Detenzione di sostanze stupefacenti: non è possibile confiscare le somme di denaro a titolo di profitto del reato.

Avv. Francesco  Bellocchio

Avv. Francesco Bellocchio

Pubblicato il 5 set. 2022 · tempo di lettura 2 minuti
Detenzione di sostanze stupefacenti: non è possibile confiscare le somme di denaro a titolo di profitto del reato. | Egregio Avvocato

Abstract: Nel caso in cui all’imputato venga contestato il reato di detenzione di sostanze stupefacenti, ex art. 73 co. V del D.p.r n. 309 del 1990, è esclusa la possibilità di confiscare le somme di denaro, in quanto non costituiscono il profitto del reato.



1 – Il principio di diritto.

Con la sentenza n. 30861 del 13 luglio 2022, la quarta sezione della Suprema corte di cassazione ha espresso il principio di diritto secondo cui “ove venga ravvisata l’ipotesi di cui al quinto comma dell’art. 73co. V del D.p.r. n. 309/90, è possibile procedere alla confisca del denaro trovato in possesso dell’imputato solo in presenza dei presupposti di cui all’art. 240 co. 1 del codice penale”.

 

2 – Il fatto.

Il difensore del sig. M. B. proponeva ricorso per Cassazione avverso la sentenza pronunciata ai sensi dell’art. 444 c.p.p., con la quale, oltre ad irrogare la pena principale, ordinava altresì la confisca della somma di € 5.590,00 precedentemente sottoposta a sequestro.

La somma di denaro oggetto di sequestro veniva rinvenuta in parte all’interno dell’abitazione, ed in parte nel vano sottosella del motorino di sua proprietà.

La sentenza gravata considerava detta somma di denaro quale provento-profitto della cessione onerosa a terzi dello stupefacente, su una base prettamente indiziaria (mancata giustificazione della provenienza, dal possesso di un’agenda con annotati nomi di persone e cifre, assenza di attività lavorativa lecita).

3 – La sentenza.

L’approdo giurisprudenziale in commento, riprendendo quelli che sono gli orientamenti ormai consolidati sul tema (C. Pen. Sez. IV, n. 40912/16, Rv. 267900; C. Pen. Sez. VI, n. 55852/17, Rv. 272204), parte dal presupposto secondo cui “in caso di contestazione del reato ex art. 73 co. V del D.p.r. n. 309/90, è possibile procedere a confisca del denaro solo in presenza dei presupposti di cui all’art. 240 c.p. e non ai sensi degli artt. 85-bis (D.p.r. n. 309/90) o dell’art. 240-bis del codice penale”.

Come noto, l’art. 240 c.p. opera esclusivamente con riferimento al provento del reato per il quale l’imputato è stato condannato e non può, a contrario, avere ad oggetto i proventi di altre eventuali condotte antigiuridiche, estranee alla dichiarazione di responsabilità.

Orbene, secondo il Supremo consesso per poter confiscare le somme di denaro trovate in possesso dell'imputato è necessario, quindi, accertare l’esistenza del nesso di pertinenzialità fra la somma di denaro rinvenuta e il reato ascritto all’imputato; ne consegue che, venendo a mancare i presupposti applicativi dell’art. 240 c.p., non sono confiscabili le somme che, in ipotesi, costituiscono il ricavato di precedenti diverse cessioni di droga e sono destinate ad ulteriori acquisti della medesima sostanza, non potendo le stesse qualificarsi né come "strumento", né quale "prodotto", "profitto" o "prezzo" del reato.

