondamento della propria richiesta di risarcimento del danno. 

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L’art. 640 c.p., infatti, prevede in ogni caso la pena detentiva da sei mesi a tre anni e una multa compresa tra 51 e 1.032 euro per colui il quale, attraverso artifizi o raggiri, induca taluno in errore provocando per sé o per altri un profitto ingiusto e, specularmente, arrecando un danno all’altra persona. Affinché il reato possa dirsi consumato, quindi, è necessario che la condotta truffaldina (gli artifizi o i raggiri) induca dapprima in errore la vittima, la quale è così portata ad avere un comportamento che altrimenti non avrebbe tenuto; da ciò deve derivarne, da un lato, un danno, che secondo l’opinione prevalente deve essere di natura patrimoniale, e dall’altro un profitto ingiusto, che invece può essere inteso anche in un senso non strettamente economico.2 - La circostanza aggravante della c.d. minorata difesaCon l’appellativo ‘minorata difesa’ si fa riferimento a una circostanza aggravante comune e ad efficacia comune – ossia che determina un aumento sino a un terzo della pena che dovrebbe essere inflitta per il reato ‘semplice’ – prevista dall’art. 61, co. 1 n. 5 c.p., che più specificatamente prescrive l’aggravamento di pena per “aver approfittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all’età, tali da ostacolare la pubblica o la privata difesa”. La circostanza aggravante, in altre parole, concerne una serie di situazioni legate a fattori ambientali o personali di cui il soggetto attivo del reato approfitta consapevolmente al fine di trarre in inganno la vittima. 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Specialmente negli ultimi anni – in ragione della repentina diffusione delle pratiche commerciali sul web – la Corte di cassazione ha affrontato la questione in svariate occasioni. I giudici di legittimità, nel riconoscere la potenziale sussistenza della circostanza aggravante in caso di truffa online, hanno identificato quale elemento dirimente ai fini dell’integrazione della minorata difesa la costante distanza intercorrente tra venditore e acquirente, i quali, operando tramite internet, si trovano in luoghi fisici diversi e, con ogni probabilità, molto distanti tra loro [così Cass. pen., sez. II, ud. 14 ottobre 2020 (dep. 13 gennaio 2021), n. 1085, nonché più di recente Cass. pen., sez. II, 14 gennaio 2021 (dep. 31 marzo 2021), n. 12427]. La distanza nella contrattazione, a ben vedere, pone il venditore in una posizione di vantaggio rispetto al soggetto acquirente, il quale, non avendo la possibilità di visionare personalmente il prodotto, per concludere la trattativa deve fidarsi delle immagini che gli vengono messe a disposizione. Inoltre, il venditore, utilizzando gli strumenti informatici e telematici, può schermare la propria identità, nonché sottrarsi con facilità alle conseguenze della propria condotta truffaldina. È di tutta evidenza, dunque, come le peculiarità della contrattazione telematica – determinando un ostacolo nella privata difesa – consentono il riconoscimento della circostanza aggravante di cui all’art. 61, co. 1 n. 5 c.p.Con riferimento alla condizione di ricorrenza dell’aggravante in questione – vale a dire la distanza nella contrattazione condotta tra acquirente e venditore – è tuttavia necessaria una specificazione. 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Ai sensi dell’art. 278 c.p.p., inoltre, differentemente dalla regola generale si tiene conto della minorata difesa nella determinazione della pena ai fini dell’applicazione delle misure cautelari. Da ciò ne discende, sempre con riferimento alla truffa, che innalzandosi la pena detentiva massima sino a cinque anni potrà essere disposta, laddove ricorrano i gravi indizi di colpevolezza e le esigenze cautelari, la custodia cautelare in carcere [questione peraltro oggetto della citata sentenza della Corte di cassazione, si veda supra Cass. pen., sent. n. 1085/2020].Editor: Avv. Davide Attanasio

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Generalità false al controllore: cosa si rischia