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29 gen. 2022 tempo di lettura 1 minuti

La commissione di un reato può comportare una lesione a molteplici soggetti, anche diversi tra loro. In particolare, è fondamentale la differenza tra la persona offesa del reato e la persona danneggiata dallo stesso, poiché ne derivano poteri e diritti differenti. La persona offesa dal reato è il titolare del bene giuridico protetto dalla norma penale incriminatrice che è stata violata (ad es. nel reato di furto, la persona offesa sarà il proprietario della cosa rubata). A questo soggetto vengono riconosciuti una serie di diritti e poteri: poteri di sollecitazione; diritto di ottenere una serie di informazioni riguardanti l’esercizio dell’azione penale; e in particolare, il potere di fare opposizione alla richiesta di archiviazione del PM.La persona danneggiata dal reato, invece, è colui che ha subìto un danno patrimoniale o non patrimoniale derivante dall’illecito penale. A differenza della persona offesa, al danneggiato non sono riconosciuti né il diritto di sporgere querela né gli altri poteri sopra richiamati, in quanto allo stesso è riconosciuto il solo diritto di costituirsi parte civile nel processo penale, e quindi di esercitare l’azione per il risarcimento del danno (che in via ordinaria si fa valere innanzi al giudice civile) all’interno dello stesso giudizio penale.È opportuno evidenziare che molto spesso le due figure finiscono per coincidere nello stesso soggetto, il quale - essendo titolare del bene giuridico protetto dalla norma ed avendo contemporaneamente subìto un danno -, decide di esercitare l’azione civile nel processo penale mediante la costituzione di parte civile (sulla quale si rimanda a: La costituzione di parte civile | Egregio Avvocato).

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La ritrattazione nei reati contro l'amministrazione della giustizia

9 mag. 2022 tempo di lettura 4 minuti

Alcuni reati contro l’amministrazione della giustizia, fra cui la falsa testimonianza e il favoreggiamento personale, non sono punibili se il colpevole, nel procedimento penale in cui ha prestato il suo ufficio o reso le sue dichiarazioni, ritratta il falso e manifesta il vero.Ambito di applicazione della ritrattazioneTermine entro il quale è ammessa la ritrattazioneRatio e natura giuridica della ritrattazione1 - Ambito di applicazione della ritrattazioneCome anticipato, l’art. 376 c.p., sotto la rubrica “Ritrattazione”, prevede che non è punibile il colpevole di alcuni reati contro l’Amministrazione della giustizia se il colpevole, nel termine che appresso vedremo, ritratta il falso e manifesta il vero. I reati che possono essere non punibili sono precisati dallo stesso art. 376 c.p.: false informazioni al pubblico ministero o al procuratore della Corte penale internazionale (art. 371-bis c.p.): questo reato punisce chiunque, richiesto dal pubblico ministero o dal procuratore della Corte penale internazionale di fornire informazioni ai fini delle indagini, rende dichiarazioni false o tace, in tutto o in parte, ciò che sa;false dichiarazioni al difensore (art. 371-ter c.p.): punisce chiunque rende dichiarazioni false al difensore nell’ambito delle investigazioni difensive;falsa testimonianza (art. 372 c.p.): punisce il testimone che afferma il falso, che nega il vero o che tace, in tutto o in parte, ciò che sa;falsa perizia o interpretazione (art. 373 c.p.): punisce il perito o l’interprete che, nominato dall’Autorità giudiziaria, dà parere o interpretazioni mendaci o afferma fatti non conformi al vero;frode in processo penale e depistaggio (art. 375 co. 1 lett. b) c.p.): punisce il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, al fine di ostacolare o sviare un’indagine o un processo penale, richiesto dall’Autorità giudiziaria o dalla polizia giudiziaria di fornire informazioni in un procedimento penale, afferma il falso o nega il vero o tace, tutto in parte, ciò che sa;favoreggiamento personale (art. 378 c.p.): punisce il soggetto che, dopo la commissione di un delitto punito con l’ergastolo o la reclusione, aiuta taluno a eludere le investigazioni dell’Autorità o a sottrarsi alle ricerche effettuate da quest’ultima effettuate.Per andare esente da pena, il colpevole di uno di questi reati deve riconoscere, nell’ambito dello stesso procedimento in cui lo ha commesso, la falsità del proprio operato o delle proprie dichiarazioni e, in piena coscienza e consapevolezza, esteriorizzare di aver reso mendacio e rettificare con il vero. La ritrattazione, in altri termini, deve essere non equivoca, idonea a riconoscere il mendacio e confutarlo nel vero.Deve trattarsi di un ravvedimento volontario; può però non essere spontaneo, potendo essere determinato dal mero interesse del soggetto attivo di evitare conseguenze sanzionatorie. Infine, la ritrattazione deve essere completa: non è ammessa in forma parziale.2 - Termine entro il quale è ammessa la ritrattazioneNell’ambito del processo penale, la ritrattazione è ammessa non oltre la chiusura del dibattimento, che è il momento immediatamente precedente le conclusioni delle parti. Nell’ambito del processo civile, invece, la ritrattazione è ammessa fino a che la sentenza civile non è diventata definitiva.3 - Ratio e natura giuridica della ritrattazioneMa perché il legislatore dovrebbe volere mandare esente da pena chi è colpevole di aver, a vario titolo, sviato il corretto evolversi della giustizia? Il motivo è che si vuole incentivare l’autore della menzogna a dire il vero, consentendo l’accertamento dei fatti: per spingerlo quindi a ritrattare, gli viene assicurato che non sarà punito.Dietro la non punibilità per l’autore di un reato che ritratta, quindi, c’è un bilanciamento di interessi: da un lato, l’interesse ad accertare la verità in sede processuale; dall’altro lato, l’interesse a punire la falsità. Fra questi due interessi, prevale quello ad accertare la verità: ormai la falsità è stata posta in essere e si vuole evitare che la stessa possa altresì pregiudicare l’esito del processo. Se questa è la ratio sottesa, la ritrattazione non può che essere qualificata come causa di non punibilità in senso stretto. Questa categoria comprende dei fatti che sono tipici, antigiuridici e colpevoli ma che, per ragioni di opportunità, non vengono puniti. Come abbiamo visto, l’opportunità sta nel ricercare il corretto svolgimento del processo, accettando di non punire una condotta illecita.Da ultimo deve rilevarsi la natura soggettiva e personale della causa di non punibilità in esame: di conseguenza, è escluso che la ritrattazione possa operare anche nei confronti dell’istigatore, tranne nel caso in cui il soggetto che abbia istigato a commettere le fattispecie delittuose abbia, poi, convinto l’istigato a ritrattare.Editor: dott.ssa Elena Pullano