25 ott. 2021 tempo di lettura 4 minuti

Viaggiare su un mezzo pubblico sprovvisti di biglietto integra un illecito amministrativo, passibile di una comune contravvenzione. Ciò vale per qualsiasi mezzo pubblico, sia che si tratti di treno, di autobus o di metropolitana. Ma cosa succede nel caso in cui il viaggiatore non solo sia sprovvisto di biglietto, ma anche di documenti, e alla richiesta del controllore di fornire le proprie generalità risponda con dei dati non corrispondenti al vero?Il fatto: viaggiare senza biglietto ed essere interrogato dal controlloreIl reato: art. 495 c.p., false dichiarazioni a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altriLa casistica: i provvedimenti adottati in Romagna1 - Il fatto: viaggiare senza biglietto ed essere interrogato dal controllorePer utilizzare i mezzi pubblici di una città, che siano autobus, metropolitane, treni o altro, è pacifico che bisogna pagare un biglietto. Tutti i consociati in questo modo partecipano attivamente al benessere comune: si paga un servizio per ottenere il massimo da quello stesso servizio. Ne consegue che utilizzare i mezzi pubblici senza pagare il biglietto, oltre ad essere una condotta immorale, è anche una condotta passibile di sanzione: la condotta del viaggiatore senza biglietto integra un illecito amministrativo che viene punito con una comune contravvenzione. Nel momento in cui il controllore trova un passeggero senza biglietto è tenuto ad interrogarlo al fine di conoscere le sue generalità, così da compilare il verbale della multa. È possibile però che il viaggiatore non abbia con sé i documenti, non essendo tenuto a portarli con sé, e che dunque il controllore si debba fidare di quanto dichiarato dal viaggiatore stesso. Il controllore, infatti, non ha il potere di perquisire il privato per controllare se davvero è sprovvisto di documenti o meno, ma deve limitarsi ad interrogare il soggetto senza biglietto e compilare il modulo della multa con le generalità che gli vengono fornite.Nel caso in cui le generalità fornite siano false, viene integrato il reato di false attestazioni a pubblico ufficiale, punito dall’art. 495 c.p. Prima di vedere cosa comporta la commissione di questo reato, bisogna sottolineare che per parlare di falsa dichiarazione è necessario che questa segua un’interrogazione da parte del pubblico ufficiale: il mero silenzio e le dichiarazioni spontanee non costituiscono reato. Si può parlare di interrogazione soltanto se avviene in forma scritta tramite compilazione di moduli dell’ufficio a cui appartiene il pubblico ufficiale (si pensi, appunto, ad una contravvenzione sul treno).2 - Il reato: art. 495 c.p., false dichiarazioni a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altriL’articolo in esame stabilisce che «Chiunque dichiara o attesta falsamente al pubblico ufficiale l’identità, lo stato o altre qualità della propria o dell’altrui persona è punito con la reclusione da uno a sei anni».Non importa qual è il dato connotato da falsità: il reato viene commesso sia che si tratti del nome e cognome, sia che si tratti dell’indirizzo, o comunque di qualsiasi altro dato personale che viene richiesto dal controllore. Basta un solo dato sbagliato per fare scattare il reato.Fondamentale per l’integrazione del reato in esame è la qualifica di pubblico ufficiale che viene rivestita dal controllore del mezzo. Invero, il reato di false dichiarazioni punito dall’art. 495 c.p. può essere integrato solo se le false generalità vengono fornite ad un soggetto che riveste una funzione pubblica; se le generalità false vengono fornite ad un soggetto privato, tale condotta non ha alcuna rilevanza penale.Più volte la Corte di Cassazione è intervenuta in merito, specificando che la figura del funzionario accertatore delle aziende di trasporto deve essere qualificata in termini di pubblico ufficiale. Questi, infatti, sono tenuti a provvedere alla constatazione dei fatti e alle relative verbalizzazioni nell’ambito delle attività di prevenzione e di accertamento delle infrazioni relative ai trasporti. L’azienda che si occupa di trasporti svolge una pubblica funzione, e il controllore non svolge le mansioni solo esecutive di un qualsiasi dipendente, ma, avendo l’incarico di accertare le infrazioni, svolge un’attività intellettiva.3 - La casistica: i provvedimenti adottati in RomagnaDegno di nota è quanto avvenuto in Romagna. A fronte di un esame delle multe che sono state fatte dai controllori che lavorano per conto di Start – gestore del trasporto pubblico urbano ed extraurbano in Romagna – è stata rilevata una particolarità: su 45.000 verbali compilati in un anno, circa un terzo è da riferire a persone che non solo erano salite a bordo senza ticket, ma che avevano pure fornito nomi e cognomi che non corrispondevano alla loro identità. Peraltro, spesso le generalità false sono quelle di altre persone in carne ed ossa, incolpevoli vittime dell’altrui inciviltà. Start Romagna è corsa dunque ai ripari ed è stato deciso che nelle tre province di Rimini, Forlì e Cesena saranno scattate fotografie al viso delle persone che, al momento della compilazione del verbale, affermeranno di non avere con sé un valido documento di riconoscimento. Il controllore scatterà le foto con uno smartphone, le immagini saranno collegate al verbale e in caso di disconoscimento del documento saranno utilizzate nell’iter di riscossione e a tutela della persona eventualmente e ingiustamente coinvolta, ovvero quella le cui generalità sono state fornite in sostituzione di quelle del trasgressore. Questa procedura è già in uso in altre città e Regioni in cui è stata accertata una forte tendenza da parte dei trasgressori delle regole di viaggio a fornire nomi e cognomi falsi o di altre e incolpevoli persone fisiche.Editor: dott.ssa Claudia Cunsolo