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Il testimone nel processo penale: obblighi e responsabilità

28 gen. 2021 tempo di lettura 7 minuti

Nel processo penale italiano grande rilevanza probatoria viene data alle dichiarazioni rese dai testimoni nel corso del dibattimento, in quanto reale espressione del principio del contraddittorio, dell’oralità e dell’immediatezza. Ma quali sono gli obblighi cui è soggetto il cittadino chiamato a testimoniare? Quali sono le responsabilità e le conseguenze cui può andare incontro? Sono previste delle ipotesi di non punibilità?Chi è il testimone?Quali sono gli obblighi del testimone? Quali sono le conseguenze in caso di violazione degli obblighi? In quali casi il testimone che dichiara il falso potrebbe andare esente da pena?1 - Chi è il testimone?Il testimone è un soggetto avente un ruolo fondamentale nel processo penale italiano, ed in particolare nella fase del dibattimento. Il principio cardine del processo penale, infatti, è il principio del contraddittorio, con i corollari principi dell’oralità e dell’immediatezza, alla luce dei quali il giudice penale deve formare il proprio convincimento (di assoluzione o di condanna) mediante delle prove che si formino nel processo stesso, e non mediante delle prove cd. precostituite. La testimonianza, e quindi il ruolo del testimone, rispecchia pienamente questa esigenza di oralità ed immediatezza, in quanto le dichiarazioni vengono rese non solo davanti al giudice che sarà poi chiamato a decidere, ma dinanzi alle parti processuali, cioè il PM, l’imputato e il difensore di quest’ultimo, i quali potranno rivolgere delle domande al dichiarante. L’esame del testimone, invero, avviene nel contesto del cd. “esame incrociato”, ove le domande verranno poste prima dalla parte che ha chiesto la presenza di quel soggetto come testimone (esame), poi dall’altra parte (controesame), a fronte del quale la prima parte potrà nuovamente porre altre domande (riesame), ed infine eventualmente anche dal giudice.Il testimone, dunque, è un soggetto informato dei fatti, che viene chiamato nel corso del dibattimento per rendere delle dichiarazioni inerenti al fatto di reato, oggetto del processo.2 - Quali sono gli obblighi del testimone?Il cittadino chiamato a testimoniare in un processo penale riceve un atto denominato “citazione testi”, di regola notificato con raccomandata se citato dai difensori dell’imputato o mediante ufficiale giudiziario se citato dal PM. In tale atto vengono indicati l’ora, il giorno e il luogo nel quale presentarsi, oltre che l’indicazione del procedimento penale per il quale è richiesta la dichiarazione testimoniale.L’art. 198 c.p.p. sancisce che il testimone ha l’obbligodi presentarsi dinanzi al giudice;di attenersi alle prescrizioni date dal giudice stesso per le esigenze processuali;di rispondere secondo verità alle domande che gli sono rivolte.Il cittadino, dunque, non ha la mera facoltà di presentarsi a testimoniare, ma – se chiamato – ha l’obbligo di presentarsi e rendere testimonianza, anche nel caso in cui precedentemente abbia già reso delle dichiarazioni sui medesimi fatti dinanzi ad altre autorità, come le Forze di Polizia. Il giudice, infatti, non è a conoscenza delle precedenti dichiarazioni eventualmente rese.Una volta presente in udienza, il cittadino verrà chiamato a sedersi al banco dei testimoni, dovrà qualificarsi fornendo le proprie generalità e dovrà impegnarsi nell’assunzione del proprio ruolo mediante la lettura a voce alta di una formula sacramentale, che verrà indicata dal giudice. Appare opportuno evidenziare che nell’ordinamento italiano questo impegno solenne non viene assunto mediante giuramento sulla Bibbia, alla luce della laicità dello Stato italiano, ma viene assunto invece mediante la lettura di una precisa formula volta a rendere consapevole il cittadino dell’importanza del ruolo assunto. Solo dopo la lettura di tale formula, e l’avvertimento da parte del giudice delle eventuali conseguenze cui il testimone può andare incontro, avranno inizio le domande, alle quali il testimone sarà obbligato a rispondere secondo verità.3 - Quali sono le conseguenze in caso di violazione degli obblighi?Il legislatore penale italiano, proprio alla luce del ruolo rilevante giocato dal testimone all’interno del processo, ha previsto delle conseguenze particolarmente incidenti per il soggetto che violi gli obblighi previsti dall’art. 198 c.p.p.In primo luogo, nel caso in cui il cittadino regolarmente chiamato a testimoniare non si presenti senza addurre un legittimo impedimento, o qualora l'impedimento addotto non sia ritenuto legittimo, il giudice potrà disporre il cd. accompagnamento coattivo: viene disposta un’ulteriore udienza alla quale il testimone dovrà essere accompagnato coattivamente dalle Forze dell’Ordine. Il giudice potrà, altresì, condannare il testimone al pagamento di una somma da €51 a €516 a favore della cassa delle ammende, nonché al pagamento delle spese alle quali la mancata comparizione ha dato causa, ai sensi dell'art. 