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Malversazione a danno dello Stato: configurabile in caso di prestito Covid?

2 lug. 2021 tempo di lettura 6 minuti

Il decreto liquidità (d.l. n. 23/2020) tra le misure adottate per far fronte all'emergenza da COVID-19 ha previsto anche la possibilità per le imprese di chiedere un finanziamento garantito da SACE. Quest’ultima è una società per azioni avente quale unico socio Cassa Depositi e Prestiti, e concede garanzia su finanziamenti sotto qualsiasi forma erogati alle imprese, colpite dall’emergenza Covid-19, che hanno sede legale in Italia. La legge prevede, inoltre, un vincolo di scopo per il finanziamento coperto da questa garanzia. L’impresa che non rispetti tale vincolo di destinazione è perseguibile per il reato di malversazione a danno dello Stato ex art. 316 bis c.p.?Il finanziamento garantito da SACE e le sue caratteristichePresupposti del reato di malversazione a danno dello Stato (art. 316 bis c.p.)Decisione della Corte di Cassazione n. 22119 del 2021 1 - Il finanziamento garantito da SACE e le sue caratteristicheLa cd. Garanzia Italia di SACE è uno strumento di supporto previsto dal decreto liquidità (d.l. n. 23/2020) a favore delle imprese, alle quali possono essere rilasciate garanzie a condizioni agevolate, controgarantite dallo Stato, sui finanziamenti per liquidità, ristrutturazioni e investimenti erogati dagli istituti di credito.Le imprese che vogliano richiedere tale agevolazione non devono avere una specifica forma giuridica né operare in un particolare settore, ma devono avere i seguenti requisiti:sede in Italia;che si siano trovate in una situazione di difficoltà in un momento successivo al 31 dicembre 2019, a seguito dell’epidemia di Covid-19;che abbiano fino a 249 dipendenti che hanno già utilizzato il Fondo Centrale di Garanzia fino a completa capienza.Per ottenere la garanzia SACE l’impresa deve richiedere alla banca (o altro soggetto abilitato all'esercizio del credito) un finanziamento con garanzia dello Stato. Il soggetto finanziatore verifica i criteri di eleggibilità, effettua istruttoria creditizia e, in caso di esito positivo del processo di delibera, inserisce la richiesta di garanzia nel portale online di SACE. Quest’ultima processa la richiesta e, in caso di esito positivo del processo di delibera, assegna un Codice Unico Identificativo (CUI) ed emette la garanzia, controgarantita dallo Stato. A quel punto, il soggetto finanziatore eroga al richiedente il finanziamento richiesto con la garanzia di SACE controgarantita dallo Stato.La legge prevede, inoltre, un vincolo di scopo per il finanziamento coperto dalla garanzia: il finanziamento deve essere destinato a sostenere costi del personale, dei canoni di locazione o di affitto di rami di azienda, investimenti o capitale circolante impiegati in stabilimenti produttivi e attività imprenditoriali che siano localizzati in Italia. Tale requisito deve essere “documentato e attestato” dal rappresentante legale dell’impresa beneficiaria (art. 1, co. 2, lett. n.).2 - Presupposti del reato di malversazione a danno dello Stato (art. 316 bis c.p.)Il reato previsto dal legislatore all’art. 316 bis c.p. è un reato inserito nel Titolo II tra i reati contro la Pubblica Amministrazione, e punisce con la pena della reclusione da sei mesi a quattro anni il privato che, avendo ricevuto particolari contributi, sovvenzioni e finanziamenti caratterizzati da uno specifico vincolo di destinazione, li utilizzi invece per finalità differenti da quelle prestabilite.Questa fattispecie, dunque, non si occupa affatto della fase genetica (cioè di come il privato abbia ottenuto quelle somme), ma si occupa della fase successiva, e cioè della fase dell’utilizzo e dell’impiego delle somme di denaro che il privato abbia ricevuto dalla PA. È quindi una fattispecie profondamente diversa da quelle previste dagli artt. 640, 640bis e 316 ter c.p. (rispettivamente, truffa, truffa aggravata per il perseguimento di erogazioni pubbliche