133 c.p.p.In secondo luogo, una conseguenza ancor più grave è prevista nel caso di violazione dell’ulteriore obbligo: se il testimone nel corso del proprio esame non rispetta e viola l’obbligo di dire la verità commette un fatto penalmente rilevante, quale il reato di falsa testimonianza. L’art. 372 c.p. prevede, invero, la pena della reclusione dai due ai sei anni per chiunque, deponendo come testimone innanzi all’Autorità giudiziaria o alla Corte penale internazionale, realizzi una delle seguenti condotte:affermare il falsonegare il verotacere, in tutto o in parte, in merito a ciò che sa sui fatti sui quali è interrogato.In particolare, il reato di falsa testimonianza è un cd. reato proprio, in quanto – nonostante la disposizione legislativa faccia riferimento a “chiunque” – il reato può essere commesso solo da quel soggetto che abbia assunto la qualità di testimone; qualità che si assume nel momento in cui viene disposta la citazione dei testimoni.Il reato di falsa testimonianza si pone a tutela del bene giuridico dell’Amministrazione della giustizia ed è procedibile d’ufficio: non è richiesta la presentazione della querela, ma il giudice al termine del dibattimento potrà automaticamente trasmettere gli atti al PM affinché si proceda per l’accertamento della falsa testimonianza.Ulteriore caratteristica del reato di falsa testimonianza è quella di essere un cd. reato di pericolo. Affinché vi sia la condotta penalmente rilevante, è sufficiente che la dichiarazione sia pertinente all’oggetto del giudizio e suscettibile di incidere, seppur in astratto, sulla decisione giudiziaria; non è richiesto che in concreto il giudice sia stato influenzato o che in concreto abbia preso una decisione ingiusta. 4 - In quali casi il testimone che dichiara il falso potrebbe andare esente da pena?Una prima ipotesi si verifica nel caso in cui il testimone rilasci delle dichiarazioni false o reticenti, che però siano manifestamente inverosimili o riguardino circostanze del tutto irrilevanti ai fini del giudizio. Pur essendo un reato di pericolo, è necessario che vi sia compatibilità con il principio di offensività: la giurisprudenza ritiene che se la dichiarazione non ha nemmeno creato il pericolo della induzione in errore del giudice, e quindi non si è creato neanche un pericolo per l’amministrazione della giustizia, allora il soggetto non sarà punibile per assenza di offesa in concreto. L’art. 384 c.p. prevede due ulteriori ipotesi di non punibilità. Al primo comma dispone che non è punibile chi abbia commesso una falsa testimonianza al fine di salvare sé medesimo o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà e nell’onore. Secondo tale disposizione, quindi, il soggetto che si trovi costretto ad affermare il falso, negare il vero o tacere quanto sa in merito ai fatti di reato, al fine di evitare una lesione della propria libertà o dell’onore, non può essere punito per falsa testimonianza. Ciò risponde al principio secondo cui nessuno può essere obbligato ad auto-accusarsi ed a rilasciare dichiarazioni sulla propria responsabilità. L’art. 384 c.p., inoltre, prevede che il soggetto vada esente da pena non solo quando voglia salvare sé stesso, ma anche un prossimo congiunto. Ci si è chiesti se tale locuzione ricomprenda anche il convivente more uxorio: il legislatore penale, invero, ha preso una posizione precisa in merito alle parti di un’unione civile, inserendoli nella definizione di “prossimi congiunti” ai sensi dell’art. 307 c.p. (e per i quali è quindi senza dubbio applicabile l’art. 384 c.p.), non prendendo invece in considerazione il convivente di fatto. Se una lettura estensiva della disposizione sembra doverosa alla luce di una interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata, una diversa ricostruzione ritiene non potersi interpretare estensivamente la disposizione, avendo il legislatore implicitamente preso una decisione negativa in merito. Una diversa scelta legislativa è stata fatta in merito al reato di maltrattamenti, sul quale puoi leggere qui.Si evidenzia, infine, che l’art. 384 co. 1 c.p. non potrà essere applicato a quel prossimo congiunto che sia stato avvisato della facoltà di astenersi, e abbia deciso di rinunciare a tale facoltà così da rendere testimonianza. Invero, al prossimo congiunto è generalmente riconosciuta la facoltà di astenersi in un processo a carico di un proprio familiare, facoltà della quale deve essere ritualmente informato. Ma se il soggetto, una volta informato, decide comunque di rendere testimonianza, e di non avvalersi della facoltà di astensione, allora dovrà rispettare tutti gli obblighi previsti per il testimone dall’art. 198 c.p.p., non potendo invocare l’art. 384 c.p. nel caso in cui violi l’obbligo di dire la verità. Solo se il prossimo congiunto non venga ritualmente avvisato della facoltà di astenersi, e durante la testimonianza dichiari il falso, non potrà essere punito, ma ai sensi del comma 2 dell’art. 384 c.p., e quindi per violazione di una legge processuale. Editor: dott.ssa Claudia Cunsolo