e indebita percezione a danno dello Stato). Queste norme si riferiscono alle condotte dirette ad ottenere questi finanziamenti, e puniscono il privato che abbia ricevuto le somme dallo Stato mediante raggiri o dichiarazioni false. L’art. 316 bis c.p., invece, presuppone che il soggetto abbia già questo denaro, e guarda a come lo stesso venga impiegato. Secondo la tesi prevalente, infatti, la fattispecie di cui all’art. 316 bis c.p. concorre con le altre appena esaminate: il soggetto dovrà eventualmente rispondere di entrambi i reati; non può esserci un concorso apparente di norme, trattandosi di due fasi totalmente diverse, ma ci sarà invece concorso di reati.Ai sensi dell’art. 316 bis c.p. il finanziamento deve essere caratterizzato da un vincolo di destinazione. Il privato deve avere l’obbligo di impiegare le somme ricevute per una certa finalità; non può configurarsi il reato di malversazione a danno dello Stato nel caso in cui si tratti di un ordinario finanziamento senza vincoli. Si evidenzia, peraltro, che viene punito non solo chi impiega il denaro per una finalità del tutto privatistica, ma anche chi lo impiega sempre per una finalità pubblica ma diversa da quella prestabilita. Anche se il denaro è stato impiegato per un’attività di interesse pubblico, ma diversa rispetto a quella per il quale il denaro è stato erogato, allora si ricadrà nella malversazione. Lo stesso vale per il non impiego. 3 - Decisione della Corte di Cassazione n. 22119 del 2021 Alla luce di quanto finora esposto, si potrebbe ritenere che possa configurarsi il reato di malversazione a danno dello Stato (art. 316 bis c.p.) in capo all’impresa che, una volta ricevuto il finanziamento vincolato garantito da SACE, lo utilizzi per finalità diverse da quelle indicate dalla legge. Apparentemente, infatti, sussistono tutti i requisiti: ottenimento di un finanziamento, sussistenza di un vincolo di destinazione, utilizzo per una finalità diversa da quella prestabilita.Tuttavia, di recente la Corte di Cassazione (sent. n. 22119 del 2021) ha escluso la configurabilità del reato in esame nel caso di finanziamento garantito da SACE. In primo luogo, la Corte ha ricordato come la fattispecie prevista dall’art. 316 bis c.p. sia posta a tutela della corretta gestione e utilizzazione delle risorse pubbliche destinate a fini di incentivazione economica. Di seguito, ha poi evidenziato che invece il finanziamento erogato ai sensi del cd. decreto liquidità, come convertito dalla Legge n. 40/2020, non è idoneo ad integrare il presupposto della condotta esaminata: la condotta di sviamento del finanziamento ricevuto dall’istituto di credito, e quindi l’utilizzo dello stesso per un fine differente da quello prestabilito, non può essere ricondotto nell'ambito del reato di malversazione ai danni dello Stato.Nella fattispecie in esame, infatti, il finanziamento, anche se connotato da una particolare agevolazione (e quindi da onerosità attenuata) e nonostante sia destinato alla realizzazione delle finalità di interesse pubblico, non viene erogato direttamente dallo Stato o da un ente pubblico, bensì da un soggetto privato (nella specie, un istituto bancario).Mancherebbe, quindi, un elemento fondamentale per la sussistenza del reato contro la Pubblica Amministrazione ex art. 316 bis c.p., e cioè l’utilizzo indebito di risorse pubbliche. Dunque, nel caso in cui l’impresa abbia ottenuto il finanziamento garantito da SACE e destini le somme ricevute ad una finalità differente da quella prestabilita dal d. l. n. 23/2020 non potrà essere chiamato a rispondere del reato di malversazione a danno dello Stato. Solo l'inadempimento dell’obbligazione restitutoria renderà operativa la garanzia pubblica e, in assenza di tale presupposto, ogni onere connesso all'erogazione del finanziamento rientra esclusivamente nel rapporto principale tra l'impresa ed il soggetto finanziatore, che è un rapporto privatistico.Editor: dott.ssa Claudia Cunsolo

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