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IL REVENGE PORN

28 lug. 2023 tempo di lettura 3 minuti

In Italia, il reato di revenge porn è disciplinato dall'articolo 612-bis del Codice Penale, che prevede la seguente incriminazione:"Chiunque diffonde, con qualsiasi mezzo, immagini o sequenze audiovisive idonee a ledere l'onore o la reputazione della persona rappresentata, ovvero a violare la privacy della stessa, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni e con la multa da euro 1.000 a euro 10.000.Se il fatto è commesso nei confronti di persona offesa dal reato di violenza sessuale di cui agli articoli 609-bis, 609-ter o 609-quater, la pena è della reclusione da uno a sei anni.Salve le ipotesi di cui all'articolo 617, primo comma, la stessa pena si applica a chiunque detiene, acquista o si procura immagini o sequenze audiovisive di cui al primo comma."In sostanza, il reato di revenge porn consiste nella diffusione, con qualsiasi mezzo, di immagini o sequenze audiovisive idonee a ledere l'onore o la reputazione della persona rappresentata, ovvero a violare la sua privacy. La pena prevista per questo reato va dalla reclusione da sei mesi a quattro anni e con la multa da euro 1.000 a euro 10.000. La pena può essere aumentata se il fatto è commesso nei confronti di una persona già offesa dal reato di violenza sessuale. Inoltre, è prevista la stessa pena per chiunque detiene, acquista o si procura immagini o sequenze audiovisive di revenge porn.Il revenge porn è una forma di violenza sessuale digitale che consiste nella diffusione di immagini o video intimi di una persona senza il suo consenso. Spesso, le immagini o i video sono stati originariamente scattati o registrati durante una relazione intima consensuale, ma vengono divulgati dopo la fine della relazione o in seguito ad una vendetta o un ricatto.Il revenge porn si manifesta attraverso la pubblicazione di immagini o video intimi su internet, sui social network, sui siti di condivisione di file o tramite messaggi privati. La vittima può essere individuata attraverso il nome completo, l'indirizzo, il luogo di lavoro o altre informazioni personali.Per difendersi dal revenge porn, è importante adottare alcune misure preventive, come non condividere immagini o video intimi con altre persone e proteggere la propria privacy sui social network e sui siti di incontri. In caso di divulgazione di immagini o video intimi, la vittima deve raccogliere prove della diffusione, come screenshot, e rivolgersi alle autorità competenti per segnalare l'accaduto e denunciare il reato.Le soluzioni per affrontare il revenge porn possono variare a seconda del caso specifico. In alcuni casi, la vittima può ottenere la rimozione delle immagini o dei video dalla piattaforma su cui sono stati pubblicati. In altri casi, può essere necessario ricorrere alla via legale per ottenere giustizia e risarcimento.In Italia, il revenge porn è considerato un reato e viene punito con la reclusione da 6 mesi a 4 anni e una multa da 1.000 a 10.000 euro. Inoltre, il responsabile è tenuto al risarcimento dei danni causati alla vittima. La legge prevede anche la possibilità di ricorrere alla procedura del "diritto all'oblio", che consente di chiedere la rimozione delle informazioni personali diffuse in modo illecito su internet.

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